
Cos’hanno in comune il nostro attuale Governo e quello del Tycoon rosso chiomato? Molto, a cominciare dall’affiliazione politica di estrema destra sovranista e dall’inimicizia verso ogni forma di democrazia liberale, ma non solo. Caratteristica di queste due formazioni politiche è quella, veramente singolare, di attribuire a se stessi ogni successo della loro attività governativa, e di scaricare sugli altri le defaillances e gli errori, dei quali si lavano le mani. Prendiamo a mo’ d’esempio la recente tragedia dello scontro fra due velivoli sul Potomac a Washington, la cui responsabilità, secondo Trump, ricade tutta sulle spalle di Obama, che fu presidente quindici anni fa, e su Biden che non lo è più da alcune settimane; mentre per quanto riguarda l’Italia, per il nostro vicepremier, l’ineffabile Salvini, la colpa dell’intero sistema ferroviario che non funziona è da addebitarsi interamente ai governi precedenti e non a lui che dei trasporti è il responsabile da quasi tre anni. La colpa della lunga serie di disagi che negli ultimi due anni hanno costellato la permanenza di Salvini al Mit non è del ministro, che in queste ore è sottoposto al fuoco di fila delle opposizioni, ma dei passati governi: “Decenni di disinteresse, mancati investimenti, NO ideologici: così, oggi, ci ritroviamo in un’Italia con una grave carenza di infrastrutture che spiega i fatti delle ultime ore – spiegano fonti del dicastero -. Da due anni a questa parte, con Matteo Salvini al Mit, sono stati moltiplicati gli sforzi per invertire la tendenza, soprattutto sulla rete ferroviaria, nonostante burocrazia e scioperi a raffica proclamati dai sindacati di sinistra”. Per Ferrovie dello Stato ci sarebbero “circostanze altamente sospette” dietro gli “incidenti anomali” delle ultime settimane sulla rete ferroviaria italiana. Per questo la holding pubblica che controlla, tra le altre cose, Trenitalia e Anas, aveva presentato un esposto: se ne occuperà l’antiterrorismo. La denuncia, depositata negli uffici della Digos della Questura di Roma, era stata poi trasmessa ai magistrati di piazzale Clodio ed è stata così assegnata al gruppo che si occupa dei reati contro il terrorismo. Quindi se i treni arrivano in ritardo o non arrivano proprio, non prendetevela con Salvini, ma con chi gli rema contro (?).
In estrema sintesi, se le cose vanno male, è sempre colpa degli altri, mai propria; la colpa è delle opposizioni, dei terroristi, della mala sorte. Ciò che fa di un uomo, che riveste incarichi di rilievo nell’interesse del Paese, persona idonea a tale ruolo è invece proprio il sapersi assumere la responsabilità della loro gestione e, quindi, anche delle cose che non vanno per come dovrebbero andare. Ogni giorno i media, sia quelli cartacei che tutti gli altri mezzi di diffusione delle informazioni, non fanno che inondarci di fatti negativi, sia nel campo dell’economia che dell’occupazione, dell’ambiente sempre più periclitante e, cosa singolare, tutto ciò che va male viene attribuito ad altri, mentre se per pura coincidenza qualcosa va bene, allora il merito è solo ed esclusivamente del responsabile del dicastero interessato. È ovvio che questo possa ingenerare nei fruitori delle notizie, che dipendono da esse per sapere come vanno le cose, una grande confusione, specialmente quando un avvenimento, di qualunque natura sia, viene descritto in un modo dai media orientati a destra e in modo diametralmente opposto da quelli della controparte. E la confusione genera disaffezione, apatia, sfiducia, tutti elementi che indeboliscono la tenuta di una nazione, nella quale i cittadini, senza punti di riferimento sicuri, decidono ad un certo punto che non vi è alcuna differenza fra le parti e decidono di lasciar perdere, non partecipando più ai riti delle democrazie repubblicane, che vedono in prima linea la partecipazione al voto, che è l’unica arma ancora rimasta in mano al “popolo”, che però se ne spoglia disertando le urne “perché tanto le cose vanno male lo stesso”, e si perviene alla conclusione tristissima che si può riassumere nel famoso detto attribuito al nostro grande Guicciardini “o Franza o Spagna purché se magna”.
Questo modo di vedere le cose si chiama “qualunquismo” ed è il frutto avvelenato di anni e anni di cattiva politica e di un inarrestabile declino della democrazia, declino che Philip Kotler, in un suo saggio magistrale Democrazia in declino, descrive in modo tale da non lasciare dubbi al riguardo e la cui lettura è veramente illuminante. Stiamo scivolando verso forme di governo contro le quali si era combattuto e per le quali si era persa anche la vita, forme di governo che assomigliano sempre di più a “demokrature”, nelle quali la democrazia liberale va sempre più perdendo terreno. Possiamo quindi parlare con cognizione di causa di democrazia in declino e questo dovrebbe preoccuparci non poco. Ripetendo ancora una volta la ormai famosa frase di Winston Churchill, secondo il quale “la democrazia è il peggior sistema di governo a eccezione di tutti gli altri”, riscontriamo che è un’affermazione paradossale per dire che è invece il sistema migliore, quello che offre maggiori garanzie di uguaglianza e di giustizia per tutti. Eppure negli Stati Uniti, così come in altri paesi, la democrazia sembra avere perso attrattiva, e la seconda vittoria elettorale di Trump, il sovranista per eccellenza, è un segno evidente di questo stato di cose, ma non il solo. Ci sono molti altri sintomi, meno clamorosi ma non meno preoccupanti che si stanno manifestando da tempo.
