L’arte come medium

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Disegno di A. Nacarlo sul tema del Disinganno

Come nella brutta trama di un romanzo distopico, noi tutti esseri umani di questa società globalizzata viviamo costretti in gabbie invisibili. Sottili sbarre, che si chiamano disinformazione, omissione, opportunismo mediatico, omertà, ci precludono l’accesso alla conoscenza dei fatti. In tanti si sono assuefatti al sopravvivere senza domandarsi se ci sia anche un’unica probabilità di comprendere il senso della realtà che ci circonda, la verità intrinseca “che rende liberi”.

Un profondo e inquietante ritratto della condizione umana lo estrinseca il filosofo e maestro spirituale armeno del XX secolo Georges Ivanovič Gurdjieff nei suoi Racconti di Belzebù a suo nipote: “L’uomo si identifica con il ruolo che è costretto a vivere: padre, figlio, padrone, operaio, impiegato, dirigente, disoccupato, eccetera … Per ognuno di questi ruoli esistono comportamenti sociali, abbigliamenti, modi di pensare e di esprimersi cui ciascuno si adegua inconsapevolmente. E quindi non siamo mai individui autentici, ma veri e propri imitatori: imitiamo modelli prodotti dalla società in cui viviamo. Persino nei comportamenti più intimi recitiamo in realtà dei ruoli precostituiti, che non si limitano soltanto a comportamenti e ad atteggiamenti convenzionali, ma che penetrano anche all’interno delle nostre convinzioni, dei nostri giudizi, della nostra coscienza. Insomma continuiamo a recitare. L’inquinamento della nostra mente è troppo esteso. Bisogna imparare a dire la verità, ma per dire la verità, bisogna essere diventati capaci di conoscere che cos’è la verità e che cos’è la menzogna… soprattutto in sé stessi.”

Questi ruoli archetipi quindi, secondo lo scrittore, non sarebbero meri aspetti esteriori della nostra esistenza, ma una parte integrante del nostro essere. In un mondo in cui continuiamo a recitare, la sfida sta nel diventare individui autentici, capaci di distinguere la verità dalla menzogna, specialmente in noi stessi. Come liberarsi da queste sovrastrutture sociali rivelando il nostro “io” nascosto? Gurdjieff suggerisce la via della meditazione, dell’ascesi, del ballo derviscio ecc. ecc. Troppo poco pratiche come soluzione… Più facile e immediato il pensiero dell’età barocca, che affida alle Arti il compito di spiegare questi concetti tanto astrusi, rappresentandoli attraverso allegorie. Due opere del periodo, una scultorea l’altra musicale, catturano riproponendola la complessità dell’essere umano in modi unici e potenti: il “Disinganno” di Francesco Queirolo e “Il trionfo del Tempo e del Disinganno” di Georg Friedrich Händel.

Che cos’è il Disinganno? Si potrebbe definire un improvviso e spiacevole contatto con una realtà diversa da quella immaginata. Il momento in cui si comincia ad aprire gli occhi sulla condizione di fragilità insita della vita. “Qui non vident videant” è una frase latina scolpita sulla statua di Queirolo che si traduce in “Lasciate che coloro che non vedono, vedano”.

Il Disinganno è un’opera dell’artista genovese Francesco Queirolo del 1753, universalmente riconosciuto come il suo capolavoro. Questa scultura fu commissionata nel 1746 dal marchese Raimondo de Sangro per la cappella di famiglia e raffigura una scena con due figure centrali: un angelo e un pescatore. L’angelo, posato su un globo, libera il pescatore da una rete intricata e fluttuante sopra un drappeggio elegante. La rete rappresenta il peccato, e il gesto dell’angelo simboleggia la liberazione dell’uomo dalle sue colpe, introducendolo alla Bibbia, che giace ai suoi piedi. Per enfatizzare il concetto del Disinganno, Queirolo ha adornato le pagine aperte del libro con un passo latino che recita: “Spezzerò la tua catena, la catena delle tenebre e della lunga notte di cui sei schiavo, affinché tu non sia condannato con questo mondo.”

Oltre alle implicazioni religiose, la scultura incorpora anche simboli secolari, quindi si presta ad un’altra chiave di lettura per lo stesso tema: “la liberazione dall’inganno“. La fiamma sulla testa dell’angelo trasforma lo stesso in un genietto pagano, simbolo dell’intelletto umano, la rete che avvolge il personaggio principale diviene la rappresentazione dell’ignoranza, della menzogna, di tutte quelle sovrastrutture cioè che intrappolano l’uomo nell’ignoranza e che possono essere rimosse solo con l’aiuto della Ragione. Il globo terracqueo, che il genietto calpesta per aiutare l’uomo, diviene rappresentazione delle passioni terrene. Questi elementi si collegano alla dedica di Raimondo al padre, esplorando il concetto di “fragilità umana, che non può conoscere grandi virtù senza aver conosciuto il vizio”.

Di forte impatto estetico ed emotivo la scultura è comunque facilmente interpretabile nonostante la complessità dei suoi simboli. La straordinaria rappresentazione della rete, scolpita da un unico pezzo di marmo, diviene un pretesto per catturare lo sguardo degli spettatori ed invitarli alla riflessione.

Nel mondo coevo della cultura barocca, il compositore Georg Friedrich Händel ci offre un’opera musicale che espande ulteriormente la nostra esplorazione del disinganno.

Il trionfo del Tempo e del Disinganno è un oratorio in cui la musica e il libretto (scritto dal Cardinale Pamphilj) convergono per esprimere il tema della bellezza effimera e della ricerca della verità. Protagonisti dell’Oratorio (opera lirica senza uso di scene e costumi) sono la Bellezza, il Piacere, il Tempo e il Disinganno. Attraverso arie, duetti, terzetti e brillanti intermezzi strumentali trasmette le emozioni profonde legate alla scoperta della verità e alla caduta delle illusioni. Quello che la scultura di Queirolo suggerisce con la metafora visiva, l’opera di Händel esprime attraverso il testo cantato degli interpreti, sviluppando la complessità dell’argomento con la leggerezza e la potenza della musica.

In conclusione, queste due straordinarie opere ci dimostrano come l’arte possa fungere da specchio per la coscienza umana. Ci sfidano a guardare al di là delle apparenze e delle convenzioni, ad intraprendere un viaggio verso la nostra autenticità più profonda, a imparare a dire la verità, non solo agli altri, ma soprattutto a noi stessi. In questo modo, l’arte diventa un mezzo straordinario per esplorare la complessità della coscienza umana, per gettare via le maschere e rivelare la bellezza autentica che dovrebbe risiede in ognuno di noi.

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