La vita degli esseri viventi, umani compresi, è dominata dalle emozioni. Alcune di esse sono considerate primarie, in quanto accompagnano ogni forma di vita sin dalla nascita. Le emozioni sono un fenomeno complesso, che contribuiscono a formare, nel caso degli esseri umani il carattere o la personalità.
Delle emozioni fanno parte l’amore, la gioia, la tristezza, la rabbia, il rimorso, l’invidia e tante altre. Ma l’emozione più potente, che ha una funzione essenziale in tutte le creature viventi, è la PAURA. La paura è un’emozione primaria, di base, universale, che ha una funzione importantissima, vitale, preziosissima, perché è adattativa, nel senso di protettiva, in quanto si manifesta in risposta a una minaccia, reale o percepita, allo scopo di proteggerci. Essa riveste un ruolo determinante per la sopravvivenza, perché davanti a un pericolo produce nel corpo una reazione di allerta che a volte rappresenta la differenza fra la vita e la morte, come ben sappiamo dal regno animale, dove la paura innesca meccanismi di difesa, come la fuga o l’attacco, a seconda delle circostanze o del tipo di pericolo paventato.
La paura della quale adesso vogliamo interessarci, è una paura di un tipo particolare, che forse alcuni potrebbero considerare una esagerazione o una sopravvalutazione, ed è la paura generata dalla politica, e più avanti entreremo nel merito del perché. Sì, perché anche le paure seguono l’evoluzione dei tempi. In un libro veramente prezioso, dal titolo La paura in Occidente. Storia delle paure nell’età moderna (SEI, 1994) l’autore, Jean Delumeau, analizza magistralmente le paure che hanno condizionato la vita del genere umano nel corso dei secoli. Ci sono paure, per lo meno nel mondo occidentale, che non sono più “di moda”. In generale, infatti, non abbiamo più paura degli spiriti dei morti, delle tenebre, delle bestie feroci, delle streghe e di tutti i timori che hanno caratterizzato ogni fase della storia umana passata. L’uomo ha sempre avuto bisogno di individuare qualcuno da temere (e punire) per dominare l’angoscia ancestrale. La paura ha dominato la storia umana nei secoli dei secoli. Non bisogna, però, come abbiamo detto, trascurare un aspetto positivo della paura. Essa è, infatti, un dispositivo essenziale per sottrarsi ai pericoli e sfuggire provvisoriamente alla morte. Se, però, si prolunga all’infinito e nell’indefinito, diventa una minaccia per l’equilibrio psichico individuale e collettivo. Quali sono, oggi, le paure che maggiormente affliggono l’umanità, a tutte le latitudini e a tutti i livelli culturali? Fra di esse possiamo elencare: il mutamento climatico, fonte di disastri e di rovine che quotidianamente scorrono davanti ai nostri occhi; la progressiva e incessante distruzione di varie forme di vita causata dall’antropizzazione scriteriata del nostro pianeta; la guerra nucleare, paura sconosciuta nei secoli scorsi, ma che dal 1945 in poi è diventata dominante, e oggi è sempre più presente da quando il despota russo Putin non fa altro che sbandierarla come una minaccia nei confronti del “nemico”. Noi occidentali – Ucraina esclusa – non viviamo con la paura costante di sentire il sibilo di una bomba che sta per abbattersi su di noi, come avviene ormai quotidianamente nei due conflitti che insanguinano il mondo e ci stanno facendo perdere la nostra umanità. Ma basta leggere le cronache quotidiane degli inviati di guerra per comprendere come la paura sia il sentimento dominante in quei teatri di conflitto, dove nessuno dei suoi abitanti può sapere se l’indomani lui e la sua famiglia saranno ancora in vita. Ed è qui che la paura si trasforma in angoscia, un’angoscia che dovrebbe spingere tutte le persone benpensanti e di cuore a fare incessante pressione sui loro governi affinché intervengano per porre fine a questo strazio.
Ed è qui che entra in gioco la politica, come dicevo in precedenza. La politica che lucra sulle paure delle persone, dei cittadini, degli elettori, a proprio vantaggio. La politica s’impadronisce delle paure e promette di essere in grado di sollevare gli uomini dall’angoscia a patto che le venga dato il potere. Anche se qualcuno potrebbe non trovare il nesso, a me è chiaro che nel mondo attuale, dove predominano tecnologie di comunicazione e di diffusione delle notizie che sfuggono ad ogni controllo, si intravede il mondo descritto da George Orwell nel 1949, in un suo libro indimenticabile, 1984. In esso è predominante la figura del “Grande Fratello”, che domina la vita degli esseri umani in ogni aspetto, anche il più intimo, della loro esistenza. E come il Grande Fratello riscriveva la storia per adattarla alle sue profezie, oggi questo ruolo lo hanno assunto le fake news, sconosciute come tali ai tempi di Orwell, che inquinano tutto ciò che accade intorno a noi. I politici se ne servono abbondantemente per screditare i propri avversari e per convincere i cittadini elettori che solo loro, siano di destra, di sinistra, di centro, o di qualsiasi altra inclinazione ideologica, saranno in grado, se votati, di risolvere i problemi di tutti, anche quelli irrisolvibili!
