L’anno che verrà

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Fonte: foto.wuestenigel.com

Sul defunto 2022 non ci sono discussioni: tutti lo ricorderanno come uno degli anni peggiori. Eppure per noi italiani non era cominciato male: qualche santo in Paradiso a gennaio ci aveva sottratto all’oltraggio di vedere Berlusconi alla Presidenza della Repubblica ed anche verso la fine dell’anno, in sede di formazione del governo Meloni, ci aveva risparmiato il ritorno in campo di Tremonti, il fiscalista. Ma a parte queste due fortunate eccezioni, è stata una catastrofe. La scena politica internazionale ci ha regalato un paio di piccole soddisfazioni, come la sacrosanta uscita di scena di Bolsonaro e le dimissioni in sequenza di Boris Johnson e Liz Tess, ma fin quando i “tories” saranno al governo nel Regno Unito c’è poco da stare tranquilli: la destra è destra dappertutto. Ma il 2023 si presenta sotto auspici drammatici, malgrado i volonterosi scambi di auguri e i propiziatòri fuochi d’artificio nostrani che, tanto per cominciare, ci lasciano una scia di incidenti maggiore dello scorso Capodanno.

Cominciando dalla mutazione climatica, cosa possiamo attenderci quest’anno dopo i 50 gradi negli U.S.A e i 50 statunitensi deceduti per il freddo? Il carbone e il petrolio continueranno ad alimentare le industrie e i motori di mezzo mondo. Apprendiamo dai giornali che un ricco campione dello sport americano ha scritto a Greta Thunberg vantando la potenza delle sue auto sportive ed il suo provocatorio contributo all’inquinamento. Basterà a risvegliare la coscienza di questo e degli altri negazionisti la fulminante replica della Thunberg la quale gli ha mollato l’epiteto di “smalldick” che in italiano si traduce “pisello piccolo”? Possiamo estendere questo fondato sospetto a tutti coloro che anelano all’esibizione del potere in tutte le sue forme? Certamente tutto ciò non basterà e nel mondo si continuerà allegramente ad inquinare, mentre le colture intensive proseguiranno nello sfruttamento irreversibile del suolo e nella deforestazione. Auguriamoci che almeno l’insediamento di Lula alla guida del Brasile riesca a sottrarre qualche fetta consistente dell’Amazzonia alla coltivazione degli avocado (sciaguratamente approdati anche sulle nostre tavole), della canna da zucchero e soprattutto della soia.

La situazione geopolitica è appena un po’ meno preoccupante perché l’innescarsi di un conflitto nucleare che coinvolga tutta l’umanità è inverosimile e per giunta non si potrebbe contare su una novella Arca di Noé (leggi: navicella spaziale diretta verso Marte, ormai comunque fuori dalla portata di Elon Musk che ha sprecato i suoi miliardi nell’acquisto di Twitter) per mettere in salvo qualche coppia di umani e di animali in età fertile. E tuttavia si vive sotto il ricatto di un bel numero di matti assetati di potere (smalldick anche loro?), che tiranneggiano in paesi come la Cina, la Corea del Nord, la Russia, l’Iran, l’Afghanistan, la Turchia e chissà quante altre dittature dell’Africa e dell’Asia. Il conflitto russo-ucraino non promette al momento che ulteriori massacri e devastazioni anche se finalmente qualche missile e qualche drone cominciano a turbare i sonni degli ignari sudditi di Putin.

Se dal deprimente panorama internazionale ci caliamo nell’angusto “cortile” italiano, c’è da avvilirsi. Evitato in zona Cesarini l’esercizio provvisorio e recuperata in extremis la conversione in legge del decreto anti-rave (che rimane una porcata anche dopo le limitazioni imposte dall’opinione pubblica), il governo Meloni apre il 2023 all’insegna di un entusiasmante “indietro tutta” con la prua rivolta al mai obliato ventennio. Gli esponenti di FdI, ancora visibilmente increduli del colpo di fortuna scaturito dalla prematura caduta del governo Draghi, non vedono l’ora di riscattare i tanti decenni trascorsi all’opposizione.

La spinta a restaurare, per giunta in via formalmente democratica, vista la vittoria elettorale, l’impianto istituzionale dell’Italia fascista è forte e risoluta. E quindi avanti, anzi indietro, col presidenzialismo, la separazione delle carriere dei magistrati, la rimozione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Questi obbiettivi, peraltro dichiarati, troveranno l’accordo anche degli altri partiti della coalizione a partire da quello di Berlusconi che avrà finalmente “giustizia”. E ove si rendesse necessario sottoporre le riforme a referendum confermativi possiamo essere certi che il lavaggio mentale cui sono stati sottoposti gli italiani nel trentennio berlusconiano ne garantirebbero l’approvazione ove si raggiungessero i quorum.

A complemento di questa prospettiva allucinante (ma non per tutti, si vedano in proposito le aperture di Calenda e Renzi) la compagine governativa va manifestando anche l’insofferenza ad ogni forma di interferenza e di controllo: sin qui sono state contestate la Corte dei Conti, il CNEL, l’Ufficio Parlamentare del Bilancio, la Banca d’Italia e la burocrazia ministeriale. Alla creazione di questo clima, già asfissiante solo a parlarne, concorrono un po’ tutti i personaggi appena assurti a ruoli istituzionali in una lieta corsa alla visibilità personale. E così, dopo il declassamento della Banca d’Italia a mera associazione di banchieri (magari ebrei?) ad opera del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Fazzolari, si è cimentato il ministro Crosetto, che sembrava uno dei più presentabili, il quale ha accusato la burocrazia ministeriale di ostacolare l’azione del governo: si augura una riforma che permetta di allineare tecnici e burocrati al programma politico del governo. Gli fa eco il ministro della cultura Sangiuliano che giudica “radical chic” l’abuso di termini anglofoni e quindi ha proposto “l’inserimento della lingua italiana nella Costituzione”. E si! Trovandosi a mettervi mano, tanto vale, secondo Sangiuliano, approfittare e valorizzare in tal modo la cultura italiana (sic!). Come fare, ce lo dirà proprio lui che si è lasciato andare, ma senza abusarne, all’espressione esterofila “radical chic” nel manifestare il suo ambizioso proposito. Il referendum confermativo di questa obbrobriosa riforma avrebbe comunque un esito disastroso per il povero Sangiuliano. Incuriosisce infatti, oltre che conoscere che razza di articolo si andrebbe ad introdurre nella Costituzione, anche l’ilarità con cui gli italiani diserterebbero le urne. L’autarchia lessicale nel terzo millennio ci porterebbe lontano, ma così lontano, che sarebbe poi una fatica “riconnetterci” con il resto del mondo nel quale ricorrono le stesse parole convenzionali sia nell’informatica che nell’economia, nella scienza e nelle stesse relazioni politiche.

Le prospettive per il 2023 non sono dunque delle migliori. Possiamo solo augurare lunga vita e tanta salute al Presidente Mattarella: sarebbe imbarazzante vedere il Presidente del Senato della Repubblica, Ignazio La Russa, nei panni di custode della Costituzione oltre che delle monumentali reliquie fasciste che ospita nella sua dimora.      

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