
Diciamo la verità, l’America per molti europei e in particolare per noi italiani è sempre stata considerata un sogno irraggiungibile, una mèta ambita e agognata. Una esilarante parodia di come gli italiani consideravano “il grande paese”, l’abbiamo plasticamente rappresentata in quel capolavoro di Alberto Sordi intitolato, per l’appunto, “Un americano a Roma”. L’America l’abbiamo conosciuta grazie alla grande industria cinematografica di Hollywood che per decenni ci ha presentato, tranne rari casi, un paese frutto della fantasia di registi, sceneggiatori, autori, attori. I nostri eroi, specialmente negli anni ’50 – ’60, si chiamavano Gregory Peck, John Wayne, Elizabeth Taylor, Gary Cooper, Orson Welles, James Stewart, Frank Sinatra, e potremmo continuare a lungo. In loro noi abbiamo visto la rappresentazione di un Paese che ci veniva presentato, e rappresentato, come la summa di tutti i nostri desideri: macchinone che in Italia ce le sognavamo, facilità di arricchirsi, la Coca Cola, la gomma da masticare, i McDonald’s, i grattacieli, i film e le innumerevoli serie TV che hanno letteralmente condizionato la nostra vita e l’idea che ci siamo fatta di quel grande Paese.
Sono, infatti, milioni gli europei e gli italiani che questo sogno l’hanno realizzato, sbarcando a Ellis Island, un’isola ghetto per gli immigrati europei, per circa settant’anni, fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del secolo scorso, per infine rendersi tristemente conto che non era poi tutto oro quello che luccicava, a cominciare dall’accoglienza che ricevevano quelle masse di diseredati (circa 20 milioni) che venivano accolti come i profughi dalla Libia oggi e trattati con disprezzo. Non dimentichiamo che l’America era anche quella del Ku Klux Klan, nella quale bastava essere nero per essere catturato da bande di vigliacchi assassini incappucciati che, prima di ucciderli, infierivano sui loro corpi con una crudeltà inimmaginabile. Pensavamo che si trattasse di un periodo ormai alle spalle della storia di quel Paese ma, orribile a dirsi, sta ritornando. Sono cominciati i raid nelle città a caccia di clandestini, mentre in Kentucky sono riapparsi i volantini del Klan, con un messaggio rivolto agli immigrati: “Andatevene ora”. E non c’è dubbio che questa recrudescenza è del tutto dovuta alle idee in merito che caratterizzano il nuovo Presidente e la sua politica di emarginazione di chi non è bianco e marca America!
Poi, come abbiamo scritto di recente, il gigante ha mostrato d’essere dai piedi d’argilla, “la più grande democrazia del mondo” sta mostrando adesso tutta la sua fragilità e sta collassando su se stessa. E, per quanto strano possa suonare a molte orecchie di suoi estimatori, questo declino, iniziato da decenni, subirà una forte spinta in avanti, ora che a dirigere questo strano e contraddittorio Paese c’è un personaggio più da fumetti, tipo Spiderman, che da presidente degli Stati Uniti. È un uomo, Trump, che da quattro anni, cioè da quando perse la rielezione dopo il suo primo mandato, è adesso animato da un profondo spirito di vendetta, di rivalsa verso tutto e verso tutti. Lui si sente legittimato non come presidente, ma come “capo” di una nazione che ora è ai suoi ordini, e ha cominciato immediatamente ad agire per farlo capire a tutti, come licenziando più di mille impiegati statali che non coltivano le sue stesse idee, facendo uscire gli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, costituendo così un grave pericolo per tutto il mondo, e anche dagli accordi di Parigi sul contenimento dei gas serra per attenuare il riscaldamento mondiale, e dando nuovamente il via alla più grande capacità estrattiva di petrolio e gas, di cui il Paese è grande produttore, tenendo in assoluto non cale gli effetti del cambiamento climatico; uscita anche dall’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, che si prefigge di favorire una crescita economica sostenibile, sviluppare l’occupazione, aumentare il tenore di vita, mantenere la stabilità finanziaria. Insomma, al suono di Drill, baby, Drill! (scava, ragazzo, scava!), come ripetuto anche l’altro ieri sera nel suo primo discorso da presidente in carica, il tycoon ha mostrato al mondo quale sarà il programma economico della seconda amministrazione Trump. E se questo dovesse richiedere l’uscita da altri trattati o accordi internazionali, di certo non si tirerà indietro.
A cominciare da quando si è seduto sulla poltrona più alta del Paese non ha smesso di firmare “ordini esecutivi” a raffica, che ne stanno radicalmente mutando il volto. Un potere simile non lo detiene un solo capo di Stato europeo, mentre il Presidente, infischiandosene di tutte le politiche seguite dai suoi predecessori, ha la facoltà di agire come un dittatore, facendo vendette, prendendosi la rivincita, per dimostrare ad ogni costo chi è che adesso comanda in America. A questo punto — e siamo solo all’inizio — non possiamo non porci la domanda, dato che questo Paese esercita la sua influenza su tutto il mondo: in che stato è l’America? Come scrive Federico Rampini in un suo recente libro, intitolato America. Viaggio alla riscoperta di un paese (Ed. Corriere della Sera 2024), il mondo si pone questa domanda. Tutti sono al suo capezzale. I nemici sperano di assistere a un coma irreversibile, allo stadio terminale della sua decadenza. Amici e alleati oscillano tra la paura di essere abbandonati e un sottile compiacimento misto a sensi di rivalsa (“ve l’avevamo detto di fare così e cosà”, gli europei in particolare sono sempre stati convinti che l’America ha bisogno dei loro consigli).
