Pagine che non si vorrebbero mai scrivere

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Questa è una pagina che non si vorrebbe mai scrivere se non fosse per l’indispensabilità di fare un ragionamento politico, economico, sociale e culturale in grado di contrastare la barbarie che quotidianamente si perpetra nei confronti di migliaia, milioni di persone che, vagando nel mondo in cerca di rifugio e accoglienza, vengono trattati quasi peggio che nel più orrido campo di sterminio nazista o in un macello di qualche allevatore sanguinario e sadico.

Ammesso che la cattiveria e l’infamia possano essere graduate, una cattiveria maggiore di un’altra, un’infamia più infame di un’altra, quanto sta accadendo ai confini orientali dell’Europa comunitaria è certamente una tra le peggiori. Dittatori e tiranni che hanno lucrato sulla disperazione dei popoli che soggiogavano ce ne sono stati tanti in tempi remoti e purtroppo anche in anni recenti.

La tragedia nel Mediterraneo continua e banditi vengono indirettamente e direttamente finanziati. E che dire della tragedia dimenticata del popolo Rohingya in Birmania, dell’assedio permanente della Striscia di Gaza con i Palestinesi imprigionati dallo stato di Israele, della fiumana di donne uomini e bambini che attraversano a piedi il Sud e il Centro America sperando di entrare negli Stati Uniti, dove invece trovano vigilantes e tiratori scelti che si esercitano al tiro con bersaglio mobile contro i pochi che riescono a superare muri e filo spinato?

Gli stati forti e ricchi preferiscono criminalizzare queste folle di disperati considerandoli come merce avariata che gruppi di delinquenti vorrebbero smerciare nel loro dorato territorio. L’occultamento della verità dei fatti è pratica politica consolidata nelle relazioni internazionali. In questi mesi però si è compiuto una sorta di salto d’infamità: la Bielorussia, spalleggiata e coperta dalla Russia, ha avviato un’operazione di rastrellamento dei disperati, se li va a prendere in giro per i propri confini e li fa accalcare ai confini della Polonia. Il Re è nudo! Si utilizzano le persone come armi, le si spingono ai confini dell’Europa comunitaria per destabilizzare l’equilibrio internazionale, per aprire una trattativa su sanzioni, scambi commerciali, finanziari ed industriali. Dall’altra parte l’Europa, e noi tutti, continuiamo a non voler vedere. Si è soliti addebitare ai mezzi di comunicazione molte colpe, anche quella di occultare vicende e drammi. In questo caso non si può certo dire che sia avvenuto così. Sono settimane che giornali e telegiornali aprono le loro edizioni con titoli e informazioni su quanto sta avvenendo in quei luoghi, ma non abbiamo intercettato nessuna vera reazione da parte di gruppi politici, di associazioni, di liberi cittadini. Quante volte ci siamo chiesti, informandoci, guardando film e documentari sulla tragedia del genocidio di ebrei e zingari perpetuato da Hitler e dai suoi gerarchi: ma la gente, il popolo tedesco sapeva? I governi che con Hitler facevano accordi e affari, sapevano? A queste domande si sono date tante risposte. È facile sentenziare il comportamento degli altri per salvare la propria coscienza e, come scrisse qualcuno duemila e più anni fa: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? O, come potrai tu dire a tuo fratello: “Lascia che io ti tolga dall’occhio la pagliuzza”, mentre la trave è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello».

Di fronte a ciò questa pagina non può rimanere bianca, ma dovrebbe essere lunga quanti sono gli anni rubati alla vita di milioni di individui. Non possiamo tacere, mostrare solo il nostro accomodante pessimismo, circondati da persone che considerano la loro fortuna di essere nati in un mondo libero e grasso come un proprio merito personale. Roberto Alajmo scrive un “elogio del silenzio” sul suo forum: «Intervenire sempre meno, prendere la parola solo quando si immagina di avere davvero qualcosa di originale da dire. Non è una scelta dettata solo dal frastuono circostante, nel quale anche la voce di uno Sciascia o di un Pasolini rischierebbe di essere subissata da rumore e invettive. È, anche, il desiderio di non ammorbare il mondo col proprio pessimismo, che rischia di diventare manieristico. Esistono i professionisti del pessimismo, che godono di una rendita di posizione tanto più in periodi del genere, in cui le cose sembrano davvero pessime. Scavare una trincea di pessimismo e infilarcisi dentro garantisce sopravvivenza e appagamento. Esiste pure una voluttà, del pessimismo. Il pessimismo è contagioso, e chi sa di averlo contratto, oltre i cinquant’anni, dovrebbe avere il buon gusto di osservare l’isolamento volontario tacendo il più possibile, lasciando ai giovani il piacere e il dovere di sperimentare la propria ragionevole dotazione di ottimismo”.

Ma qui e ora non si tratta di essere ottimisti o pessimisti piuttosto di smettere di ignorare, smettere di salvarsi la coscienza con il solo seguire la cronaca di fatti che fingiamo essere lontani da noi. Pesa su di noi l’incapacità di una Europa che si affanna solo nella gestione delle sue riserve monetarie, prima racchiudendole nei forzieri delle sue banche e ora impegnata a distribuirle. Piano di rinascita e resilienza l’hanno chiamato, ma l’attenzione alle persone, dentro e fuori i suoi confini, alla vita quella materiale, biologica, alla speranza, la politica e i politici dove l’hanno accantonata? Contro la barbarie, dopo secoli di civilizzazione, si riesce a rispondere solo proponendo altra barbarie, schieramenti di truppe e minacce di guerra?

Si agisca, finalmente, e se si vuole innescare un processo di rinascita e resilienza si riparta dalla vita, salvaguardandola. Come e cosa fare di fronte a questi esodi disperati con i suoi drammatici epiloghi, come sottrarre ai mercanti, organizzazioni criminali o stati, la loro merce. È questa l’unica discussione politica cui vorremmo e dovremmo partecipare, tutto il resto merita un umile silenzio. Non si può attendere la conta dei morti, ma bisogna far sentire la propria voce, agire con piccole e grandi azioni per fermare il massacro, per costringere chi ci governa ad agire. Una ecologia delle idee, delle azioni, della politica.

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