
Queste parole, ormai diventate immortali, furono pronunciate circa due secoli fa da Napoleone Bonaparte quando da sé s’incoronò re d’Italia. A conferma dei corsi e ricorsi della storia, nei giorni scorsi abbiamo assistito ad una scena del genere, dove cambiava soltanto l’anno e il nome del “Napoleone” di turno, non più Bonaparte, ma Trump (o Trusk, come alcuni hanno efficacemente riassunto il binomio dei nuovi governanti americani, Donald Trump e Elon Musk). La cerimonia a cui il mondo intero ha assistito differiva veramente poco dalle fastose cerimonie di assunzione del potere dei re del passato, e il mettere Dio a gestore occulto (ma non troppo) di questo nuovo regime semiteocratico, non è poi tanto peregrino. Napoleone attribuì a Dio la volontà di conferirgli la corona, Trump ha fatto esattamente la stessa cosa affermando che la sua presidenza è frutto della volontà di Dio, che ha posto il Tycoon sotto la sua ala protettrice, preservandolo da ogni tentativo di ostacolarlo, perché è sua ferma convinzione che Dio lo abbia scelto per salvare l’America. Con la differenza che ai tempi del grande Còrso spirava un clima del tutto diverso da quello che spira oggi, clima nel quale quelle parole, considerate sacre, oggi suonano piuttosto ridicole con l’aggravante che forse nemmeno il moderno “Napoleone” ci crede lui stesso, ma le ha pronunciate sapendo che il terreno sul quale cadono è perfettamente in sintonia con ciò che egli rappresenta per loro, non per nulla si è lanciato in un’acrobatica espressione che non sentivamo più da secoli, cioè che con lui sta per iniziare per gli Stati Uniti, e solo per gli Stati Uniti, “l’età dell’oro”. Un primato Trump lo ha già raggiunto e nessuno può negarglielo, si tratta, infatti, del primo presidente pregiudicato della storia del suo Paese, imputato di 34 capi d’imputazione, fra i quali quello che lo vede colpevole di flagrante adulterio con una donna che lui ha pagato perché tacesse. Forse Trump nella concitazione ha dimenticato che il suo dio protettore e mallevadore aveva pronunciato migliaia di anni fa una precisa condanna per chi avesse violato il sesto comandamento del Decalogo, che vieta esplicitamente l’adulterio, ritenendo che Dio nel suo caso avesse chiuso un occhio e forse anche tutti e due.
Ripetere qui ciò che da mesi, in particolare da ieri, quando è stata ufficializzata l’elezione, ha ormai uniformato tutti i media è esercizio inutile e defatigante; narrare come nei suoi deliri di grandezza egli si consideri l’uomo che dio ha scelto per il MAGA (Make America Great Again = Rendere l’America di nuovo Grande), o come abbia l’intenzione di acquisire agli Stati Uniti con ogni mezzo, sia politico che diplomatico o con le armi, territori che appartengono ad altre nazioni, come la Groenlandia, o il Canada o il canale di Panama, o che farà cessare la guerra Russia-Ucraina, o l’eliminazione dello Ius Soli, o la lotta senza quartiere a chi non appartiene ai soli due generi da lui riconosciuti, maschio e femmina, o la progettata espulsione di milioni di cittadini stranieri residenti negli States è ormai una narrazione comune e non diremmo niente di nuovo. Piuttosto, la domanda che ci si dovrebbe porre, che gli americani dovrebbero porsi è: cosa sta accadendo in America, sì da aver consentito all’uomo meno idoneo del mondo a rivestire la carica di presidente del Paese? Perché in fondo sono i cittadini, gli elettori che, nonostante tutto quello che abbiamo detto e di cui tutti sono al corrente, hanno deciso di premiarlo con il loro voto, cioè con la loro approvazione. Cosa sta accadendo negli Stati Uniti?