La dimostrazione che Trump, ma non soltanto lui, ve ne sono stati altri nella storia di quel Paese, abbia più i poteri di un dittatore, l’abbiamo avuta proprio in questi giorni, quando ha graziato un condannato a vent’anni per aver preso parte all’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2012 (un vero e proprio colpo di stato, reato gravissimo) che però meritava la grazia esclusivamente per il fatto che era un sostenitore di Trump e la pensava come lui in merito alle elezioni truccate (secondo lui) che portarono alla vittoria di Biden. Oltre a questa grazia Trump ne ha concesso un’altra a Ross Ulbricht, condannato nel 2015 a due ergastoli per gravi reati, ma poiché appartiene al partito Libertario che ha appoggiato Trump in campagna elettorale, i due ergastoli sono stati cancellati. I toni e i modi d’agire di questo Presidente non sono riscontrabili in nessuna democrazia europea, nemmeno nella Francia di Macron, che è una repubblica presidenziale. Noi siamo abituati (sempre meno, purtroppo) alle battaglie parlamentari, alla contrapposizione fra governo e opposizione, e c’è una Corte Costituzionale che ha l’ultima parola (per fortuna). In America non è così e nei prossimi quattro anni (se il suo mandato riuscirà ad arrivare fino alla fine) ne vedremo delle belle, perché il suo MAGA vuole riportare ai fasti del passato e ha due grandi e potenti avversari che gli intralciano il cammino: la Cina e la Russia che insieme sono grandi parecchie volte gli Stati Uniti con una popolazione enormemente superiore. Starà a guardare mentre la Cina si prenderà Taiwan, o mentre la Russia si impadronirà di mezza Europa orientale, o sarà troppo occupato a muovere guerra (?) alla Groenlandia, al Canada e a Panama?
Ancora una volta, come abbiamo più volte ripetuto, la nostra salvezza non è più quella che potrebbero darci gli Stati Uniti come quando nella seconda guerra mondiale salvarono l’Europa da due spietati dittatori, che volevano imporre il loro dominio su tutto il mondo. Adesso è il caso di ascoltare ancora una volta la voce della saggezza, e siamo fortunati ad averla perché proviene come sempre dal nostro Presidente della Repubblica che, in occasione del conferimento di una laurea ad honorem dall’Università di Messina, ha ancora una volta ripetuto: “Solo l’Europa” (non l’America) ci salverà. Gli Stati singolarmente non sono in grado di fornire risposte adeguate alle sfide del presente. L’UE ce la farà se rimarrà coesa, nella consapevolezza della sua identità. Soltanto uniti i Paesi membri potranno continuare ad assicurare ai loro cittadini, come avviene da settant’anni, un futuro di pace e di benessere”; il Presidente ha dedicato la mezz’ora del suo intervento ad un appassionato europeismo, partendo dal lontano 1952, quando venne istituito il trattato della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.
Oggi, invece, è il tempo di Musk. Le democrazie si disgregano. Trump minaccia di disegnare un nuovo mondo, ammaccando il multilateralismo. Commina dazi, predica l’isolazionismo, imperialismo di nuovo conio. E la cosa ci riguarda perché punta a dividere gli europei, a indebolire la Ue. Sapremo resistergli? Mattarella avverte, ragiona, storicizza. Ci ricorda che l’Europa ci dà solo vantaggi, e li elenca tutti, dalla rapida distribuzione dei vaccini durante la pandemia ai nostri figli che vanno all’Erasmus, ai cospicui finanziamenti che da Bruxelles arrivano agli atenei, godiamo di un’alimentazione più sicura perché l’Unione impone standard rigorosi e si preoccupa di assicurare controlli diffusi ed efficaci, per non parlare dei vantaggi economici del Next Generation Eu. E ci ricorda anche che troppo spesso si considera la Ue come un soggetto estraneo agli Stati membri. Ma poi lamenta che il nostro limite più grande è che l’attuale assetto dell’amministrazione sconta l’assenza di uno spazio politico effettivamente integrato, di soggetti politici realmente di livello europeo. Non ci sono più grandi partiti che sanno indirizzare. Imperano i tycoon, gli oligarchi del tech che sognano di andare su Marte, al posto di De Gasperi e Monnet. Mattarella ricorda a tutti noi, che ne siamo dimentichi, quanto sia importante la democrazia che i nostri padri hanno saputo realizzare in Europa, e che consente agli Stati nazionali di affrontare e risolvere problemi impossibili da affrontare autonomamente, ma richiedono interazione tra parlamenti, esecutivi e amministrazioni nazionali, europee e, se possibile, sovranazionali. Sovranazionali è la parola chiave. E pace. Questo era il fine dei trattati istitutivi della Comunità europea. E mentre l’America è sempre più lacerata, confusa e divisa, noi abbiamo l’Europa Unita e dobbiamo tenercela stretta, senza bisogno che una signora con l’accento della Garbatella vada, lei sola, a baciare la pantofola al nuovo padrone del mondo. Grazie, presidente Mattarella!