Spagna: la riforma del lavoro segna una svolta storica

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“Non mi piace parlare di utopia. Preferisco parlare di progetto non ancora realizzato”

– Gino Strada

La Spagna si sta facendo notare in Europa per le sue conquiste sociali e politiche, per il suo progressismo in merito alle comunità LGBTQ+, per la settimana lavorativa corta, per le misure adottate durante la pandemia. Un piccolo faro che può darci un barlume di speranza, in un’Europa che sembra virare sempre più verso destra. E lo fa questa volta con una riforma del lavoro che può rappresentare una svolta “storica” per il Paese iberico ma, si spera, anche un esempio per tutta Europa.

Lo scorso dicembre il governo di Pedro Sánchez ha presentato una emendación (modifica) della legge del lavoro del 2012, ereditata dal Partito Popolare. La riforma, frutto di intense negoziazioni con i sindacati, è considerata uno dei punti chiave della legislatura di Sánchez ed è stata voluta da Bruxelles come condizione per poter erogare i fondi del Recovery Fund, che per la Spagna ammontano a circa 140 miliardi di euro.

La riforma si concentra in particolare sull’eliminazione dei contratti di lavoro a tempo determinato, sui contratti di tirocinio formativo e sulla contrattazione collettiva. La Spagna infatti detiene il primato in Europa per i contratti di lavoro temporales.

La ministra del lavoro Yolanda Diaz, che ha voluto fortemente la riforma, la definisce come “storica” ed a tutela della democrazia. Ma cosa prevede nello specifico questa riforma?

In primis, cambia l’art. 15 dello Statuto dei lavoratori: il contratto di lavoro sarà sempre indeterminato, salvo che in due circostanze. La riforma si propone di regolamentare i contratti “temporanei” o a tempo determinato, abolendoli, e comminando sanzioni pecuniarie ai datori di lavoro che abusano di contratti inferiori ai 30 giorni. Tramite questo sistema, infatti, le imprese che licenziano un lavoratore temporaneo prima di 30 giorni pagheranno un surplus all’ente di previdenza sociale di 26 euro per ogni lavoratore liquidato, e le infrazioni per uso improprio dei contratti temporanei saranno punite con una multa che può andare dagli 8.000 ai 10.000 euro.

É infatti piuttosto usuale, soprattutto nel campo della ristorazione, assumere i lavoratori con contratti lampo dal lunedì al venerdì, salvo riassumerli la settimana successiva. La riforma mira a combattere questa fattispecie. I contratti di lavoro a tempo determinato si manterranno solo in due casi: uno definito strutturale, ossia per circostanze “extra” di produzione in alcune occasioni, come Natale o altri particolari periodi dell’anno, ma con un limite di sei mesi. Il secondo caso è per sostituzione di un altro lavoratore. Nel caso dei contratti “d’opera” (obra y servicio) che sono sempre stati i contratti con maggiori squilibri e precarietà, potranno essere solo a tempo indeterminato e sarà la stessa impresa a dover ricollocare in un’altra area il lavoratore che ha finito il suo periodo di lavoro svolgendo una determinata mansione.

In secondo luogo, la riforma vuole regolamentare la controversa materia dei contratti di tirocinio formativo, spesso strumento di sfruttamento di giovani in cerca della propria collocazione professionale. Viene istituito uno Statuto del Tirocinante per i contratti di practicas. Si regolamentano dunque i contratti formativi, che potranno essere o in alternanza (con scuola e università) o tirocini professionali, quando già si è ottenuto il titolo di studio. I primi potranno avere una durata massima di due anni, con retribuzioni che non potranno essere inferiori al 60% di un salario minimo nel primo anno ed il 75% nel secondo anno.  

La riforma dell’esecutivo socialista di Sánchez era inizialmente sostenuta da 178 voti, provenienti dai partiti PSOE e Unidas Podemos, il partito centrista di Ciudadanos, PDeCAT, Union del Pueblo Navarro, Màs Paìs, Coalizione Canaria e il Partito Regionalista di Cantabria. Ma, durante le votazioni avvenute giovedì, due deputati del partito nazionalista di Navarra, UPN (Union del Pueblo Navarro), all’ultimo momento si sono ribellati contro la decisione del proprio Partito, votando il proprio no alla riforma. Votarla, hanno dichiarato, significava dare pieno supporto al Presidente Sánchez, appoggiato dal Partito separatista basco Euskal Herria Bildu, suo oppositore. Il loro No ha pesato fortemente nella votazione, messa in pericolo dai due voti mancanti.

Ma, come nei migliori colpi di scena, a causa di un errore di voto informatico di un deputato del Partito Popolare la riforma è passata, con 175 voti contro 174 sul totale di 350 deputati. Che si tratti di un errore o meno non è dato sapere, poichè il voto sbagliato è stato reiterato per ben tre volte. Fatto sta che la riforma è stata formalmente approvata: “La Spagna ha un nuovo quadro normativo sul lavoro, ponendo al centro la dignità del lavoro. Con questa riforma recuperiamo diritti e ricostruiamo consensi per avanzare in un’occupazione di qualità”, sono state queste le parole del Presidente Sánchez dopo le votazioni.

Un ultimo importante punto da considerare è che, parallelamente alla riforma del lavoro, e non casualmente, è stata varata anche la Legge della Scienza che mira a eliminare o quantomeno ridurre la precarietà dei ricercatori nel settore Ricerca e Sviluppo, cercando di “richiamare” i cervelli in fuga, consentendo loro di poter contare su contratti di ricerca più stabili, su una maggiore uguaglianza di genere nei team di lavoro ed anche su incentivi e finanziamenti per il passaggio della conoscenza dalla ricerca alla società e alle imprese.

Sono infatti circa 5.000 i posti nella ricerca che tra il 2011 e il 2016 sono andati perduti in Spagna, insieme ad altrettanti giovani che hanno cercato migliori condizioni di lavoro all’estero. Una fuga di talenti che purtroppo viviamo anche noi, in Italia, dove le menti più brillanti e promettenti preferiscono lasciare il Paese per avere maggiori garanzie contrattuali e prospettive di carriera all’estero. Questo cambio di paradigma con attenzione alla ricerca e a condizioni di lavoro più degne fa della Spagna un piccolo faro a cui mirare e forse, nonostante la pandemia e la paura, anche noi giovani potremmo guardare con fiducia ad un un futuro un po’ meno precario. E che non sia un’utopia.

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