L’era delle dipendenze

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forme di dipendenze

In un mondo iperconnesso, erede della vittoria capitalistico-democratica, una nuova dittatura ha preso il sopravvento, permeando le nostre vite di una influenza biologico-culturale che è sfociata in una nuova dipendenza, quella digitale. Nuova perché si aggiunge a quelle classiche (fumo, alcol, droghe) ma non meno dannosa, perché con un click facilita e invoglia ad altre dipendenze di cui parleremo.

Premesso che l’impronta biologica si è sviluppata di pari passo con quella culturale, tutti abbiamo appreso dalla recente pandemia i meccanismi biochimici che stanno alla base dell’infezione e dei vaccini a mRNA, che si basano essenzialmente su un meccanismo recettoriale, ossia una proteina (il recettore) che sta sulla membrana cellulare che reagisce con un trasmettitore, modulando il passaggio di alcune sostanze all’interno della cellula e provocando una risposta biologica. Con lo stesso procedimento, il mediatore di questa e altre dipendenze è la dopamina, un neurotrasmettitore il cui rilascio è coinvolto nella elaborazione della ricompensa, quindi in definitiva del piacere.

Ricordo che i nostri circuiti cerebrali si sono evoluti in un mondo di scarsità, quando la ricerca del cibo e del partner era fondamentale per la sopravvivenza. Senza provare piacere non mangeremmo, né berremmo, né ci riprodurremmo. Ora le nostre vite sono sopraffatte dall’abbondanza, di cibo, shopping, droghe, Facebook, Twitter, Instagram, Amazon, notizie, gioco d’azzardo, in borsa, scommesse online. È come se avessimo nel nostro smartphone un inesauribile dispensatore di dopamina. Questo accesso illimitato ci invoglia a un consumo compulsivo di cui siamo vittime inconsapevoli, fino a rompere questo squilibrio del piacere sul versante della dopamina a causa di un’avvenuta assuefazione.

Infatti il cervello, ormai dipendente dalla ricerca di un piacere continuo, presto manifesterà una tolleranza (neuroadattamento) che innescherà un bisogno di quantità sempre maggiori di dopamina per provare il piacere originario. È ciò che accade ai tossicodipendenti, ma anche al consumatore compulsivo di un bene, di un servizio o di un gioco. Insomma il circuito della dipendenza è diventato il motore delle nostre vite. Una dipendenza che ha sconfitto l’era della noia, quella sensazione universale che ci prendeva durante un’attesa prevista o imprevista, nella sala d’attesa di una stazione ferroviaria, in mezzo al traffico o in una fila. Una sensazione tuttavia vivificante dalla quale spesso emergevano idee inattese. Al maestro Morricone vennero in mente le note di una delle sue musiche da film proprio mentre era in fila per pagare la bolletta del gas.

Faccio l’esempio di uno dei più comuni casi di dipendenza, quello da Amazon. Un mio collega, tra il serio e il faceto, mi ha confidato che era diventato così dipendente dai più futili acquisti che, mentre all’inizio l’attesa della ricompensa (e del conseguente piacere) includeva il tracciamento del pacco, lo strappo dell’imballaggio e la visione dell’articolo acquistato, ora lo sballo (parole sue) non durava oltre l’apertura del pacco. E per mantenere questa ritualità ciclica, all’arrivo dell’ordine faceva seguire il reso!

Per non parlare poi dei danni provocati dalla posizione della testa nelle ore in cui siamo ipnotizzati sullo schermo dello smartphone. Il peso della testa è di circa 4 kg a 0 gradi, cioè in posizione naturale. Un’inclinazione di 15 gradi porta la nostra cervicale a sopportare un peso di 12 kg, con 30° si arriva a 18 kg, e a 45º a 22 kg, fino ad arrivare a 27 kg a 60º. Le cervicobrachialgie da protrusione o ernia discale in questo scorcio di millennio sono così diventate una delle cause di maggior morbilità anche fra i giovani. Responsabile di questo iperconsumo è certamente la meccanizzazione del lavoro (industriale ed agricolo) che ci ha concesso un surplus di tempo libero, che in epoca preindustriale era privilegio solo delle élite e delle classi agiate. Nell’ultimo secolo infatti abbiamo dimezzato le ore dedicate alle attività lavorative, e aumentato di conseguenza le ore dedicate al tempo libero, che inevitabilmente sono sfociate nella noia. Una noia un tempo attiva che oggi purtroppo finisce in un circolo vizioso che vede come terminale la ricerca compulsiva di piacere, ossia di sostanze o comportamenti (droga, fumo, alcol o attività ricreative) che stimolano il rilascio di dopamina.

Siamo diventati tutti drogati di qualcosa. Drogati di una necessità esistenziale che esula da ogni finalità, per sfuggire alla condanna che incombe sui “virtuosi”, volontariamente autoesiliatisi nell’incapacità di godere di qualsiasi piacere, In quello stato mentale che gli psicologi chiamano anedonia. Che a sua volta innesca una condizione dominata dall’ansia, dall’irritabilità e dall’insonnia. In questa situazione apparentemente senza vie di riuscita, consigliare la moderazione è più facile a dire che a farsi, altrimenti non sarebbe una dipendenza.

Fino ad ora solo la farmacologia è stato il rimedio più accessibile e accettato. I farmaci che bloccano i recettori della dopamina sono infatti tra i più venduti. Basta pensare al naltrexone, uno psicofarmaco che blocca i recettori degli oppioidi e dell’alcol ma agisce anche su altre dipendenze, come l’eccessiva assunzione di cibo, lo shopping e altri comportamenti gratificanti. Alla fin fine penso che il prezzo da pagare al progresso e ai suoi indubbi benefici sia il peso di allevare questo figlio degenere, che con le sue dissennate sregolatezze però ci consente di respirare la vita nelle sue svariate sfaccettature. Il progresso non porta mai niente di lineare, e insieme alle cose che ci regala ce ne porta via altre. Pensate a che benedizione è stata la rete in questi anni di pandemia! Ci ha consentito di lavorare, giocare e comunicare, nonostante l’isolamento. Ma ci ha anche resi consapevoli di cosa c’era fuori… e della sua perdita.

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