Speriamo che me la cavo

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La guerra distrugge e quasi sempre ha origine per coprire errori e magagne. Sulle ragioni dell’attuale conflitto si occuperanno forse, se non si giunge all’olocausto nucleare, gli storici. Ciò che riguarda i contemporanei è cercare il modo di farla finire e presto. Siamo convinti che alla maggior parte dei quaranta milioni di ucraini – padri, madri e figli, giovani e vecchi – interessi principalmente ricominciare a vivere senza più l’incubo degli allarmi antiaerei, ricominciare a scrutare il cielo per sapere se farà bel tempo o pioverà, cercare la luce del sole o l’ombra della luna, senza l’incubo di vedere piovere bombe o essere distrutti da un missile e di morire per un colpo di mitraglia. Una vita magari faticosa, ma una vita dove speranze e delusioni, unioni e separazioni, nascite e morti tornino ad essere un evento naturale, inscritto nella nostra biologia.

Anche oltre la linea di fuoco il pensiero della gente normale è lo stesso. Predicatori da quattro soldi, che infestano il nostro Paese, si sono permessi di etichettare l’auspicio che si torni presto a uno stato di non belligeranza tra Federazione Russa e Ucraina come un atteggiamento amorale, egoistico e opportunista. A questi predicatori va ricordato che gli italiani – i lavoratori e i disoccupati, i giovani e i più anziani – vivevano in condizioni difficili prima ancora che scoppiasse la pandemia. Due anni di restrizioni non hanno certo aiutato chi stava peggio. Poi c’è stata la speranza di una svolta. I governanti europei sembravano finalmente essersi accorti che le politiche economiche adottate seguendo meri criteri contabili avevano portato l’economia di molti paesi, e in particolare quella dell’Italia, allo stremo. Il numero di persone povere era aumentato e continua ad aumentare a dismisura. Per i giovani si prospettava, ma nulla è cambiato, un futuro di precarietà lavorativa. I sistemi sanitari non garantivano e non garantiscono ancora la necessaria assistenza gratuita ad una popolazione sempre più anziana.

Ci si era anche accorti, almeno così sembrava, che il non garantire ai giovani, magari con competenze tecnico scientifiche elevate, un futuro di crescita professionale, economica e sociale stava privando i sistemi industriali della linfa vitale in grado di favorire e sostenere i processi di innovazione tecnologica indispensabili in un mondo che, fino a fine febbraio 2022, sembrava ormai unificato, dominato dalla globalizzazione. Ci si era persino accorti che forse era necessario avviare un processo di riconversione ecologica, adottare tecnologie per la produzione di energia senza più inquinare il pianeta, adottare nuove metodiche nella produzione di beni e servizi proprio in un’ottica ecologista.

Sembrava che si stesse andando anche verso la revisione di un modello di sviluppo basato su bassi salari. In Italia dopo anni in cui i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro erano stati bloccati, le pensioni portate al loro minimo storico, si era giunti al riconoscimento di seppur minimi aumenti salariali oggi già riassorbiti dall’aumento dell’inflazione. Con il super Mario alla guida del governo, sostenuto da una larghissima maggioranza parlamentare, si voleva svanita ogni incertezza. Cose che, dette ora sembrano fantasiose ricostruzioni.

L’invasione russa dell’Ucraina ci ha fatto tornare indietro. Siamo di nuovo in recessione. Il Governo Draghi da che proponeva piani per elargizione di grandi finanziamenti a imprese, cittadini e enti locali, si trova costretto dalla subalternità dell’Italia all’alleanza atlantica, ad aumentare le spese militari e a fare l’elemosina a chi non riesce a pagare le bollette energetiche, a chi vede la propria attività economica a rischio perché non ha i soldi per comprare il carburante per uscire a pescare, per far funzionare i trattori, per irrigare i campi, riscaldare le serre, o trasportare le merci. Fortunatamente siamo ancora ben al di qua della povertà generalizzata e, mentre per tante popolazioni del Nord Africa si teme una catastrofe umanitaria per mancanza di farina e pane, noi rischiamo l’arresto della crescita e saremo costretti a consumare le nostre riserve. Gli italiani di questo sono ben consapevoli e, pur non essendo del tutto convinti dei miracoli annunciati, qualche speranza l’avevano riposta nel messia Draghi.

Pur volendo usare la massima indulgenza nei confronti di governati europei e nazionali, c’è da chiedersi se una caduta così rovinosa non sia stata determinata dalla fragilità delle proposte e dalle azioni messe in campo per uscire dalla crisi della pandemia. Pesa molto non aver mai preso in considerazione una sostanziale diminuzione della spesa militare che anzi negli ultimi anni, prima ancora che scoppiasse la guerra, ha continuato a crescere. Se ci siamo ritrovati in una crisi di approvvigionamento energetico così repentina e pesante, non è certo causa del malefico Putin ma il frutto degli enormi ritardi accumulati e del fatto che le stesse misure adottate dal Governo Draghi, per la loro debolezza e superficialità, non avrebbero certo recuperato in pochi anni.

Ancora una volta l’aver ignorato che in Italia domina un sistema truffaldino contro la pubblica amministrazione poco c’entra con la guerra in Ucraina e appare del tutto assurdo e immotivato che, proprio in questa situazione di emergenza, si blocchi il finanziamento delle ristrutturazioni edilizie (eco bonus e sisma bonus) nonostante il dimostrato ruolo economicamente trainate del settore edilizio.

Si torna a parlare di blocco dei salari, quando quelli appena ottenuti sono già stati risucchiati dall’aumento dell’inflazione. Per non parlare poi dell’aumento rapido e vertiginoso dei tassi di interesse su prestiti e mutui. Ciò che continua drammaticamente a mancare nella politica italiana è una visione di medio-lungo periodo e si continua ad affrontare il governo dell’economia con misure contingenti, congiunturali. Certo il Presidente Draghi dei segnali al sistema politico ha avuto il coraggio di lanciarli, anche se è stato deriso da alcuni (ci riferiamo alla sua provocatoria dichiarazione: “vogliamo accendere i condizionatori o sostenere il popolo ucraino?”), riaffermando che il suo era ed è un ruolo di buon amministratore ma sono le forze politiche, il Parlamento che devono assumersi la responsabilità delle scelte strategiche di lungo periodo. Al suo appello purtroppo nessuno ha risposto e già è iniziata la campagna elettorale. In questo così desolante contesto la memoria ci restituisce un semplice pensiero: speriamo che ce la caveremo anche questa volta nonostante i nostri politici.

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