Epistocrazia, una strada percorribile?

tempo di lettura: 3 minuti
Disegno di A. Nacarlo

Ho letto con grande interesse l’articolo di Sergio Pollina dal titolo: “Elezioni e democrazia” ed i relativi commenti. Confesso di non aver mai incontrato in precedenza la parola “epistocrazia”: conoscevo, questo sì, le critiche mosse alla democrazia dal lungimirante Platone, ma le ho sempre immaginate nell’area delle idee irrealizzabili, specie se proiettate nell’epoca attuale. Ciò che colloca anche l’epistocrazia ai margini del possibile è la sua problematicità, che lascia senza risposte plausibili alcune fondamentali domande.

La prima riguarda l’individuazione di chi può essere ammesso al voto, sia passivo che attivo. Le democrazie occidentali, per quanto imperfette (su tutte, quella statunitense), hanno nel tempo con fatica, lotte e sacrifici teso al raggiungimento del suffragio universale, una meta storica che ha garantito giustizia ed uguaglianza. Si può fare marcia indietro e rinunciare a questa conquista? Al momento l’unica, fallace alternativa realizzata in proposito è la democratura o democrazia illiberale nella quale il suffragio è rimasto universale ma pesantemente condizionato dai brogli, dalle pressioni indebite e dalle minacce di chi vuole restare al potere simulando un consenso, spesso plebiscitario ma in realtà totalmente pilotato.

Del tutto diversa è la situazione delle democrazie in crisi caratterizzate da margini di astensionismo crescente e di per sé preoccupante. Allarmanti sono invece gli esiti elettorali che vedono in progressiva ascesa le destre estreme in quasi tutti i paesi dell’occidente democratico. Astensionismo ed estremismo sono i due fattori che spingono alcuni analisti a considerare con favore l’epistocrazia. Ma come realizzarla? Come selezionare i candidati e gli elettori? Una visita al sito “L’Associazione Epistocrazia” permette di apprenderne i criteri generali: “L’epistocrazia è una forma di governo che lega l’accesso al voto dei singoli cittadini alla capacità di comprendere un testo di base e distinguere i fatti e le opinioni che vi sono esposte. Richiede inoltre ai candidati ad una carica politica ed istituzionale, la dimostrazione di una adeguata preparazione e idoneità a ricoprire quella carica”. Più in dettaglio, ma senza scendere nei particolari, il programma dell’associazione, encomiabile, sarebbe quello di creare degli elettori bene informati e dei candidati competenti. Non ho approfondito le metodologie suggerite a questo scopo, ma resto perplesso su come sia possibile stabilire chi viene ammesso al voto attivo e come vengono scelti i candidati competenti.

La voce che Wikipedia dedica all’argomento ci spiega che Brennan, un suo acceso fautore, sostiene «… ad oggi, la tesi più accurata e argomentata su cui si fonda una profonda critica al sistema democratico è basata sul “principio di competenza” ovvero l’importanza di non consentire ad alcuno di prendere importanti decisioni per tutti gli altri, a meno che questi non abbia almeno un ragionevole grado di competenza per farlo». Si ritorna così a mettere in dubbio il valore del suffragio universale e del potere al popolo. Brennan individua tre categorie per definire i cittadini: Hobbit, Hooligan e Vulcaniani. Attribuisce ai primi sia un totale disinteresse che livelli molto bassi di conoscenza delle questioni politiche, ai secondi un livello di poco superiore ai primi in termini di conoscenza ma un grado molto alto di distorsione della realtà dovuto all’impossibilità di valutare attraverso parametri oggettivi tesi opposte alle loro, agli ultimi considerati attribuisce invece il maggior grado di conoscenza e raffinatezza analitica. Per muovere la sua critica afferma quindi che sono molto pochi i Vulcaniani e che la maggior parte degli elettori ha caratteristiche più simili agli Hobbit e agli Hooligan, ovvero un misto tra totale disinteresse e tifo politico che non consente loro di eleggere rappresentanti degni. L’autore propone quindi un sistema di “merito” per il diritto di voto che potrebbe consistere in questo: «nel dimostrare di sapere almeno chi abbia ricoperto ruoli elettivi di potere nel suo precedente mandato, quali fossero i mezzi reali a sua disposizione, quali le possibili opzioni politiche e di governo, a quali risultati avrebbero portato scelte diverse».

Assecondando le pittoresche definizioni a sfondo anglo-celtico di Brennan, si dovrebbero escludere dunque gli elettori che disertano abitualmente le cabine elettorali? Oppure selezionarli in base al titolo di studio? O, ancora, elevare l’età minima per votare, presupponendo negli adulti una maggiore consapevolezza? O, magari, in considerazione di specifiche competenze? O nell’approfondimento della Costituzione e delle procedure parlamentari? Si spera non in base al censo e potrebbe semmai essere motivo condivisibile di esclusione una fedina penale non immacolata. Tutte soluzioni improponibili e soprattutto di rischiosa attuazione: l’esclusione dal diritto di voto di qualunque fetta della popolazione sarebbe seriamente contestata dagli esclusi.

Ed infine a chi spetterebbe decidere simili limitazioni? Ad un comitato di esperti con poteri deliberanti? E chi nominerebbe gli esperti? Si tornerebbe fatalmente al governo delle élite, eredi delle aristocrazie o forse ad algoritmi certamente concepiti da raffinati tecnocrati, non meno elitari. Purtroppo, mi si perdoni il pessimismo, sembra utopistica anche la soluzione alternativa prospettata da Antonio Nacarlo nel suo speranzoso commento all’articolo di Sergio Pollina. A chi toccherebbe educare alla buona politica i giovani e la massa di elettori vittima dell’ignoranza e delle false promesse? Se non alla famiglia, spesso distratta o inadeguata, certamente alla scuola e ai media. Ma quanti anni occorrerà attendere perché l’istruzione pubblica raggiunga qualche risultato? E ci si può affidare ai media che per la maggior parte fiancheggiano il potere?

3 commenti su “Epistocrazia, una strada percorribile?”

  1. Giuseppe Bellissimo

    Epistocrazia è l’unica soluzione per evitare le autocrazie. Le obiezioni, legittime e giustificate, sono già state analizzate e superate da molti giuristi ed esperti. Grazie

  2. Antonio Nacarlo

    Carissimo maestro e amico mio è un piacere tornare a leggere i tuoi interventi. Capisco il tuo scetticismo, e riconosco che educare alla politica sia una sfida piena di ostacoli. La mia risposta non vuole ignorare le difficoltà attuali, né presentare un’idea ingenua di cambiamento; piuttosto, vorrebbe essere uno stimolo a riflettere su percorsi possibili, anche se richiedono molto tempo e fatica.
    Il cambiamento sarebbe senza dubbio un processo lento, e non illudo me stesso (né gli altri) che possa avvenire in pochi anni. Tuttavia, mantenere viva la speranza di un progresso graduale, incentivare iniziative educative locali e alternative, e continuare a proporre modelli di partecipazione attiva potrebbe portare a una maggiore consapevolezza collettiva.
    Non nego le difficoltà, ma senza una visione, per quanto “utopistica”, rischiamo di arrenderci all’inerzia.
    Ti saluto con affetto

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