L’effetto Lucifero

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Se rivolgessimo a tutti la banale domanda su cosa sceglierebbero, se potessero, fra il male e il bene, ritengo scontata la risposta, a meno che essa non fosse rivolta a una persona con turbe mentali, o disturbi della personalità. È una domanda, quella sull’esistenza del male, che ha sempre turbato, sin dai primordi, gli esseri umani.

Per esempio, Epicuro, grande filosofo greco del terzo secolo avanti Cristo, che si interessò intensamente della Teodicea, termine coniato da Von Leibnitz nel XVIII secolo, nel porsi la domanda su come si poteva conciliare l’esistenza di un Dio onnipotente e buono con l’esistenza del male, si diede la risposta che la presenza del male nel mondo è la prova che gli dèi si disinteressano dell’umanità: altrimenti, se volessero togliere il Male dal mondo, ma non potessero farlo, sarebbero impotenti, o se lo potessero ma non volessero, sarebbero maligni. Ciò sta a indicare che quello dell’esistenza del male e, contemporaneamente, di Dio, è un problema di difficile soluzione, al quale si sono dedicate le menti più brillanti della storia, e al quale non si è mai potuta dare una risposta definitiva, specialmente a motivo del fatto che, come notava Epicuro, l’esistenza di un Essere onnipotente e infinitamente buono è una contraddizione in termini con l’esistenza del suo opposto.

Poiché fin dai primordi della storia umana, gli uomini, privi di ogni conoscenza scientifica e di altra natura, hanno attribuito l’esistenza di tutto ciò che è visibile a chi è invisibile, privi com’erano di elementi che li aiutassero a spiegare i fenomeni naturali che contrassegnavano la loro esistenza, una delle prime cose che inventarono fu l’esistenza di colui che a tutte le cose aveva dato origine. Le testimonianze della credenza in un essere superiore accompagnano l’evoluzione dell’uomo sin dalla più remota antichità. C’era, però, un problema di difficile soluzione, che era quello di accettare che un personaggio così buono e onnipotente potesse avere anche creato il male, dato che tutto ciò che è creato proviene da lui. D’altra parte, anche quando gli uomini si erano evoluti e la filosofia e la teologia erano componenti fondamentali del pensiero umano, uno dei più grandi “profeti” della storia biblica, Isaia, affermò, senza tema d’essere smentito e dando voce a Dio: “io sono il Signore … io che formo la luce e creo le tenebre, che faccio la pace e creo il male” (45:7, Ricciotti). Se Egli è il creatore di tutte le cose, era evidente che era anche il creatore del male.

Molto tempo prima di Isaia c’era comunque chi aveva elaborato una risposta al gravoso problema. Poiché tutto ciò che esiste ha un suo contrario, anche Dio doveva avere il suo, e questi fu identificato con un personaggio che, nel mondo ebraico-cristiano, assunse il nome di Lucifero (portatore di luce), Satana (l’Avversario), Diavolo (Calunniatore), Maligno, e tanti altri epiteti. A questo personaggio, al quale la mitologia ebraica attribuì le sembianze di un serpente, toccò lo sgradevole compito di volgere l’uomo al male così da allontanarlo dal suo creatore. Come Satana divenne tale, lui che era stato uno degli angeli più brillanti delle schiere celesti, è argomento che tratteremo in altra occasione; ciò che qui rileva è che grazie a lui l’uomo poté scaricarsi del senso di colpa per le sue trasgressioni e attribuirle a chi era più potente di lui.

Che l’argomento abbia suscitato nel corso dei secoli l’intervento delle menti più acute delle diverse discipline umanistiche, è ben noto. Uno dei massimi pensatori, che ebbe molto da dire su questo soggetto, è certamente David Hume, anch’egli del XVIII secolo, al quale dedicò vari suoi scritti. In uno d’essi, intitolato Sulla religione e i miracoli. Sulla provvidenza e il male (Editori Laterza, 2008), egli affermò che: “Nessuna argomentazione razionale è in grado di conciliare la natura che le religioni monoteistiche attribuiscono a Dio (la sua pretesa bontà e onnipotenza) con il riconoscimento della presenza del male nell’uomo” [pag. XIII dell’Introduzione]. Ciò vuol dire che vi è assoluta incompatibilità fra l’esistenza di Dio e quella del male; pertanto, secondo Hume, Dio non esiste e il male fa parte della natura umana. D’altra parte, nel pensiero di Hume: “La credenza religiosa trova il suo alimento in una peculiare radice emotiva e passionale della natura umana: la paura degli eventi futuri e più specificamente il timore per la propria morte … sono le credenze religiose a tentare di porre riparo al nostro timore delle incertezze e alla paura della morte … Hume sottolinea continuamente i limiti e i danni che possono provocare le credenze religiose sia sul piano privato sia su quello pubblico della vita associata … mentre il fanatismo che spesso accompagna il monoteismo, scaturisce dalla pretesa di alcuni di ritenersi ispirati direttamente da Dio attraverso un rapporto privilegiato con lui”. Su una posizione simile si colloca Sam Harris, che nel suo La fine della fede (Nuovi Mondi Media, 2006) parlando delle credenze religiose e della fede, definisce quest’ultima “atto di conoscenza non supportato da prove … La verità è che la fede religiosa, in ultima istanza, è semplicemente una credenza priva di giustificazione, in particolare quando si esplicita in asserzioni che promettono scappatoie per sottrarre la vita umana allo scempio del tempo e della morte. La credulità, una volta acquisita la velocità di fuga sufficiente per sfuggire ai vincoli del dibattito terreno (come la ragionevolezza, la coerenza interna, la civiltà e la schiettezza), produce come suo frutto la fede … Ma la fede è un inganno”.

