Belle Époque 2.0

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Jean Béraud, Belle époque Paris 1889 (Fonte: Flickr)

Riceviamo dal sig. Roberto Finzi e volentieri pubblichiamo

Vladimir Putin, il 21 settembre 2022, ha pronunciato un discorso mobilitando i riservisti per una nuova fase della guerra in Ucraina scoppiata a febbraio, il giorno dopo l’annuncio del referendum per annettere il Donbass alla Federazione Russa, una settimana dopo la vittoria della controffensiva dell’esercito ucraino nelle regioni dell’Est – col supporto logistico e militare della NATO – e nel suo discorso alla nazione torna a sventolare l’incubo atomico, parlando del fatto che egli è disposto a usare, per difendere il Paese, “tutti i mezzi a nostra disposizione” e che coloro che stanno cercando di usare il ricatto nucleare contro la Russia scopriranno che le carte in tavola possono essere rivoltate contro di loro. “Non sto bluffando”, ha aggiunto.

Il sentiero della pace si è chiuso con le parole di Vladimir Putin al popolo russo il 21 settembre? Ad oggi sembra di sì. La crescita dell’intensità dello scontro pare chiudere ogni possibilità di una diplomazia di pace. Va detto, con onestà intellettuale, che Putin, l’Ucraina e l’Occidente hanno provato a dialogare una prima volta di fronte all’impegno di Naftali Bennett, tra marzo e aprile 2022, mediazione israeliana affondata dai fatti di Bucha. La seconda mediazione turca ha prodotto il risultato positivo dell’accordo sul grano, ma niente distensione. Da Nur Sultan, in Kazakistan, alla vigilia del summit Sco di Shanghai sono arrivate invece le parole tuonanti di papa Francesco che ha perorato il ritorno allo spirito pacifico di Helsinki in Europa. E va ancora detto, sempre con onestà intellettuale, che se Putin dice che difenderà la sovranità con “tutti i mezzi a nostra disposizione”, compresa l’atomica, i colleghi occidentali non sono stati da meno: Liz Truss, premier inglese conservatrice con cui la candidata premier del centrodestra italiano Giorgia Meloni si è congratulata, ad agosto, sulla questione ucraina ha detto apertamente di essere disposta a “premere il pulsante nucleare. Credo sia una grande responsabilità e sono pronta a farlo”, senza contare frasi simili pronunciate dal suo predecessore Boris Johnson o dal presidente democratico americano Joe Biden, tutta benzina che attizza il fuoco della guerra.

La guerra dinnanzi a noi non è locale, ma globale, e la dialettica fra “pistoleri” russo-europeo-americani, fra chi minaccia per primo col dito sul grilletto atomico, accompagnata dalla corsa agli armamenti, dalle sanzioni – che non sembrano, almeno per ora, indebolire chi le riceve ma solo chi le fa – e il razionamento energetico, non rendono il clima pacifico. È una guerra per procura, con l’Ucraina prima linea militare sin dal 2014, dopo i fatti dell’Euromaidan, e l’Europa che, dal 2022 è travolta dall’inflazione importata dagli Stati Uniti d’America che intendono attuare il contenimento dell’Orso Moscovita.

Speravamo in una “Guerra Fredda 2.0”, con due blocchi che si guardavano in cagnesco in eterno come prima del 1991, ma si rischia l’escalation globale, perché non va dimenticato il teatro incandescente asiatico, con la contesa americano-cinese su Taiwan. La via della mediazione diplomatica – non inviando armi e sanzioni, ma con la comunità internazionale, l’ONU, che obbliga a mettere al tavolo delle trattative Putin e Zelen’skyi, mediando, usando primariamente l’arma della diplomazia per evitare il peggio, cosa che non è avvenuta da nessun contendente – sembra non interessare. L’escalation, invece, fa somigliare la nostra epoca, iniziata grossomodo con la caduta dell’Unione Sovietica e ormai giunta al tramonto, alla fine della Belle Époque, periodo storico che va dalla fine del XIX secolo al 1914.