Come siamo potuti arrivare a questo punto? e, soprattutto, cosa possiamo fare per arrestare il declino della democrazia? Prima di proseguire alla ricerca di una risposta, non possiamo non sottolineare, nel caso Italia, un fenomeno veramente preoccupante che sta dilaniando dall’interno le strutture portanti del nostro Stato. Ci riferiamo alla “guerra aperta” che sotto i nostri occhi coinvolge la Magistratura e il Governo. I cittadini non possono che sentirsi smarriti dinanzi a questo sfacelo, dato che la Magistratura, per lo meno nei nostri ricordi infantili, è l’organismo portante della nazione, al quale è affidata la gestione del settore più delicato della vita in comune: la giustizia. Ritenevamo la Magistratura, per definizione, imparziale e invece, a cominciare dalla “sorella d’Italia” e da tutti i suoi supporter, vi è ogni giorno di più la corsa alla sua delegittimazione, con gli epiteti di “toghe rosse” e con l’accusa di estrema politicizzazione dei suoi ranghi. È sempre la nostra ineffabile Premier che, di fronte a iniziative del tutto legittime dell’ordine giudiziario, ha inveito contro chi le ha fatto recapitare un “avviso di garanzia” per il caso Almasri dicendo che “l’aveva mandata ai matti” e che se le “toghe bolsceviche” volevano governare al posto suo, si candidassero. È come se in una famiglia i figli, specialmente se piccoli, assistessero quotidianamente a liti furibonde fra mamma e papà, essendo quindi costretti a schierarsi da una parte o dall’altra, ma rimanendo comunque profondamente feriti dal fatto che le loro fondamentali figure di riferimento si scannano fra di loro. L’ultimo motivo di scontro, anche se non è nuovo, riguarda la decisione della Corte d’Appello di Roma sul trattenimento di 43 migranti che erano stati confinati nel “centro per migranti” di Gjader, in Albania. A questo punto, come scrive argutamente Massimo Giannini (la Repubblica 1° febbraio): “Giorgia Meloni, con l’elmetto ormai calato sulla testa, manderà le sue camicie nere a manganellare le toghe bolsceviche che tramano contro di lei”. E questo perché “dalla magistratura ha dovuto incassare l’ennesimo schiaffo proprio su uno dei suoi campi di battaglia preferiti, la lotta ai migranti clandestini da sbolognare in outsourcing all’amico Rama. Al raduno di Atreju aveva urlato più volte con gli occhi fuori dalle orbite, di fronte alle sue milizie in estasi: «L’operazione Albania funzionerà!». E invece non funziona. Non funziona più niente in questa Italia del giorno della marmotta. Siamo tutti prigionieri involontari di una «falsa guerra dei trent’anni» che la politica combatte contro la giustizia, fingendo di esserne vittima”.
Che le colpe dello sfascio italiano siano tutte della magistratura politicizzata, che entra a gamba tesa nell’agòne politico, non è un’invenzione della nostra popolana della Garbatella. Prima di lei ci aveva pensato il compianto (da pochi) Berlusconi che tacciava le procure “rosse” di eversione, definendole “un cancro da estirpare”. In questo attacco forsennato e dissennato contro uno degli assi portanti dello Stato, la nostra giovane agit-prop trova un valido fiancheggiatore nell’altro nemico giurato della Magistratura, il rieletto Presidente degli Stati Uniti che, nel suo delirante discorso dell’Inauguration Day, afferma proprio come la Giorgia nazionale: “La bilancia della nostra giustizia sarà riequilibrata, la violenta e ingiusta trasposizione dell’amministrazione giudiziaria in un’arma politica finirà”. Sono la giustizia e i suoi amministratori quelli sui quali ricade tutto ciò che non funziona in questi paesi, e questo perché mentre la nostra Premier ha dichiarato apertamente d’essere lei in persona “la Nazione”, eletta con il consenso popolare, i magistrati non sono sottoposti al rito elettorale, pertanto non devono permettersi di avere voce in capitolo. Questa miscela esplosiva fra populismo e autoritarismo abbatte decenni di cultura costituzionale e di misura istituzionale, lasciando campo libero ai nuovi unti del Signore: il popolo ci ha votato, dunque siamo legibus soluti. Tutti gli altri poteri dello Stato sono sott’ordinati, proprio perché non eletti e dunque privi di legittimità popolare. Nessun organo “terzo” ci può controllare, inquisire, condannare: le urne ci conferiscono immunità di diritto e/o impunità di fatto. Fare un uso del genere delle urne è un vero e proprio abominio e un tradimento dei principi della Carta, che agli articoli 101 e 104 così recita: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge. La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. È il popolo quindi che, avvalendosi della Magistratura, esercita la giustizia, e quando il popolo, invece di affidarsi alla Costituzione, preferisce scegliere di seguire i pifferai di turno che lo portano dove a loro fa più comodo, allora è al popolo che bisogna chiedere conto del perché le cose vanno così male. Ed è per questo che il popolo, libero di votare e di fare le sue scelte, non può permettersi di dire “non è colpa mia” quando vede la democrazia scivolare sempre più in basso, perché, al contrario, la colpa è tutta sua!