Eliminando, quindi, Dio dal quadro generale, in quanto è del tutto incomprensibile e inspiegabile ammetterne l’esistenza alla luce di un mondo — se da lui creato — che sin dal suo inizio è caratterizzato da tutto il contrario che ci si attenderebbe da un essere sommamente buono e onnipotente, bisogna rivolgersi a una spiegazione molto più realistica e concreta. Ginevra Bompiani nel suo L’altra metà di Dio (Feltrinelli, 2019) riferisce un incontro di Albert Einstein con Sigmund Freud presso la Società delle Nazioni, nel corso del quale il primo rivolse al grande neurologo e psicoanalista la domanda: “Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione? Ad essa fu data la risposta: “Da quanto precede ricaviamo la conclusione che non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini … Io la ritengo un’illusione”.

“Sia Einstein che Freud riconoscono nell’umano una tendenza innata alla violenza e alla distruzione. Non è possibile sopprimerla, perché «ciò avviene in tutto il regno animale», di cui la specie umana fa parte. Pertanto, avendo eliminato l’incongruenza di un Dio, che nel corso dei millenni non ha saputo, o potuto, far nulla per eliminare il male, anzi, spesso la credenza in lui ne è stata la causa scatenante, la risposta dei due grandi, Freud e Einstein, si può riassumere come segue: “Così, mentre la natura ci spinge alla distruzione, qualcosa che «si può paragonare all’addomesticamento di certe specie animali», muta gradualmente le nostre pulsioni e il rapporto fra loro. Due forze contrastanti, assoggettandoci alle quali possiamo forse arrivare a un cauto predominio della ragione” (pp. 16, 17).

Avviandoci alla conclusione non possiamo certamente dire di aver risolto il problema dell’origine del male, ma di avere iniziato a comprendere che esso è una componente ineliminabile della natura umana; “natura” che non derivando da un atto creativo, ma evolutivo, come per tutte le specie viventi della terra, può svilupparsi in diverse direzioni, anche essendo fortemente influenzata dall’ambiente in cui si sviluppa la crescita. Quando leggiamo — e accade spesso, purtroppo — di ragazzi che provano diletto nel torturare animaletti indifesi, ci sentiamo rivoltare dentro; che piacere si può provare nell’infliggere sofferenze ad altri esseri viventi? Lo stesso può dirsi degli stupratori, dei carnefici, degli assassini; e, a proposito di carnefici, non si può non menzionare il famosissimo (meritatamente) La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, di Hanna Arendt, che descrivendo il processo ad Adolf Eichmann, e osservando il comportamento dell’imputato, scrisse: “Tali individui non dovrebbero essere considerati eccezioni, mostri o sadici perversi … di Eichmann e di altri come lui si dovrebbe sottolineare la totale ordinarietà … Questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica … che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male” … Una mezza dozzina di psichiatri lo aveva dichiarato «normale», e uno di questi, si dice, aveva esclamato addirittura: «Più normale di quello che sono io dopo che l’ho visitato, mentre un altro aveva trovato che tutta la sua psicologia, tutto il suo atteggiamento verso la moglie e i figli, verso la madre, il padre, i fratelli, le sorelle e gli amici era «non solo normale, ma ideale» …”.

Tutto quanto sopra conferma quanto più volte abbiamo asserito circa la stretta correlazione che vi è fra il male e la religione, qualunque religione. Vivendo nel mondo occidentale rivolgiamo la nostra attenzione a quella cristiana, che in esso è maggioritaria. Per sfuggire alla necessità di dover riconoscere che quando si agisce male lo si fa per scelta e non per l’istigazione di una creatura malvagia e potentissima (il Lucifero che dà il titolo a questo articolo e al ponderoso libro di Philip Zimbardo), ci convinciamo che, alla fine, Dio sconfiggerà il male e chi lo compie. Purtroppo questo assunto è stato già esso stesso causa di atrocità. Nel Medioevo, per esempio, la credenza nelle streghe (la controparte femminile dei demoni) portò al tremendo paradosso dell’Inquisizione, nel corso della quale, come scrive Zimbardo: “l’ardente e spesso sincero desiderio di combattere il male produsse il male su scala ben più vasta di quanto il mondo avesse mai visto prima. Inaugurò l’uso, da parte dello Stato e della Chiesa, di dispositivi e tecniche di tortura che costituivano l’estrema perversione di ogni ideale di perfezione umana”. Anche in questo caso, quindi, Dio, o meglio l’idea di Dio è la vera responsabile del male; e, per non cedere allo scoramento e alla delusione di non avere MAI visto la sua onnipotenza all’opera per l’eliminazione del male, si continua, almeno nelle comunità cristiane, a riporre fede nel prossimo (ma sempre rinviato) avvento salvifico del “Principe della pace”, che metterà le cose a posto. E, per spiegare l’inspiegabile ritardo dell’intervento di Dio, ogni confessione ha le sue risposte. Basta leggere quella dei Testimoni di Geova, per esempio, che aspettano la “fine” da più di cento anni, con rinvii e fallimenti di aspettative, per rendersi conto della inoppugnabile origine umana di tutte le credenze religiose e, si sa, che la delusione porta alla frustrazione e, in ultima analisi, alla perdita della fede.

Alla fine di queste riflessioni, attingiamo a Zimbardo per una definizione del male: “Il male consiste nel comportarsi intenzionalmente in modi che danneggiano, oltraggiano, umiliano, deumanizzano o distruggono altre persone innocenti — nell’usare la propria autorità e il proprio potere sistemico per spingere altri a farlo per noi”. In breve, è “sapere ciò che è meglio ma fare il peggio”.

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