Il dono: la Terra

tempo di lettura: 4 minuti
Foto di A. Sacco

Terra, Terra, Terra! Non è il grido di avvistamento di un nuovo continente, ma piuttosto il risultato di una caduta ed una piccola rivoluzione personale, dove la terra è diventata il cielo e il cielo è diventato la terra.

Pochi, apparentemente insignificanti attimi ma mai prima d’ora cosi preziosi e capaci di cambiare destini. Non trovare ciò che ci sostiene, sotto i piedi, la terra appunto, può innescare un movimento di rivoluzione dello spazio e del proprio tempo personale.

Ad un tratto la luce mi si è spenta e tutto è sembrato diverso. Mi sono ritrovato in una visione davanti ad una fossa, alcune persone intorno riunite che avevano appena finito di scavarla, nell’aria ancora presente la terra sospesa, arrivavo a sentirne persino il sapore in bocca, il corpo ed il volto senza vita di mio padre giaceva al suo lato. Tutto intorno silenzio, un tempo riempito da un sacro rispetto mentre un profondo dolore esplodeva. Un pianto, il mio, disperato, come la prima volta che mi sono ritrovato a terra, nei primi tentativi del camminare, cercavo con le mani alzate mio padre che giungeva e nel rincuorarmi mi diceva che andava tutto bene che la terra era diventata per un momento il mio cielo, dove imparare persino a volare se solo riuscivo a comprenderlo. La luce del presente e della città ritorna d’improvviso un attimo dopo, la visione sparisce e mi risveglio con il corpo disteso al suolo e la faccia nel fango. Piedi poco distanti ai miei occhi camminano frettolosi lungo la strada e in una prospettiva nuova, la città mi appare capovolta, la terra come nel ricordo è diventata per un attimo il cielo. Ora mi sembra tutto più chiaro, la vita come la morte appartiene alla terra, ed è solo il frutto del suo inesorabile movimento.

Proprio come allora mi raggiungono mani tese che cercano di sollevarmi. Le lacrime sul viso di quel ricordo lontano però ora sono sostituite dal fango in cui sono caduto e l’odore di quell’incontro col suolo mi attraversa le narici e sembra non volermi più lasciare.

Terra, casa di tutti a cui un giorno dobbiamo tornare, ma cosa facciamo per renderti grazie del tuo sostenerci sempre?

Credo nella mia caduta come ad una sorta di rivelazione, un ricongiungimento in un punto, la buca di una strada, della mia città, Napoli, l’incontro tra il passato e il presente, ciò che sono stato e ciò che sono ora nella mia comune fragilità, nel mio limite: in bilico su un equilibrio instabile in continuo movimento, la vita, con le sue mai prevedibili direzioni discendenti, ascendenti.

Sento di essere in un istante come parte di essa, la mia terra, una sensazione mai prima provata, intensa, abbagliante, quasi commovente.

Il fango delle mie lacrime mi aiuta a ricordare però le troppe morti per il suo mancato rispetto. Il considerarlo un bene oggetto di infinite speculazioni edilizie, commerciali, guerre ed avvelenamenti di ogni sorta, che la sua cura passa per un impegno comune, lacrime di gioia e dolori e tante mani che cercano di aiutarsi a vicenda, che scavano, che aiutano a cercare, proteggere e a facilitare il fiorire della vita, proprio come dopo una caduta, una frana, un terremoto o la costruzione di un giardino.

Humus di chi e cosa ci ha preceduto, la terra, quel mondo di sotto, ha bisogno di essere ascoltato, con la sua lenta formazione per sedimentazione, stratificazione, o esplosioni vulcaniche ci insegna la forza e la solidità della roccia e contemporaneamente, con i suoi rapidi slittamenti, tutta la sua fragilità ed il suo continuo mutare. Nutrendoci, ci sostiene, ci trasforma, ci ricopre e noi possiamo solo rifletterci in lei come in uno specchio. In quanto suoi figli dovremmo portarle in primis quel riconoscimento di madre, nutrice e comprendere che è arrivato il tempo di considerarlo anche il nostro cielo in cui ritrovare la luce dei nostri sogni e non possono che essere sogni di pace.

Serve un cambiamento radicale di prospettiva dentro i giorni in cui viviamo, nel nostro tempo, la natura vulcanica della nostra terra ci impone di ritornare sempre all’origine ed alla formazione di tutto, le tante catastrofi dovrebbero insegnarci qualcosa a riguardo in termini di sua cura, prevenzione e tutela ed anche le buche, vere ferite urbane, che sempre più si aprono lungo le nostre strade, sono campanelli di allarme inascoltati che ci dicono che non è più sostenibile fare finta di niente, non occuparsene, non vederne il suo movimento, non ascoltare il suo respiro, il suo lamento, continuando solo a calpestarla, la terra, e considerarla solo uno spazio da occupare, da farci dei soldi o diventare rendita. Lei, la terra, bene prezioso e valore comune potrebbe d’un tratto decidere di non più sostenerci.

Da più di dieci anni a Napoli, pianto alberi con il Progetto Noi Piantiamo gli Alberi e gli Alberi Piantano Noi, (per approfondimenti vedi www.lacasaforte.org) insieme a mia moglie Valeria Borrelli, artista, con cui condivido ideali, visioni, concreti progetti d’arte, con i miei figli, con la partecipazione di amici e soprattutto cittadini, in una pratica di azione partecipata dove l’arte ricrea la natura (da sempre sua genesi), in luoghi dal forte degrado ed abbandono. Lo faccio per rendere possibile la condivisione di quello che viene chiamata palingenesi [dal lat. tardo palingenesĭa, gr. παλιγγενεσία, comp. di πάλιν «di nuovo» e γένεσις «generazione», rifatti secondo genesi]. Nel pensiero antico, con il termine sono state indicate varie concezioni filosofiche e religiose riferentisi al rinnovamento o alla trasformazione dell’individuo e del cosmo. Generare di nuovo, ritrovare proprio quel cielo nella terra, cercando di prendersene cura un pezzetto alla volta insieme ad altri, per ritrovare quelle mani che sostengono ed insieme diventano legami, radici, in grado di resistere in maniera solidale a venti di tempesta, sempre più minacciosi all’orizzonte, che sembrano come pare capaci di sradicare tutto, soprattutto la speranza di un futuro migliore del mondo in cui viviamo. Lo faccio con la consapevolezza di essere solo un frammento di questa stessa terra, parte più o meno visibile di una comunità più grande, fatta da specie viventi che cercano di coesistere tra loro, creando linee di parentele fragili e sottili, nella stessa casa, appunto la Terra, ma troppo spesso ahimè in lotta per la loro semplice sopravvivenza. Sulla soglia delle porte del Cielo, del Mare e della Terra vorrei chiedere il riconoscimento ed il diritto all’esistenza di ogni essere vivente, con il suo genere, le sue differenze, la sua cultura, la sua identità, la sua vita. Un regalo all’Albero della Vita che non necessita di essere confezionato ma creato dall’umano contributo di ognuno di noi. La “madre Terra” lo attende più che mai.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto