É veramente singolare che in un tempo come il nostro, avviato ormai verso una inarrestabile laicizzazione e un sempre minor interesse per i dibattiti teologici, riservati a un’élite di studiosi e di specialisti, stia riscuotendo tanto interesse e tanto successo un argomento — associato ad un termine (conclave) — che sembrava ormai desueto e marginale. Eppure non è così. A breve sarà proiettato sugli schermi di tutto il mondo il film Conclave, del regista Edward Berger, tratto da un romanzo di grande successo di Robert Harris, avente lo stesso titolo. Anche un altro grande scrittore di thriller — Glenn Cooper — vi ha dedicato uno dei suoi titoli di maggior successo, L’ultimo conclave, che ha fatto il pieno di vendite.
Per chi non fosse un profondo conoscitore della liturgia cattolica e dei suoi riti, possiamo subito chiarire che il termine “conclave” deriva direttamente dal latino cum clave, cioè “(chiuso) con la chiave” o “sottochiave”, che usualmente indica sia la sala in cui si riuniscono i cardinali della Chiesa cattolica per eleggere un nuovo papa, sia la riunione vera e propria. L’attuale papa cattolico, Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, con i suoi 88 anni sul groppone e con una salute piuttosto malferma, sta preparando la Chiesa alla sua successione, ed essa avverrà, com’è ormai consuetudine da secoli, mediante una votazione, proprio come si elegge un sindaco o un deputato, o qualunque altro politico, da parte dei cardinali accreditati, che pongono la loro scheda nell’urna, con su di essa il nome del porporato di loro scelta. Come spiegheremo meglio più avanti, di una procedura del genere per eleggere il capo assoluto della Chiesa cattolica, il Sovrano della città del Vaticano, non si trova la minima traccia nella Bibbia, sia in quella ebraica che in quella cristiana. Si tratta quindi di una consuetudine che risale come minimo a 12 secoli dalla morte del fondatore della Chiesa, Gesù Cristo, che non conobbe mai il termine Papa per alcuno dei suoi discepoli e nemmeno per se stesso.
Torniamo adesso all’evento di cui ci stiamo occupando che, in seguito alla diffusione cinematografica, non mancherà di suscitare aperti dibattiti e un accresciuto interesse. L’evento storico che diede il nome di conclave all’elezione dei pontefici risale al 1270, quando gli abitanti di Viterbo, allora sede papale, stanchi di anni di indecisioni dei cardinali, li chiusero a chiave nella sala grande del palazzo papale e ne scoperchiarono parte del tetto, in modo da costringerli a decidere al più presto chi eleggere come nuovo pontefice, ruolo che andò a papa Gregorio X. Da allora, con alterne vicende, si sono succeduti al “soglio di Pietro” ben 266 pontefici, ovvero 266 vescovi, poi cardinali che, riuniti in luogo segretissimo, hanno scelto chi avrebbe dovuto rivestire l’incarico più importante del mondo cattolico, e questo anche perché nella storia del cattolicesimo, anzi nelle fibre stesse del cattolicesimo, il conclave (l’assemblea dei cardinali chiamata a eleggere il Papa) è una realtà mantenuta segretissima. Si sa solo che, secondo la dottrina cattolica, il Papa vi è designato dallo Spirito santo. I cardinali partecipanti sono tenuti al silenzio, il Papa no. “Il Papa è designato dallo spirito santo”, ci viene detto. A prescindere dal fatto che lo Spirito santo esista o meno, se egli sovrintendesse a questa importantissima fase della vita e della storia della chiesa, che bisogno ci sarebbe di ricorrere a delle elezioni con tanto di schede e di risultati a maggioranza? Quando lo Spirito santo volle far sapere a tutti che Gesù era il Messia scelto da Dio, ricorse a un espediente molto semplice che ci viene narrato nel vangelo di Matteo 3:16, 17: «Appena battezzato, Gesù risalì subito dall’acqua. Ed ecco: si aprirono i cieli e vide lo Spirito di Dio discendere in forma di colomba e venire su di lui. Ed ecco: una voce venne dai cieli che diceva: “Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho posto la mia compiacenza”». La Cappella Sistina, il luogo dove si svolge l’elezione, ha il soffitto abbastanza alto perché una colomba possa volteggiarvi e posarsi sul prescelto, evitando così a un’assemblea di vegliardi, spesso lacerati tra loro, esattamente come nelle elezioni politiche, di poter scegliere un individuo forse affatto inadatto al ruolo, con grande nocumento per l’intera assemblea dei fedeli, la Chiesa. Inoltre, sappiamo bene dalla storia, narrata anche da sinceri cattolici, che l’elezione di un papa ruota tutto intorno a un intreccio di macchinazioni ordite per far votare il proprio candidato. Alla vanità degli aspiranti al soglio pontificio. E ai tanti segreti e scheletri nell’armadio dei papabili. Che in Cappella Sistina oltre al soffio dello Spirito santo entrino in campo intrighi e lotte di potere non è un mistero della fede, e Francesco — il papa attuale — lo ha confermato pubblicamente, quando in un recente libro-intervista dedicato al suo predecessore, intitolato El sucesor, racconta come la curia romana tentò di bruciare il nome di Ratzinger, nel 2005, per far strada a un altro candidato (vedi L’Espresso del 29 novembre 2024). Nel prossimo conclave si raduneranno 118 cardinali per eleggere il nuovo papa, ed è per questo che l’attuale Papa e i suoi predecessori hanno esercitato una cura particolare per conferire le porpore cardinalizie a vescovi di loro scelta, noti per il loro profilo tradizionalista, o conservatore; può quindi dirsi che Francesco ha ridisegnato la geopolitica del collegio che nominerà il suo successore, e ha nominato in tutto 129 cardinali, il cui profilo è per lo più pastorale, lasciando senza porpora sedi tradizionalmente cardinalizie e riducendo al lumicino la fronda degli ultraconservatori.
Dopo questa piccola intrusione in un mondo che ci è sostanzialmente sconosciuto, entriamo adesso nel merito vero e proprio della figura del papa: innanzitutto, dobbiamo affermare con assoluta certezza che il termine papa e la sua funzione sono del tutto sconosciuti nelle Scritture cristiane e a Gesù stesso. Come scrive Karlheinz Deschner ne Il gallo cantò ancora (Massari editore, 1998): «Come conciliare poi un simile privilegio con l’opinione di Gesù, per cui esiste un solo “maestro”, e tutti gli altri sono semplicemente fratelli? Come interpretare l’affermazione che sulla terra nessuno dovrà essere chiamato “Padre” (papa in greco) perché uno solo è il padre, quello che è nei cieli? (Matt. 23:8, segg.). Come può sussistere un “Santo Padre” di fronte a tale concezione? E come può considerarsi un’eccezione alle parole di Gesù: “Chi vuol essere fra voi più grande, dovrà essere servo di tutti”? (Marco 10: 43, segg.)». Di recente abbiamo commentato le celebri parole di Gesù rivolte a Pietro nelle quali egli gli affida l’incarico di fondare su se stesso (Kefa, la roccia) la sua Chiesa conferendogli le chiavi del regno dei cieli e l’autorità di legare e di sciogliere, alla quale il cielo stesso dovrà poi sottomettersi. Ma, come spiega sempre Deschner: «Anche ammesso che Gesù abbia effettivamente pronunciato le parole attribuitegli da Matteo 16:18 … giammai si sarebbe augurato questa chiesa, questa istituzione politicamente gerarchizzata e minuziosamente regolata sotto il profilo giuridico e cultuale, una chiesa del Diritto e del Potere … Nel Nuovo Testamento, i cui scritti più recenti ci portano fin quasi alla metà del II secolo, non esiste traccia della cosiddetta successio apostolica, cioè dell’affermazione di una ininterrotta successione giuridicamente fondata dei vescovi a partire dall’epoca apostolica. E in realtà una successione simile non è mai esistita».
Che dire, poi, degli abiti preziosi e degli orpelli dei quali il romano pontefice si adorna, sì da assomigliare ad un monarca mediorientale dei millenni scorsi, come, per esempio la Tiara e il Pastorale? La Tiara, chiamata anche Triregno, ora dismessa ma indossata per secoli, era formata da tre corone simboleggianti il triplice potere del Papa: padre dei re, rettore del mondo, Vicario di Cristo del XVIII secolo, con cui viene incoronato nella Basilica Vaticana il San Pietro bronzeo il 29 giugno, festa del santo. E il Pastorale? Il pastorale, chiamato anche bastone pastorale, oppure baculo, o per esteso baculo pastorale, oppure più raramente vincastro, è un bastone dall’estremità ricurva e spesso riccamente decorata, usato dal vescovo nei pontificali e nelle cerimonie più solenni; è simbolo della dignità e autorità episcopale. Dall’alto medioevo, se non prima, i papi si servirono della ferula pontificalis come insegna indicante la loro potestà temporale. La forma della ferula non è ben conosciuta ma probabilmente si presentava già come un bastone che portava al suo vertice una croce. È dal tardo medioevo che i papi iniziarono a usare come ferula anche un bastone con la triplice croce. Nel medioevo, inoltre, al papa, quando dopo la sua elezione prendeva possesso della Basilica Lateranense, era presentata la ferula dal priore di San Lorenzo in Palatio come signum regiminis et correctionis, cioè come simbolo di governo che include la punizione e la penitenza. La presentazione della ferula era un atto importante, ma non aveva lo stesso significato dell’imposizione del pallio (altro paramento liturgico) nella incoronazione del papa. Infatti, non era più osservata almeno dall’inizio del Cinquecento. Aggiunge ancora Deschner: «A prescindere poi dal fatto che Pietro sia stato a Roma o no, è certo che non ha mai occupato la cathedra Petri. Si tratta di uno dei falsi più vistosi della Chiesa Cattolica, la quale gabella Pietro quale primo Papa insediato da Gesù, e di conseguenza il dominio ereditario assoluto sulla Chiesa dei suoi successori. Sul fondamento di questa pura invenzione i Vescovi di Roma si arrogano il potere e il diritto assoluti di decidere a piacimento di qualsivoglia questione di fede. In verità il dogma dell’episcopato universale del Vescovo di Roma e dell’Infallibilità in materia di fede venne proclamato solo nel Concilio Vaticano del 1870. Pietro non fu né il primo Vescovo di una presunta successione apostolica né, tantomeno, il primo Papa. Vorremmo chiudere questa trattazione del conclave con una frase di Cristo in Matteo 10:8 segg: «Non avrete nelle vostre cinture né oro, né argento, né bronzo. Avete ricevuto gratuitamente e gratuitamente dovrete dare». C’è qualcuno al quale queste parole non sembrino in aperta e flagrante contraddizione con l’opulenza della Chiesa, con le sue ricchezze, i suoi possedimenti e con il cosiddetto “tesoro di san Pietro”, gelosamente custodito in Vaticano? Non sembra proprio.