Agli inizi del secolo scorso, e per tutto il suo svolgersi, era il Comunismo sovietico, il “Grande Fratello”, il nemico dell’umanità, che era in effetti adombrato nel libro di Orwell. Tanto è vero che nel 1950 la Pravda (mai nome fu più inappropriato!) ne fece la seguente recensione: “Un’opera di fantasia misantropica, un libro schifoso che evoca i raccapriccianti pronostici che vengono espressi ai giorni nostri da un intero esercito di scrittori al soldo di Wall Street”. E, per inciso, un commento molto simile lo espresse nello stesso anno il nostro Palmiro Togliatti. Con la caduta dell’URSS quella minaccia sembrò attenuarsi. Purtroppo, però, il nostro secolo, il XXI, ne sta conoscendo, ancora una volta, una di segno opposto, ma altrettanto letale che, come un cancro o una peste, sta diffondendosi in tutto il mondo, e in Italia ne abbiamo già la prova concreta, sotto la forma del primo governo postfascista dell’Italia repubblicana e liberale.
In 1984, il Grande Fratello controlla ogni istante della vita dei cittadini; oggi il compito di questo continuo spiare per entrare nella vita privata delle persone è affidato agli smartphone, ormai un’estensione della mano delle persone. Senza, molti si sentirebbero come amputati. Come quelli che mentre i tre ragazzi annegavano nel Natisone, invece di soccorrerli, riprendevano la tragedia con i telefonini. Questi strumenti sono i responsabili dell’enorme diffusione a livello mondiale di notizie di cui non è possibile accertare la veridicità, ma che comunque lasciano una traccia nel cervello di chi le legge e che si diffondono istantaneamente in tutto il mondo.
Anche in Italia abbiamo un giornale che si chiama Pravda, ma nella forma italiana, ovvero La Verità. È difficile trovare un giornale così fazioso, così partigiano, capace di trasformare un avvenimento nel suo opposto. Anche se non è il solo nel triste panorama della nostra stampa, in quanto gli fanno compagnia anche altri fogliacci illeggibili, è il solo che abbia preso per sé il titolo del giornale più che secolare del comunismo sovietico.
Anche oggi, a distanza di quasi ottant’anni dalla pubblicazione del libro di Orwell, operano gli stessi meccanismi di disinformazione che egli attribuiva alla figura del Grande Fratello. Un esempio pertinente lo troviamo in uno di questi fogli di “disinformazia”, L’Indipendente, che si è spinto addirittura a coinvolgere il Presidente della Repubblica, accusandolo di aver volutamente tenuto nascosta la verità sulla strage di Ustica, con la motivazione che “la verità farebbe male all’Italia”, e anche di aver prorogato il segreto di Stato sull’intera vicenda per otto anni. Apprendiamo che la notizia, pubblicata in un post che aveva avuto centinaia di migliaia di visualizzazioni, ha dovuto essere ufficialmente smentita dal Direttore del giornale, con una lettera di scuse nella quale scrive: “La dichiarazione «la verità farebbe male all’Italia» non è stata pronunciata dal presidente che non ha deciso della proroga del segreto di Stato”. Lo stesso Direttore è stato costretto, poi, dalla risonanza delle sue affermazioni calunniatrici nei confronti della più alta carica della Repubblica, a scrivere: “Ho commesso un errore. Anzi, due errori che un giornalista non dovrebbe fare e che mi obbligano a una riflessione approfondita sul mio operato. Chiedo scusa nuovamente e non per sperare in una qualche forma di clemenza, ma perché è questo che va fatto quando si sbaglia. Mi scuso soprattutto con i miei lettori e il mio pubblico, per le inesattezze e le imprecisioni contenute nel mio post fallace. Ho rettificato e sono pronto ad assumermi tutte le responsabilità, nonché le conseguenze delle mie azioni, qualunque esse siano. Per il momento – ha concluso – non ho altro da aggiungere al riguardo”. Un caso lampante in cui, come si dice “la toppa è peggio del buco”. La realtà è un’altra, ed è che l’Italia – ormai è evidente – è uno dei target, come