Il folle piacere di governare l’Italia

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Guerra, pandemia, crisi climatica, siccità, crisi energetica, inflazione, povertà crescente, emergenza sociale e impennata teleguidata dell’immigrazione: un vero inferno attende in autunno gli italiani e chi li governerà. Un essere umano normale si metterebbe le mani nei capelli pensando a quali impegni e responsabilità andrebbe incontro se dovesse vincere le prossime elezioni. Difronte a un tale incubo la logica vorrebbe che si svolgessero delle elezioni “a perdere”, come nel tressette in cui vince chi fa meno punti, in modo da mandare gli avversari vincenti a sbattere contro insuperabili difficoltà. E invece assistiamo ormai da anni ad una lotta senza quartiere tra le forze politiche per aggiudicarsi il privilegio di gestire il futuro del Paese anche se terrificante.

Al netto dell’ambizione personale che accomuna tutti coloro che aspirano a cariche pubbliche, dobbiamo dunque dedurne che chi è disposto ad assumersi l’ingrato compito di salvare il Paese dalla catastrofe incombente sia un eroico combattente votato al martirio? L’esperienza ci suggerisce una risposta negativa, almeno per una larghissima maggioranza di loro: una maggioranza trasversale, anche se distribuita in maniera non uniforme tra i diversi partiti. Possiamo infatti immaginare che nella esigua minoranza degli eroi ci siano personaggi di provata serietà, tipo Bersani, Prodi e non pochi esponenti della sinistra intesa in senso lato, così come ne esisteranno certamente nella falange dei pentastellati che hanno improvvidamente creduto nelle tante farneticazioni dei loro “guru” Grillo e Casaleggio. Qualcuno ne troveremmo anche nelle piccole formazioni centriste ma è già più difficile fare dei nomi perché “centralità” è sinonimo di “opportunismo” in quanto lascia aperta la strada a tutte le possibili alleanze sia a destra che a sinistra: più si indebolisce il profilo ideologico di un partito, più aumenta il numero dei semplici gregari e dei soggetti disponibili ad ogni accordo.

Se si guarda alla destra il discorso si fa ancora più arduo, anche alla luce di quest’ultima osservazione. Da Forza Italia, formazione politica da sempre padronale e priva di ogni ideologia, è uscito chi aveva ancora un minimo di coerenza residua. Difficile immaginare che nella corte del principe di Arcore ci siano altri soggetti votati al sacrificio, a partire dal leader che ben conosciamo. Lo stesso dicasi per la Lega nella quale con l’apertura della crisi sono precipitosamente cessati tutti i dissensi interni. Forse in Fratelli d’Italia, dove c’è ancora qualche traccia di un’ideologia aberrante, ci sarà qualche nostalgico in buona fede convinto di essere un patriota, mentre del patriottismo sbandierato dalla Meloni è difficile immaginare che sia qualcosa in più di un facile slogan rivolto a qualche pensionato longevo o anche, ma in concorrenza con la Lega, ai razzisti tout court.

Gli altri, la maggioranza di cui si diceva, sono mossi da interessi personali più o meno meschini o da pura e semplice sete di potere, cioè dal desiderio di appagare la pulsione a primeggiare, a comandare, ad imporre la propria volontà. Che questi soggetti abbiano a cuore le sorti del Paese è da escludere radicalmente, così come lo è il possesso degli strumenti culturali, tecnici e politici atti a scalare la montagna gigantesca dei problemi che li attendono. Ma questo è l’ultimo dei problemi che assillano questo tipo di personaggi.

La sproporzione tra chi antepone i propri interessi e quella esigua minoranza che perseguirebbe realmente il bene del Paese cancella quindi ogni speranza. Ancora una volta saremo costretti il 25 settembre a votare per il meno peggio, per il partito, cioè, dove pensiamo ci siano più persone perbene e capaci, cercando di spiegare per tempo ai qualunquisti e ai soliti visionari che è l’unica scelta razionale. Senza dimenticarsi di indicare loro dove risiede questo “meno peggio”.

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