Perché questo paragone? Perché la Belle Époque è stata caratterizzata dallo sviluppo dell’industria e dal conseguente benessere che diffondeva in tutta Europa liberale e non. È nella parte finale della seconda metà dell’800 che nasce la società dei consumi e la vera ascesa, politica e commerciale, della borghesia, processo iniziato con la Rivoluzione francese e che ha il suo culmine in quel periodo storico. Questa classe sociale, egemone nelle arti, nelle scienze e nella cultura, vive una frivola vita alla ricerca dell’eterno piacere e dell’intrattenimento puro, che trovava nelle passeggiate serali (grazie all’illuminazione pubblica), nei caffè, nei cabaret, nei circoli letterari, nelle mostre d’arte, nei teatri, assistendo agli spettacoli di can can e vedendo le prime pellicole cinematografiche mute e in bianco e nero, senza contare che è lì che nasce il cosiddetto “vippismo”, il culto per i divi del teatro e del primissimo cinema.

La Belle Époque, a livello artistico, vede la centralità della bellezza come suo canone principale, con lo sviluppo di correnti come l’art nouveau, il preraffaellismo, il simbolismo e il decadentismo, ma anche una certa perdita della fiducia nel progresso e nella scienza, come, paradossalmente, notiamo già nei Manoscritti economico filosofici del ‘44 di Karl Marx, dove si parla di alienazione umana in una società deterministica dominata dalla tecnica, e che avrà riverberi con la crisi della filosofia positivista, scossa da una nuova ondata di irrazionalismo e di spiritualismo – che va dall’interesse per l’occulto, per le pseudoscienze alla nascita, specie negli USA, di numerosi nuovi movimenti religiosi evangelico-millenaristi –, di nuovo idealismo che mettono in crisi i suoi ideali e sommuovono profondamente la stessa idea positivista e razionalista dell’uomo, con un decadentismo che riprendeva le punte più ardite e segrete del romanticismo europeo, le tendenze irrazionalistiche e mistiche o mistico-sensuali già profilatesi in filosofi come Schopenhauer e poi Nietzsche o in musicisti come Wagner o in poeti come l’americano Poe o come, già al di là del vero e proprio romanticismo, il grande poeta francese Baudelaire.

Fu anche un’epoca di relativa pace in Europa: fatte salve poche guerre locali nei Balcani, il grosso delle guerre si combattevano nelle esotiche colonie d’Africa o in Medio ed Estremo Oriente, stimolando la fantasia di romanzieri come il nostro Emilio Salgari.

Dietro a questa maschera di bellezza e di piaceri decadenti, si nascondeva il suo volto più mostruoso: l’industria, simbolo del progresso della tecnica, creava nuova alienazione, mentre l’eterna ricerca del piacere era una mera fuga dalla realtà.

L’onestà non può che spingere il lettore a rivedere in tutto questo un riflesso dell’epoca contemporanea, specie in fase post-Covid 19, che ha visto non una critica razionale agli errori gestionali, ma il trionfo da una parte del dogmatismo scientista dei governi – ma la scienza non è dogmatica, specie dinnanzi alle novità –, che ha favorito il trionfo dei cospirazionismi e del peggio antiscientismo. La Belle Époque finì a Sarajevo, il 28 giugno 1914, con l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, e un mese dopo deflagrò nella Prima Guerra Mondiale. I giovani di quella generazione, intrisi di idee che accentuavano quelle del romanticismo classico e mutavano l’amor patrio in nazionalismo estremo, aderirono entusiasti ai nuovi ideali militaristi, elogiati e incensati da quella borghesia dominante che voleva accaparrarsi sempre più risorse per aumentare a dismisura le sue ricchezze. Citando l’incipit del best seller di Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, quella generazione “anche se sfuggì alle granate, venne distrutta dalla guerra”, e passò dai caffè alle trincee, divenendo carne da macello dei cannoni e delle mitragliatrici. Chi non morì tornò devastato nell’animo, e molti aderiranno a ideologie radicali, fra cui spiccarono il fascismo e il nazismo, che un ventennio dopo spingeranno il mondo in un secondo conflitto mondiale.

Nessun determinismo, perché la storia non sempre tende a ripetersi in maniera pedissequa, ma valutare i rischi di un terzo conflitto mondiale – senza allarmismi inutili, ovviamente – è da saggi, ma l’odierna classe dirigente sembra guardare al massimo al 25 settembre.

Roberto Finzi

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