Forse per comprendere al meglio ciò che per i cittadini europei sembra incomprensibile, è necessario conoscere l’America e chi vi abita. L’America è — da sempre — un paese profondamente diviso; basta ricordare la guerra più sanguinosa che essi hanno combattuto, più sanguinosa di tutte quelle che l’avevano preceduta e seguita: la guerra di secessione, che vide opposti in un massacro indimenticabile gli stati del Sud contro quelli del Nord; in poche parole una guerra civile motivata, ma non solo, dal fatto che i primi volevano mantenere la schiavitù che li aiutava a prosperare e ad arricchirsi a spese di uomini colpevoli soltanto di avere la pelle di colore diverso. In poche parole una guerra civile dove il nemico non erano gli stranieri, ma i loro stessi fratelli. L’eco di quella guerra, purtroppo, non si è mai del tutto spenta, e si manifesta in ogni occasione. Inoltre, c’è anche il fatto che l’America è una federazione di Stati, ognuno dei quali è gelosissimo della sua autonomia e le cui leggi differiscono notevolmente in tutti e cinquanta, sicché se un cittadino commette un omicidio in Texas, Georgia o Missouri, sarà condannato all’iniezione letale, se invece commette lo stesso reato in Virginia, Massachussets o New York, è condannato al carcere. La differenza fra le legislazioni e anche fra l’indole degli abitanti di quegli Stati è così profonda che per potere trasferire un criminale colpevole di gravi reati dallo stato in cui si è rifugiato in quello nel quale ha commesso il crimine, è necessaria l’estradizione, come in Europa accade ma non fra le regioni di uno stesso stato, come se fosse necessaria l’estradizione fra Lombardia e Sicilia, ma soltanto fra stati come Germania, Italia, Francia, ecc. E questo accade perché l’America è una federazione di Stati gelosi della loro identità e sprezzanti verso tutti gli altri. Per quanto possa sembrare strano agli occhi di un europeo, il cui sogno è quello di un’Europa Unita, in America lo Stato centrale, i “federali” sono spesso considerati il “nemico”, che si vuole intromettere nelle loro faccende. Ci sono più differenze fra gli Stati della federazione che fra gli stati europei. E questo solco che la divide comincia sin dall’infanzia, dalla scuola. Il divario educativo è uno dei principali problemi che attanagliano gli Stati Uniti. Non è da intendersi solo come divario a livello di istruzione fra etnie, generi, classi, Stati. Il nodo profondo di tale questione si intreccia sul piano della formazione della coscienza individuale e collettiva. Ha a che fare con lo sviluppo della propria identità, del proprio orientamento nel mondo e della propria storia. Ed è un triste dato di fatto che sono sempre più le famiglie che non mandano a scuola i propri figli, preferendo lo homeschoolers, ovvero i ragazzi che ricevono l’istruzione in famiglia anziché a scuola. Uno dei principali motivi per cui molte famiglie fanno questa scelta è la sicurezza dell’ambiente scolastico: armi, droga, pressione negativa da parte dei coetanei, il desiderio di fornire un’educazione morale (quale morale poi, sarebbe interessante scoprirlo). Mentre nel nostro Paese e negli altri paesi europei è lo stato centrale che provvede ai programmi scolastici, negli Stati Uniti non è così, ed ecco perché nell’età adulta abbiamo una popolazione così eterogenea, anche perché la storia che viene loro insegnata è profondamente diversa a seconda dello Stato in cui viene impartita, storia che molto spesso è insegnata con una visione distorta dei fatti realmente accaduti. Le differenze fra Stati coinvolgono anche il contenuto dei programmi di studio. Uno dei temi più scottanti è quello dell’insegnamento della Teoria critica della razza nelle scuole (conosciuta come Critical race theory). Esattamente come in materia di aborto, ogni Stato è libero di legiferare sull’argomento.
Forse per aiutarci a capire qual è l’America che ha votato Trump è utile leggere un libro, scritto dall’attuale vicepresidente, J.D. Vance, che sta avendo un enorme successo in tutto il mondo: Elegia americana (Garzanti, 2024). È un libro che dà spiegazione dei profondi cambiamenti che attraversano il Paese. Esso celebra un’America silenziosa e dà voce a quella classe operaia dei bianchi degli Stati Uniti più profondi che un tempo riempiva le chiese, coltivava la terra e faceva funzionare le industrie. Quel mondo non c’è più, al suo posto solo ruggine e rabbia, e J.D. Vance, che vi è cresciuto, ne è diventato il cantore.
Come dice l’editoriale dell’ultimo numero di Limes (Dicembre 2024), “L’America come la conoscevamo non è in crisi, è finita … La vecchia America è morta. Trump e Musk ne rifonderanno alcune parti, ma non la porteranno fuori dalla tempesta. Le faglie interne sono troppo profonde. L’autosegregazione in corso, la discordia sui valori fondanti e sulle ways of Life. Si va verso una normalità caotica. La vittoria di Donald Trump e di Elon Musk chiude un’èra senza aprirne ancora un’altra. È sicuramente in corso una rivolta. Trump e Musk sono i veicoli di un’eterogenea ribellione contro alcuni pilastri del potere costituito; economici, politici, culturali e imperiali. C’è la rabbia popolare verso decenni di sfrenato neoliberismo che hanno reso il sogno americano inaccessibile ai più (e di cui parla J.D. Vance). In questo periodo di declino forse irreversibile dell’America reaganiana ottimista e potente, noi europei dobbiamo smetterla di rifugiarci sotto l’ombrello americano, ormai non più in grado di sanare le profonde divisioni che lacerano il Paese, ma dobbiamo ritrovare il collante per l’unità che affonda le sue radici nelle moltissime cose in comune che hanno agli europei, a cominciare dalla cultura, abisso che ci divide dagli Stati Uniti. Che l’America segua il suo Tycoon e il folle miliardario che vuole piantare la bandiera USA su Marte, noi europei abbiamo una storia da difendere e le capacità e le risorse per diventare il perno del mondo. Se solo lo vogliamo.