altri paesi europei, della campagna di disinformazione russa, nella speranza di orientare il dibattito pubblico. Come spiega Giuliano Foschini in la Repubblica del 2 luglio scorso: “Ci sono le prove che testimoniano come centinaia di account siano mossi direttamente da Mosca. E tracce di denaro sotto forma di donazioni, verso testate «indipendenti» e singoli influencer ai quali viene chiesto di veicolare messaggi precisi. Targettizzati sull’Italia e sul resto dell’Europa”. Quali sono i temi che più vengono utilizzati per condizionare le scelte politiche dell’opinione pubblica, mantenendola così nella più completa ignoranza della realtà? Continua Foschini: “La situazione economica italiana? Disastrosa, con i cittadini pronti ad assaltare banche e negozi di alimentari: questo perché il governo ha deciso di appoggiare le politiche scellerate della Nato di supporto all’Ucraina. Per non parlare delle bollette: raddoppieranno nel giro di pochi mesi perché si è voluto rinunciare nel «nome di una guerra per procura» agli approvvigionamenti russi. Ora, tutte queste non sono soltanto fake news. Ma sono notizie, messe in rete come «forma di ostilità»; la definizione è del presidente Mattarella, che quindici giorni fa denunciò pubblicamente quella «molteplicità di siti web, una diffusa tempesta di fake news» che mettono a rischio la sicurezza nazionale dei principali paesi europei”.
È anche estremamente importante e nel contempo sconvolgente l’attuazione, da parte russa, di un’operazione di disinformazione avviata in concomitanza della guerra contro l’Ucraina, si tratta dell’«operazione doppelgänger», avviata nei confronti dei paesi occidentali, che consiste, nel più puro spirito orwelliano, nella creazione di siti clone che attraverso le testate dei principali network europei, perfettamente copiati e in grado di ingannare anche i lettori più attenti, cercano di diffondere messaggi mirati. In Italia sono stati scelti la Repubblica, La Stampa e il Corriere. Fra le notizie false, ma con forte accento di credibilità, ve ne era una “che spiegava, con tanto di foto della Meloni e di citazione dell’ex sottosegretario allo sviluppo economico, Michele Geraci (vicino alle posizioni putiniane da sempre), come «l’Italia, scegliendo di aiutare l’Ucraina abbia perso; il numero di famiglie italiane in povertà assoluta sono 2,2 milioni, il tasso di natalità è sceso al minimo storico; sostenendo l’Ucraina appare ipocrita e indegna agli occhi di quei paesi che hanno mantenuto partenariati con la Russia e ne traggono benefici”.
Chi, fra coloro che hanno letto il libro di Orwell, non ricorda lo slogan agghiacciante del Grande Fratello: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”. Sì, è proprio così, l’ignoranza è forza, la forza di chi tiene sottomessi i cittadini, il “popolo”, nutrendolo di falsità e di menzogne. Ecco perché Tom Nichols, professore di Harvard, ha raccolto in un libro illuminante tutto ciò che riguarda questo argomento, intitolato La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia (GEDI, 2017). L’autore esprime profonda preoccupazione perché “il sapere dell’americano medio è ormai talmente basso da essere crollato prima al livello di «disinformazione», superando nello slancio la «cattiva informazione», e ora sta sprofondando nella categoria «errore aggressivo». La gente non solo crede alle sciocchezze, ma si oppone anche attivamente a imparare di più, pur di non abbandonare le proprie errate convinzioni … Quando lavoravo a Washington verso la fine degli anni ottanta, mi resi conto che la gente ci metteva poco, anche in una conversazione superficiale, a istruirmi su cosa andava fatto in tutta una serie di settori … Ero giovane e ancora non potevo considerarmi un esperto navigato, ma mi stupì il modo in cui persone che non sapevano nulla di questi argomenti mi tenessero con grande disinvoltura lezioni su come ottenere la pace tra Mosca e Washington”.
