Le mani sulla città: oggi come allora

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Rod Steiger nei panni del costruttore Nottola, dal film “Le mani sulla città”

Il film “Le mani sulla città”, Leone d’oro alla XXIV edizione del Festival Internazionale del Cinema di Venezia, è considerato il capolavoro del regista napoletano Francesco Rosi. Omaggio alla corrente neorealista di cui il Rosi aveva appreso il linguaggio da uno dei massimi esponenti, Luchino Visconti, lavorando come aiuto regista nel film “la terra trema” nel 1948. Nel cast figurano attori del calibro di Salvo Randone, affiancati a personaggi della realtà, come il sindacalista e partigiano Carlo Fermariello. Spicca su tutti la figura del villaine, l’imprenditore “Nottola”, interpretato magistralmente dalla star hollywoodiana Rod Steiger. Personaggio senza scrupoli, palazzinaro di quella Napoli che l’onorevole Valenzi definirà “città di cartone”.

Disegno di Maurizio Valenzi, Napoli che crolla, Fondazione Valenzi

Di cartone non solo per la fragilità statica dei nuovi palazzi e del sottosuolo ma, soprattutto, per l’atavica precarietà dell’esistenza della maggior parte dei suoi abitanti.

Il nome “Nottola” (scelto dallo scrittore Raffaele La Capria, coautore del soggetto) evoca l’animale notturno, il pipistrello dai grandi occhi pronto ad afferrare la preda sfruttando a suo vantaggio le occasioni, positive o negative, che si presentano. Iconica la scena in cui il costruttore dà le spalle alla città, mentre sullo sfondo appaino le rovine belliche di Via Marina in contrasto con il grattacielo di via Medina (costruito abbattendo il centralissimo Rione Carità, espropriando con delibere comunali il suolo dei privati cittadini per rivenderlo ridicolmente sottocosto ai costruttori di turno, utilizzando il meccanismo della clientela politica e del voto di scambio.)

Il film comincia con una carrellata sulla campagna flegrea vista dalla collina dei Camaldoli, diversi personaggi discutono su come aggirare il piano regolatore per far trasformare quel terreno da agricolo in edificabile e comprarlo a prezzi stracciati prima che tutto ciò avvenga. Seconda inquadratura sulle macerie della zona del porto, tra i palazzi in demolizione. La fondazione a “battipalo” dei plinti di costruzione per un nuovo edificio provoca il crollo di un palazzo adiacente. Urla, strepiti e sirene, tra le macerie iniziano ad affiorare morti e feriti. La scena si riapre nella sala dei Baroni, storica sede del comune di Napoli, durante una seduta del consiglio cittadino. Un membro dell’opposizione chiede l’apertura di una commissione per accertare le responsabilità del crollo di via Marina imputabile a Nottola, consigliere comunale della maggioranza e costruttore senza scrupoli. La sequenza ci rivela che gli stessi loschi figuri dell’inizio del film sono seduti nei più alti scranni dell’istituzione cittadina. La commissione d’indagine verrà aperta solo perché sono prossime le elezioni politiche e tutti i partiti vogliono salvare la faccia nei confronti dell’opinione pubblica. La trama si dipana sul doppio binario dello svolgimento dell’inchiesta e sui tentativi di Nottola per salvare la sua impresa. Finale? L’inchiesta approderà ad un nulla di fatto, il palazzinaro non solo ne uscirà impunito, ma sarà eletto assessore ai lavori pubblici, realizzando il suo turpe sogno di edificare dove non si poteva.

La pellicola di denuncia diviene pretesto per raccontare la cosiddetta “Napoli Laurina”, il primo esempio di politica populista: clientelismo e privilegio, nepotismo e impunità, pane per i voti e scarpe per le claque ai comizi. La faccia più oscura, tracotante e perbenista di lupi travestiti da agnelli, che hanno letteralmente sfregiato la città e creato quell’immagine di cialtroneria politica che ancora oggi tristemente ci accompagna.

Gerardo Marotta, fondatore dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

Nel luglio del 2014, Il filosofo e avvocato napoletano Gerardo Marotta, in un’intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno (in occasione del crollo di calcinacci dal tetto della Galleria Umberto I di Napoli, che causarono la morte di un passante) ebbe a dire sulla stessa classe amministrativa: “Con le esecuzioni capitali dei partecipanti alla Repubblica Partenopea del 1799, come racconta Benedetto Croce, la cultura politica e la filosofia di Napoli sono state estirpate, non è rimasto un solo filo di pensiero. Qui hanno ammazzato gli intellettuali e al loro posto hanno messo al potere luridi capobriganti. È rimasto un sacco di stracci. La classe che governa Napoli è la discendente ideale di quei capibriganti”.

Alla domanda del giornalista che gli chiese conto di questo giudizio così sprezzante il Marotta rispose: “Attenzione, lo dico in senso storico. È ovvio che loro non c’entrano nulla. E sono innocenti proprio perché non conoscono la cultura politica, non sanno amministrare. Non c’è un governo di sindaci preparati da un’esperienza storica. Napoli crolla perché c’è una classe dirigente che non sa cosa significa mettere un chilo di calce. Perché le imprese sono corrotte. E perché per le concessioni si utilizza ancora una norma fascista.”

L’allora sindaco De Magistris reagì indignato al giudizio del filosofo. Non avendo altre tesi valide o fatti per controbattere Marotta però, fece come nella canzone del genio De André: “Si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”.

È passato un altro decennio ma sul fronte delle catastrofi causate dalla speculazione edilizia poco o nulla è stato fatto.

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