Venti di guerra

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Si sprecano in questi giorni analisi sull’intervento militare della Federazione Russa in Ucraina. Inevitabilmente le ragioni si dividono tra i blocchi contrapposti. Ancora una volta, troppo spesso si è portati a ragionare in termini di fan piuttosto che cercare di individuare le reali motivazioni che hanno spinto Putin a riportare la guerra in Europa dopo ottanta anni di pace. Vorrei invece partire da una prospettiva diversa.
Fino alla caduta di quella che fu l’URSS, il mondo si contrapponeva in due modi di intendere la vita fondamentalmente differenti: da una parte il blocco capitalista capitanato dagli Stati Uniti, dall’altra quello sovietico che, in qualche modo, disegnava una società di stampo comunistico in cui vigeva, (almeno formalmente) una società più orizzontale. Due ideologie a confronto, per le quali non c’è motivo, in questa occasione, di schierarsi.
In questa logica, poteva avere una qualche giustificazione la contrapposizione, anche feroce tra i due blocchi, e si giustificava in qualche modo lo schierarsi dall’una o dall’altra parte in nome di questa o quell’altra ideologia. Cosa che ha alimentato anche racconti di gesta eroiche e di persone assurte a ruoli leggendari (si pensi al Che). Si sognava, da parte di quella generazione, di dare vita a un mondo migliore e più equo, fornendo argomentazioni più o meno valide a sostegno dell’una o dell’altra tesi.
Purtroppo si è poi affermata la visione capitalista del mondo che, dopo i primi anni, in alcune parti dell’Occidente, attenuata da uno stampo keynesiano, è diventata e sta diventando sempre più “ortodossa” con una divaricazione sempre maggiore fra i pochi ricchi e i molti poveri. In questo ambito lo scoppio di una nuova guerra sembra davvero non avere nessuna giustificazione, perché del tutto interna a una gestione del mondo dove in realtà si va a combattere non per un ideale, non per la libertà o valori simili, bensì per interessi specificatamente economici di pochi a discapito di altri pochi. Il tutto ammantato da presunte violazioni di spazi e di trattati che in realtà sono solo affermazioni di interessi economici di parte.
Va tuttavia sottolineato come quella che di fatto è una invasione di un’altra nazione vada comunque condannata senza se e senza ma, soprattutto se questa azione la patiscono in gran parti civili, singoli che nulla hanno a che vedere con la guerra, ovvero la maggior parte delle persone le quali hanno già grande difficoltà a risolvere i piccoli grandi problemi quotidiani con cui devono convivere.
In questa guerra, alla fine, ci sarà solo un numero imprecisato di vittime, di cui difficilmente conosceremo i nomi, i volti, le storie, che saranno solo gli ennesimi agnelli sacrificali offerti per gli interessi economici di pochi potentati. Per questo motivo, ancor più di ieri, si dovrebbe rifuggire dal canto di gesti eroici perché, forse, l’unico eroismo valido è quello di restare vivi.
Ieri come oggi la “Ninna Nanna “di Trilussa sembra più attuale che mai. L’unica guerra sensata sarebbe quella del popolo contro chi lo continua ad affliggere per uso e consumo proprio, creando ed alimentando falsi miti e confini; ma per questa “guerra” non servono armi in democrazia.
Quindi per adesso non ci resta che pregare perché tutto termini il più presto possibile.

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