Anche un autore italiano, Francesco Nicodemo, si è cimentato sullo stesso argomento, con un libro dal titolo Disinformazia. La comunicazione al tempo dei social, nel quale scrive: “Siamo noi a controllare l’informazione grazie alla rete? A ben vedere, il «rumore di fondo» ha preso il sopravvento, disorienta i cittadini e ne influenza le decisioni. Vaccinare i propri figli, iniziare una terapia medica, fidarsi della scienza o lasciare che si insinui il dubbio, mettendo in discussione certezze acquisite? E come agire da elettori consapevoli? È possibile operare una scelta ponderata sottoposti come siamo al fuoco di fila di notizie inesatte, falsi allarmismi, parole di odio?” Come non nutrire un senso di paura quando ci si rende conto che la classe politica che ci governa è incompetente e quindi rischiosa per la democrazia? Il governo attuale dell’Italia rappresenta uno spaccato efficacissimo di ciò che Nichols asserisce, basta dare uno sguardo fugace ad alcuni dei suoi più insigni rappresentanti come Matteo Salvini, Francesco Lollobrigida, Gennaro Sangiuliano (le cui ultime esternazioni “culturali” hanno lasciato sbigottiti coloro che da un Ministro della Cultura si sarebbero aspettati una conoscenza della stessa almeno a livello scolastico). A prescindere dai loro eventuali titoli di studio, che non hanno nessuna influenza sulle capacità politiche, è facile rendersi conto che, se c’è un incarico al quale non sono assolutamente adatti, è proprio quello che invece ricoprono. Lo stesso può dirsi del nostro Ministro dell’Interno che soffre di ipoacusia e di ipovisione a fasi alterne, a seconda del problema e da chi lo solleva. Esempio emblematico è il recente caso di Fanpage, la pubblicazione indipendente che ha sollevato il velo su ciò che avviene all’interno del “vivaio” dei giovani appartenenti a Gioventù Nazionale, di cui il nostro Primo Ministro asseriva d’essere totalmente all’oscuro, mentre il Viminale si era completamente dimenticato della XII norma transitoria e finale della Costituzione repubblicana, tanto da far uscire dalla bocca del suo titolare il commento secondo cui: “Preoccupano più le piazze antisemite” che gli aderenti a Gioventù Nazionale; risultato un covo di nazisti, fascisti, razzisti, omofobi e chi più ne ha più ne metta. Ma lui non si preoccupa, né gli fanno paura questi inaccettabili rigurgiti di razzismo, fascismo e nazismo, tanto è vero che scrive: “Mi preoccupa quello che talvolta è emerso nelle attività nelle piazze: gli incendi della bandiera di Israele, gli assalti alla brigata ebraica il 25 aprile. Cioè tutte cose molto più, dal punto di vista operativo, concreto, molto più pericolose, che non sono state poste in essere da quel gruppo giovanile” (Intervista al Ministro su Sky TG24). E, come dice Luigi Manconi su la Repubblica: “Non abbiamo bisogno di un ministro dell’Interno che metta il proprio corpo (e la propria funzione) a salvaguardia dell’onorabilità dell’esecutivo. Abbiamo la necessità, piuttosto, di riflettere sulle parole più recenti di Edith Bruck, quando ipotizza che questa spazzatura antisemita possa essere il risultato, tra l’altro, della caduta di «tutti i freni inibitori», determinata dall’avvento del governo di destra. In altri termini, è un bene nazionale e, se permettete, un «interesse patriottico», che il nazismo e il fascismo in tutte le loro forme restino un tabù”.
C’è chi, invece, diversamente da Piantedosi, li prende sul serio, tanto che è stata istituita un’apposita commissione contro l’odio, presieduta dalla senatrice a vita Liliana Segre che prenderà in visione i filmati “carpiti” da una coraggiosa giornalista infiltratasi in quella compagine. Su questo coraggioso servizio che ha scoperto gli “altarini” della destra al governo si è scatenata un’infame campagna di delegittimazione, nella quale sotto accusa erano i coraggiosi giornalisti che avevano scoperchiato il vaso di Pandora e non i gruppi di giovani eversivi, candidati a governare l’Italia. Forse i grandi “giornalisti” (meglio dire: pennivendoli) dei giornali di destra hanno del tutto dimenticato la fama internazionale che accompagnò la famosissima inchiesta di Carl Bernstein e Bob Woodward (lo scandalo Watergate) in seguito alla quale addirittura un presidente degli Stati Uniti fu costretto a dimettersi per ciò che era emerso nell’inchiesta. In Italia, invece, la stessa cosa viene esecrata e stigmatizzata come un’indebita violazione della privacy all’interno delle formazioni partitiche. Ecco perché è legittimo nutrire un sentimento di paura, o forse anche di sgomento; paura che la senatrice Segre, testimone vivente e vittima di un vergognoso passato, non ha timore di manifestare ponendo una domanda retorica ma efficace: sarò ancora una volta costretta a lasciare il mio paese? Noi speriamo sinceramente di no e che, una volta tanto, gli italiani elettori riescano a guardare oltre la punta del loro naso e a comprendere quali pericoli si nascondono dietro l’avanzare delle destre europee e italiana. E la smettano di credere a quello che dice la nostra Giorgia nazionale: “Gli italiani vedono in noi la forza politica che più di ogni altra ha a cura l’interesse nazionale, e che più di ogni altra difende i valori conservatori della terra, della vita, della famiglia, della libertà … un’alternativa credibile alla palude socialdemocratica europea e occidentale”. Palude. “È esattamente per questo che facciamo tanta paura”. Paura. “È questa la rivoluzione per la quale molti di noi stanno sacrificando intere porzioni della loro vita, senza lamentarsi”. Rivoluzione. E quindi l’invito a “fare tutto il possibile per essere adeguati al ruolo che gli italiani ci hanno affidato”.
