Diario di uno che vorrebbe capire: 12 gennaio 2023

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pagina di diario

L’assalto ai palazzi brasiliani del potere da parte dei “tifosi” di Bolsonaro ha confermato la presenza di una forte componente eversiva in tutte le destre “degne di questo nome” a partire dai repubblicani di Trump. Stiamo parlando in entrambi i casi di ordinamenti democratici in cui si svolgono periodicamente regolari elezioni: i risultati vengono spesso messi in discussione dalla parte sconfitta che accusa di brogli i vincitori ma ultimamente, come abbiamo visto, le proteste si concretizzano in assalti alle sedi delle massime istituzioni. Nel nostro ristretto nucleo familiare siamo tutti elettori, variamente delusi, del PD o delle altre formazioni che si sono succedute nel tempo alla sua sinistra, sempre che il voto fosse utile, come nei collegi uninominali. Siamo tutti allarmati da questa deriva mondiale delle destre verso comportamenti squadristici, che appare connaturata ai sistemi elettorali maggioritari nei quali la politica della mediazione viene sopraffatta da quella dello scontro frontale: forse il solo Regno Unito ci risparmierà scenari da guerra civile perché la democrazia britannica è più solida, come dimostra il comportamento dei conservatori che hanno avuto il buon senso di destituire uno dopo l’altro ben due leader andati fuori binario.

Rispetto alla destra italiana oggi al governo non ci facciamo molte illusioni. Anzi ci appare anche più minacciosa perché culturalmente legata a un passato totalitario mai rimosso. La componente neofascista è presente in frange di FdI ma l’antifascismo non è mai stato di casa né in Forza Italia né tantomeno nella Lega, attraversata da correnti razziste e illiberali sin dalla sua nascita. Lo dimostrano i numerosi cambi di casacca: sono disinvoltamente transitati dal partito di Berlusconi a quello della Meloni la Santanchè, Malan, Fitto, solo per citare gli ultimi nomi di rilievo, mentre lo stesso Giorgetti, come numerosi suoi colleghi leghisti, ha mosso i primi passi nel Fronte della Gioventù.

Siamo quindi tra quelli che temono la permanenza al potere di questa destra ben oltre i cinque anni della legislatura in corso. Che tali siano le intenzioni ce lo dimostrano fatti e circostanze da non sottovalutare, quali le rimozioni di apprezzati tecnici da incarichi delicati e rilevanti, come Legnini da quello di commissario per il dopo terremoto in Abruzzo e di Magrini dall’Agenzia del Farmaco, sostituiti con fedelissimi di FdI con competenze da dimostrare. Siamo in attesa di conoscere se e con chi sarà sostituito alla Direzione del Tesoro l’espertissimo Alessandro Rivera, peraltro nominato dal governo gialloverde e quindi né dal PD né da Mario Draghi. Si aggiungano poi le “promesse” di Crosetto, che vorrebbe addomesticare i vertici della burocrazia a colpi di machete, ignorando che la legge Bassanini permetterebbe di intervenire in maniera meno cruenta nel cosiddetto  “spoil system”, quello che il neoministro della cultura Sangiuliano avrà forse difficoltà a definire, nella traduzione letterale,  “sistema del bottino”, quando gli sarà riuscito “l’inserimento della lingua italiana nella Costituzione”.

L’occupazione dei posti di potere necessaria, nell’ipotesi più restrittiva, a rastrellare voti per le future elezioni c’è sempre stata, ma nel caso del governo Meloni appare più sfacciata e comunque non corrispondente alle promesse di imparzialità pronunciate dalla Premier. Non è questo però l’unico tradimento della Meloni e si può anzi affermare che le bugie sin qui confezionate sono tante. La più rilevante è certamente la negazione, reiterata in tutte le sedi, degli effetti negativi dell’elevazione della soglia nell’uso del contante, così come del tentato abbattimento dell’obbligo dei POS, sull’evasione fiscale e, più in generale, su tutti i pagamenti in nero. Altre ce ne sono, e altrettanto gravi, in tema di immigrazione, di equità fiscale e, ultimamente, a proposito della mancata soppressione delle accise sui combustibili, contenuta nell’ultimo programma elettorale di FdI, circostanza negata dalla Meloni nei suoi monologhi sui social e poi malamente corretta.

