Diario dell’inquietudine: 30 maggio 2022

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pagina di diario

C’era una volta il Galateo di Monsignor Della Casa. Col passare dei secoli le sue regole sono cadute nell’oblio ed anche chi dovesse ancora ricordarle si guarderebbe bene dal metterle in atto. Stessa sorte è toccata ovviamente ai precetti contenuti ne “il Cortegiano” di Baldassar Castiglione. Ma, com’è giusto che sia, è subentrata nel tempo una pletora di nuove norme comportamentali, sempre di ascendenza vagamente aristocratica, che ci ammanniscono da qualche anno numerose emittenti televisive, specie in materia di corretta e talvolta elegante gestione degli inviti a pranzo o a cena.

E quindi, tovagliolo a destra o a sinistra del piatto? E le posate dove le mettiamo? E quali posate? Per non parlare del numero e della posizione dei bicchieri e dei calici e così via fino alla trappola micidiale che si nasconde dietro l’“impiattamento” delle singole pietanze. Nella miriade di queste indicazioni, spesso contraddittorie, manca, a giudizio mio e anche, con qualche riserva, di mia moglie, quella fondamentale: cosa “impiattiamo”? E qui nasce una domanda: chi viene invitato deve essere messo preventivamente a conoscenza di cosa gli sarà servito, dall’antipasto al dessert? Non solo, ma sarebbe giusto fargli sapere anche quali ingredienti sono stati utilizzati nella preparazione delle pietanze, in modo da metterlo in guardia da eventuali reazioni ad allergie o intolleranze? Condizioni di salute che ovviamente il galateo sconsiglia vivamente all’ospite di anticipare a chi lo ha invitato: non sta bene dire: “Grazie dell’invito. Cosa si mangerà?”; oppure: “Vengo, basta che non usiate l’aglio, il cetriolo e la cacciagione”. Il galateo potrebbe tollerare, al limite, la precisazione: “Tenga presente che sono celiaco”.

Entrambi abbiamo viva memoria di una cena a casa nostra la cui portata “a sorpresa” era un’insolita pasta condita con un frullato di aglio, pinoli e panna, bruciata sul nascere appena il nostro ospite ci ha confessato che non sopportava l’aglio: ci fossimo consultati prima, la cena avrebbe avuto un decorso più piacevole per tutti. Ma, l’abbiamo già detto, il galateo, nuovo o vecchio che sia, non contempla il “previo accordo” sulle pietanze.

E lo stesso dicasi per il menù, ovviamente fisso, che pur bisognerebbe far conoscere agli invitati prima che si siedano al tavolo. La cosa sarebbe quanto mai gradita e potrebbe sottrarre sia chi ospita che chi è invitato a situazioni imbarazzanti. Anche qui ci perseguita un vecchio ricordo. Invitati a cena, insieme ad altri, in un ristorantino vicino al mare per festeggiare il compleanno di un comune amico, le danze furono aperte da un antipasto ricco e vario, forse un po’ eccessivo come capita spesso. E infatti ne restò intatta una buona parte perché è normale che qualche invitato decida di contenersi. Sgomberato il tavolo da tutto il ben di Dio che restava dell’antipasto, dopo una sosta non lunga, durante la quale noi commensali conversavamo amabilmente in attesa del primo piatto, sorpresa sconvolgente! Il cameriere porta a tavola una bella torta e comincia ad accendere le candeline. Si trattò di una sorta di doppio salto mortale: saltò non solo il secondo piatto, cosa possibile e perdonabile, ma anche il primo offrendoci per la prima e, si spera, ultima volta in vita nostra una linea retta tra l’antipasto e il dessert.

Questa esperienza (che non auguriamo a nessuno) ci aprì gli occhi e oggi pensiamo a quante volte noi stessi rifiutiamo un bis per poi pentircene amaramente perché le pietanze seguenti non si rivelano all’altezza o non ci piacciono affatto. Per la qual cosa qui da noi, che non siamo ossessionati dal galateo, si preannuncia agli invitati tutto ciò che sarà messo in tavola di modo che ciascuno possa regolarsi sulla base di una prospettiva certa e quindi tranquillizzante. Con buona pace di Monsignor della Casa, di Baldassar Castiglione e di tutti i loro tristi epigoni.

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