E quale sarebbe questo ruolo? ci chiediamo. Quello di inneggiare al Führer, al Duce, di ripetere i “Sieg Heil”, di ricacciare gli ebrei nei loro ghetti? Il capo di questi giovani “nostalgici” di un passato che non hanno mai vissuto, si chiama Giorgia Meloni, è il presidente del consiglio e nemmeno lei ha mai vissuto ciò che adesso viene nuovamente esaltato. Da politica che fiuta il vento, ha compreso di dover fare qualcosa per non perdere del tutto la faccia e, dopo tante esitazioni e dopo aver provato a fare la vittima, rivolgendosi addirittura a Mattarella perché condannasse l’iniziativa dei giornalisti di Fanpage, ha finalmente capito l’antifona e ha fatto finta di accorgersi solo adesso di ciò che accadeva in casa sua, nel nucleo forte della Gioventù meloniana, della quale lei ha fatto parte, ed ha scritto, obtorto collo, una lettera ai giovani e ai dirigenti del suo partito nella quale si dice “rattristata e arrabbiata” per il danno d’immagine che l’inchiesta di Fanpage ha inferto a Fratelli d’Italia, scoperchiando l’anima antisemita e fascista del movimento giovanile del partito, e quindi aggiunge: “Non c’è spazio per i nostalgici dei totalitarismi del Novecento”. Ma anche in quest’occasione non le è riuscito di pronunciare la parola fatidica “fascismo”, ma solo “i totalitarismi del Novecento”. Solo lei, solo Giorgia, avrebbe potuto definire ciò che tutti abbiamo visto nei filmati di Fanpage “un copione macchiettistico utile solo al racconto che i nostri avversari vogliono fare di noi”. Le cose non stanno in alcun modo così. È infatti bastato piazzare qualche microfono nascosto o avere la ventura di leggere una chat del Movimento, per scoprire che gli umori retrivi rappresentano ancora la placenta ideologica del mondo di «Giorgia».
E, per chiudere, come non avere paura di fronte alla concreta possibilità che il prossimo presidente degli Stati Uniti sia nuovamente il pluri inquisito Donald Trump, che con il finanziamento occulto di Putin, nel 2016, conquistò il seggio più alto del mondo occidentale? Vi sono tutte le ragioni per cui la politica mondiale dei nostri giorni dovrebbe farci paura, con individui del genere al potere, grazie al quale esercitano un controllo capillare sui temi cruciali dell’economia, della libertà di stampa e di opinione, sulle scelte di vita, sul decidere del proprio corpo e della propria sessualità e così via.
Quanti sono quelli che sanno del Datagate (2013) di Edward Snowden, ex agente della CIA, che rivela un programma di sorveglianza di massa gestito dalla NSA, la National Security Agency, a insaputa dei cittadini e in violazione della loro privacy – una sorta di sorveglianza capillare da Grande Fratello -, e di Julian Assange, accusato di spionaggio e costretto alla fuga, come Snowden, per aver rivelato e diffuso file riservati relativi a crimini di guerra commessi impunemente nella guerra in Iraq e in Afghanistan? (vedi Il potere e la parola, di George Orwell, con un saggio introduttivo di Diana Thermes. Edizioni Piano B, 2021). Dopo questo affresco, sconfortante, della realtà che ci circonda, il cittadino comune non può che chiedersi: e allora? Potremmo rispondere che, finché ce ne è concesso il tempo, abbiamo ancora la facoltà di ragionare e di esprimere le nostre preferenze in base a criteri diversi dalla convenienza personale o del favore a un amico. Possiamo ancora deporre una scheda nell’urna, quando se ne presenterà l’occasione, e con essa dare inizio a una “rivoluzione” pacifica, in un mondo meno inquinato dalla politica e dai politicanti alla Grande Fratello!