L’attitudine alla disinformazione non è un’esclusiva della Meloni ma la frequenza eccessiva con cui la Meloni vi fa ricorso spinge a una riflessione forse banale ma stimolante. Se esiste nel codice penale il reato di falso in atto pubblico è lecito chiedersi se una conferenza stampa della premier o di qualunque esponente del governo non sia un atto o, se preferite, un fatto pubblico, non scritto ma documentato da parole e immagini? Perché le dichiarazioni non corrispondenti ai fatti di chi governa non sono soggette ad alcuna sanzione? E non solo in Italia se pensiamo alle menzogne sfacciate di Trump o di Bolsonaro che, secondo la fact cheking “Aos Fatos”, ne ha totalizzato in quattro anni la bellezza di 6.676, mediamente un paio al giorno. Non parliamo ovviamente di sanzioni penali ma di obblighi deontologici e amministrativi che potrebbero, ad esempio, costringere il non veritiero ad una ritrattazione per rimediare al danno recato alla comunità da informazioni tendenziosamente falsate restituendole la verità. Trattandosi di un problema di rilevanza planetaria non ci illudiamo: la soluzione non arriverà mai e tuttavia non dobbiamo dimenticare che negli U.S.A. ed in molti paesi civili le interviste televisive sono condotte con un minimo di rigore e le fake news vengono spesso contraddette in diretta.

Da noi le cose vanno diversamente come ho più volte, ormai in maniera ossessiva, denunciato nelle pagine di questo diario. Prendiamo ad esempio quei talk show mandati in onda tutti i giorni feriali: come possono la conduttrice o il conduttore, per quanto bravi, prepararsi giorno dopo giorno a contestare tutte le inesatte affermazioni che usciranno dalla bocca collaudata di politici di governo e di opposizione? L’onere della smentita viene lasciato agli oppositori presenti nello studio, posto che siano preparati sugli specifici argomenti trattati. Le cose non vanno diversamente nei talk show, trasmessi un solo giorno alla settimana ma con la partecipazione di decine di ospiti, non sempre qualificati, invitati a parlare di politica, di società, di sondaggi, di fisco, di sanità, di problemi legali e, fino a qualche anno fa, finanche di cucina. Sembrano organizzati per creare un clima rissoso che, in sintonia con lo “spirito del tempo”, incontra il favore del pubblico e il conseguente afflusso di pubblicità.

È evidente dunque che la diffusione di notizie false e la mancanza di un vero contraddittorio hanno concorso, insieme al declino dell’istruzione e soprattutto all’inerzia se non al malaffare mostrato dalla politica, a distruggere quel poco di coscienza civile e politica che gli italiani hanno mantenuto fino alla fine degli anni Settanta o poco oltre. Poi sono andati affermandosi sempre più il corporativismo e l’individualismo sospinti dal clima di impunità e di delegittimazione delle istituzioni incoraggiato dal berlusconismo attraverso il controllo della stampa e dell’emittenza televisiva.

L’elettorato è, in larga parte, oggi sensibile solo alle questioni che riguardano il singolo elettore o, al massimo, la categoria lavorativa cui appartiene. Il tema che più lo appassiona non si allontana molto dalla immediata conquista di vantaggi economici di ogni tipo. Figuriamoci quanta rilevanza abbiano per la maggioranza degli italiani il presidenzialismo, il ridimensionamento del potere giudiziario o anche l’uscita dall’Unione Europea, oggi in stato confusionale.

Non si capisce come i partiti che dovrebbero tentare di invertire la rotta pericolosa tracciata dal nuovo governo possano riuscirvi in un tempo utile. Alcuni di loro, uniti nel cosiddetto terzo polo, sembrano intenzionati semplicemente a collocarsi al centro dello schieramento politico, posizione dalla quale è oggettivamente impossibile attendersi la rivoluzione copernicana che sarebbe necessaria a smuovere l’astensionismo crescente. La preoccupazione del M5s è, al momento, solo quella di conquistare la leadership dell’opposizione in danno dei suoi stessi probabili, futuri alleati. Quanto al PD, non ci lascia alcuna speranza in questo senso se intende risolvere la sua crisi con l’elezione di un nuovo segretario senza affrontare prioritariamente la sfida di darsi una nuova identità credibile e capace di tirare fuori l’Italia dalle sabbie mobili in cui rischia di affondare. In famiglia non sappiamo se considerare una possibile scissione una tragedia o l’opportunità di un cambiamento atteso da anni.    

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