Le religioni nei conflitti

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Si ha la sensazione che le religioni entrino in guerra tra loro non tanto a causa di insanabili conflitti dottrinali quanto per il loro prestarsi a diventare strumenti simbolici nelle politiche di identità nazionali. Per “politica di identità” i sociologi intendono un movimento politico e sociale che tende ad affermare l’esistenza di valori comuni e a pretenderne l’inclusione negli ordinamenti che governano la stessa società.

Infatti uno sguardo alla storia recente, successiva alla caduta del muro di Berlino nel 1989, consente di individuare violenti conflitti tra popoli che affermavano la loro identità esibendo simboli religiosi: si pensi, solo per esemplificare, alle guerre balcaniche tra il 1990 e il 1995 e allo Sri Lanka, devastato da una lunga guerra civile tra il governo filobuddista e la minoranza tamil. Da ultimo il fattore religioso non è estraneo al conflitto russo-ucraino tuttora drammaticamente in corso.

In quest’ultimo caso appare evidente come l’identità nazionale minacciata e il profilo del nemico acquistino una veste religiosa. Si pensi al fatto che, poco dopo l’occupazione russa del 2014 con la conseguente annessione della Crimea alla Federazione Russa, si verificò il cosiddetto “scisma ortodosso del 2018” che vide la nascita della Chiesa ortodossa nazionale dell’Ucraina con l’approvazione di Bartolomeo, Patriarca ecumenico di Costantinopoli attraverso un “concilio di riunificazione” tra la Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Kiev e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina. Stando a dati aggiornati al novembre 2022, 1.153 comunità religiose e monasteri hanno annunciato il passaggio alla neonata chiesa ortodossa ucraina. Questi fatti sono stati fortemente contestati dalla Chiesa ortodossa russa, che riconosce invece una diversa Chiesa ortodossa ucraina e che ha quindi denunciato l’ingerenza del Patriarcato di Costantinopoli; di conseguenza Kirill, il Patriarca moscovita, ha rotto le relazioni con Bartolomeo di Costantinopoli e ha dichiarato scismatica la nuova Chiesa ortodossa nazionale autocefala dell’Ucraina.

Queste vicende evidenziano come la religione possa diventare una risorsa strategica nell’azione collettiva per il conseguimento di obiettivi politici; non a caso nel 2022, in occasione della Domenica del Perdono, che in Russia apriva la Quaresima, il patriarca Kirill affermò che la guerra in Ucraina era una specie di crociata contro i Paesi che sostengono i diritti degli omosessuali. Invece di criticare l’operazione militare di Putin, Kirill l’ha giustificata: per il Patriarca di Mosca, infatti, l’invasione russa dell’Ucraina ha assunto le sembianze di una lotta contro la promozione di modelli di vita peccaminosi e contrari alla tradizione cristiana.

Anche nel caso dell’aggressione russa all’Ucraina, quindi, si evidenzia il fatto che nella società contemporanea la religione ha dimostrato di essere un importante elemento nella definizione delle politiche di identità. In questa prospettiva le religioni ricoprono il ruolo di mezzi di comunicazione sociale con la funzione di convincere della bontà del ricorso alla violenza.

Tornando alle posizioni espresse da Kirill, patriarca ortodosso di Mosca, tutto appare rovesciato. Infatti, dopo una lettera ricevuta da Ioan Sauca, segretario generale ad interim del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), organismo cui aderisce il Patriarcato di Mosca, in cui si invitava Kirill a levare la propria voce per raccomandare una soluzione pacifica della guerra in corso, il Patriarca non trovò meglio da fare che imputare la responsabilità del conflitto alla Nato, che aveva ignorato le preoccupazioni di Mosca, precisando che quello in corso non è un attacco, bensì per certi versi un’operazione difensiva; tanto più che nel mondo occidentale – a detta di Kirill – si sta diffondendo una russofobia senza precedenti.

Appare evidente che ci troviamo di fronte a un caso in cui una religione, diventando ideologia etnica, finisce nei fatti col negare la propria pretesa d’essere depositaria di valori universali come la pace.

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