Individualità e realpolitik

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È accaduto e continuerà ad accadere che ti corichi la sera, lasciando lo smartphone acceso sul comodino in modalità silenziosa col timore di ricevere un messaggio breve ma eloquente: “È finita!” E così ti ha lasciato un amico dalla moralità mai passiva o consolatoria, caratterizzato da una tensione continua verso la realtà, mai pavido quando si trattava di uscire allo scoperto per difendere le proprie idee e mai frenato dal timore di apparire sgradito. Capace di impietose riflessioni su quanto ci circonda, convinto assertore del diritto dell’individuo di cercare la verità attraverso l’informazione non reticente, senza escludere la discussione, il confronto, l’espressione di opinioni divergenti, le posizioni minoritarie. Era votato al sapere libero e disinteressato, che è la forma del sapere che forgia cittadini responsabili e consapevoli.

Da lui ho appreso un principio etico fondamentale: se la politica vuole recuperare credibilità, deve rendersi conto che le sue regole devono essere assai più severe di quelle del codice penale. Raccomandava spesso di stare alla larga da chi, esecrando il moralismo, tentava di liberarsi della moralità; “è una trappola – diceva – alla quale si può sfuggire solo se si hanno forti convinzioni e non si cede al realismo da quattro soldi”.

Ricordo che, quando si discuteva della tragica morte di Giulio Regeni, mi raccontava di non avere fiducia nella capacità del nostro Governo di sbloccare la vicenda giudiziaria attraverso pressioni diplomatiche o restrizioni commerciali, lui sosteneva che sarebbe stato necessario un boicottaggio del turismo verso l’Egitto e dei prodotti provenienti da quel Paese. Da allora, ho sempre applicato questo suo suggerimento, astenendomi dall’acquistare alimenti e manufatti di provenienza egiziana. Ben poca cosa, penserà qualcuno; ma cosa ha ottenuto finora la nostra politica estera al riguardo?

A ben vedere, si tratta di individuare approcci complementari al raggiungimento di un obiettivo comune. Prendiamo, ad esempio, l’aggressione russa al popolo ucraino; su queste pagine si è scritto: «La terza guerra mondiale certamente non la vogliamo e l’invio di eserciti in Ucraina potrebbe essere l’inizio di essa. La guerra per procura con l’invio di armi e di volontari potrebbe continuare a devastare l’Ucraina senza ledere l’unica cosa a cui Putin tenga, cioè il controllo sui pochi territori che veramente gli interessano. Possiamo certamente ledere gli interessi dell’Impero minerario con la durissima scelta di non comprare nulla da esso, ma qualche altro cliente Putin può senz’altro trovarlo. Vi è però un punto su cui possiamo interrogarci. Il controllo sul Mar Nero è evidentemente collegato alla strategia di sfruttamento intensivo delle risorse del Mediterraneo orientale che la Russia ha intrapreso da tempo. Dobbiamo lasciare che questa strategia prosegua? Non possiamo invece contrastarla o addirittura rovesciarla? Tutto parte dalla Siria e tutto ritorna alla Siria: dobbiamo proprio lasciare che essa sia una parte di Russia? Non possiamo discutere con gli altri attori del conflitto – Turchi, Israeliani – e tentare di mettere fuori i Russi? Forse l’aiuto maggiore che possiamo dare agli Ucraini è aprire un secondo fronte e il secondo fronte può essere di nuovo la Siria.»

Chissà se autorevoli think tank geopolitici abbiano preso in considerazione quest’aspetto.

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