Elogio funebre per le edicole

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Un’edicola (Fonte: Flickr)

Oggi si contano pochissime edicole e la tendenza paventata dagli ultimi gestori ancora in campo è quella della quasi totale estinzione. Sopravvivranno forse quelle degli autogrill, delle stazioni ferroviarie più importanti, degli aeroporti e forse dei megacentri commerciali. Quelle ancora presenti nelle aree urbane si reggono più che altro sulla vendita di qualche quotidiano, di settimanali specializzati in gossip di pessimo gusto, di giocattolini, gadget vari e qualche libro. Sopravvive miracolosamente la “Settimana Enigmistica” in edicola, pressoché immutata, dal 1931.

La categoria degli edicolanti non ha mai goduto di grandi soddisfazioni né di un luogo di lavoro accettabile: chiusi per ore ed ore a prendere monete e a dare il resto in una sorta di cella con una finestra, un po’ peggio dei tabaccai e un po’ meglio dei casellanti autostradali anch’essi prossimi alla scomparsa. L’attuale situazione precomatosa ha le sue ragioni oggettive che sono note a tutti. La gente legge meno a causa della televisione e ultimamente dei social: la media giornaliera dei giornali venduti è di poco superiore al milione di copie mentre vent’anni fa superava i cinque milioni. La minoranza che continua ad informarsi attraverso i quotidiani preferisce in buona parte gli abbonamenti on-line. Il calo nella lettura dei giornali, insieme alla crisi dell’istruzione scolastica e universitaria, giustifica tra l’altro la condizione, certificata, di grave arretratezza degli italiani nella comprensione di un testo e spiega di conseguenza la crisi dei valori democratici che va di pari passo con l’ignoranza.

Ma non è stato sempre così: c’è stato un tempo in cui le grandi città pullulavano di edicole che vendevano carta stampata sotto forma di quotidiani, settimanali, riviste, libri polizieschi e di fantascienza, figurine da attaccare agli album, album, fumetti. Fu verso la fine degli anni Quaranta che il fondatore di ciò che diventerà poi il marchio “Fratelli Fabbri Editori” concepì l’idea di diffondere istruzione e cultura attraverso la pubblicazione di fascicoli periodici rispolverando un po’ il concetto di ciò che erano stati, già nell’Ottocento, i “romanzi d’appendice” raccontati a puntate nei “feuilletons” contenuti nei giornali francesi.

Attraverso le “dispense” l’Editore intendeva suddividere la lettura di testi, anche impegnativi, in somministrazioni settimanali relativamente più brevi che rendessero più fruibili sia le discipline scolastiche che le tematiche artistiche e culturali in genere. Allo stesso tempo rendeva molto più accessibile, perché frazionata settimanalmente, la spesa per acquistare un’intera opera di consultazione, come le varie enciclopedie esistenti all’epoca, che era spesso fuori dalla portata di molti. Non a caso negli anni Cinquanta si era diffusa la vendita, casa per casa e a rate mensili, sia delle enciclopedie che delle raccolte di narrativa. Il prezzo unitario delle dispense, contenuto grazie ad una pianificazione delle vendite in quantità molto più elevate di quelle che potevano assicurare le librerie (c’erano negli anni Sessanta circa 20.000 edicole a fronte di sole 4.000 tra librerie e cartolibrerie), si incrociò con l’accresciuta disponibilità economica di operai e lavoratori in genere, effetto del boom economico in atto.  

Nacquero, alla fine degli anni Cinquanta, iniziative rivolte agli studenti, come “Conoscere”, cui fecero seguito “Capire” ed opere più specialistiche come il “Il Grande dizionario enciclopedico del diritto” (1964), la “Guida medica”, il Museo dell’uomo (1964), enciclopedia etnologica ed etnografica, e “L’uomo e lo spazio” (1965). L’altro filone riguardò le arti: “Capolavori nei secoli” (1961), un’ampia panoramica degli stili dominanti nella pittura, nella scultura, nell’architettura e nelle arti decorative in tutte le epoche, corredata da fotografie a colori e da notizie storiche. Vi fece seguito, nel 1963, la raccolta “I maestri del colore”, una serie di monografie di grandi e piccoli maestri della pittura occidentale che ebbe un successo internazionale.

Non poteva mancare la musica “colta” alla quale furono dedicate una “Storia della musica” (1964) e la raccolta “I grandi musicisti” (1965) entrambe corredate da un disco, e talvolta due, per ciascun fascicolo. Alle iniziative in campo musicale dei Fratelli Fabbri fecero seguito negli anni successivi analoghe pubblicazioni settimanali della Longanesi, degli editori Curcio, De Agostini e Mondadori. Insomma una vera fioritura che andò avanti fino alla fine degli anni Settanta.

La grande opportunità di diffusione, e di vendita, indusse nel 1965 la Mondadori a lanciare la prima pubblicazione settimanale di romanzi a prezzo contenuto, i famosi “Oscar”, collana tuttora vivente nelle librerie. Il 27 aprile (giorno di incasso dello stipendio?) del 1965 compariva nelle edicole il numero inaugurale “Addio alle armi” di Hemingway al prezzo di 350 lire, che divenne, per anni, il prezzo standard anche dei fascicoli settimanali dedicati alla musica classica (e poi anche operistica) e di quasi tutte le pubblicazioni similari. Se si pensa che all’epoca un pacchetto di sigarette “Nazionali Esportazione” costava 200 lire, si ha l’idea di quanto risultasse incoraggiato l’acquisto di una dispensa o di un “tascabile” in edicola. Di “Addio alle armi” furono vendute in pochi giorni oltre 200.000 copie e il successo nelle vendite crebbe fino alla cifra record di 448.000 copie con “La ragazza di Bube” di Cassola.

L’enorme favore riservato dal pubblico agli “Oscar” Mondadori indusse altri editori ad inserirsi nel circuito delle edicole proponendo i titoli di maggior successo dei loro cataloghi di narrativa. Arrivarono così “I Capolavori Sansoni” con in repertorio i grandi romanzi francesi e russi dell’Ottocento, seguiti poi da Longanesi, Garzanti ed anche dall’editore Dall’Oglio che, insieme a pochi altri titoli del suo non immenso catalogo, offrì ai frequentatori delle edicole anche il suo titolo di punta, “La montagna incantata” di Thomas Mann.

Chi, trai i baby boomers, allora giovincelli o adolescenti, avidi di letture e di cultura (ai quali mi onorerei di far parte se non mi ritenessi corresponsabile di aver danneggiato il pianeta, quanto meno in termini di deforestazione per eccessiva produzione di cellulosa), può dimenticare la trepidazione con cui si fermava ogni giorno davanti all’edicola per cercare con gli occhi le ultime uscite e l’emozione che lo coglieva quando vedeva far capolino il romanzo che attendeva da tempo? Onore e gloria dunque agli edicolanti o, più probabilmente, ai loro sfortunati eredi per quanto ci offrirono, forse, ma non sempre, inconsapevolmente, facendo da culla alla nostra formazione culturale extrascolastica.

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