Le maschere

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Disegno di Martina Iannuzzi

Siamo nel periodo delle maschere, la festività di Halloween è alle porte. Questa tradizione deriva dalla festa celtica di Samhain, che coincide con il capodanno celtico e significa approssimativamente “fine dell’estate”. I Celti avevano la credenza che in questo periodo si assottigliasse la parete che divide il regno dei morti da quello dei vivi e che, quindi, fosse possibile la comunicazione tra i due mondi. Per tenere alla larga gli spiriti maligni usavano compiere sacrifici animali e indossare poi le loro pelli e da qui si pensa derivi la tradizione del vestirsi in modo spaventoso.

Ma più spaventose dei travestimenti e delle maschere di Halloween sono quelle che le persone indossano ogni giorno. Ebbene sì, per quanto vorremmo negarlo, è una constatazione inattaccabile. La stessa etimologia della parola “persona” significa “maschera teatrale”. Non è quindi un caso. Queste maschere, che noi tutti indossiamo, nascondono la nostra vera essenza o sono definibili ugualmente come parte di noi? Queste maschere sono una nostra estensione o costrutti sociali che non dovrebbero appartenerci? Per Luigi Pirandello (drammaturgo, poeta, scrittore premio Nobel per la letteratura) le maschere avevano un significato simbolico, rappresentavano la frantumazione dell’io in molteplici identità.

Questa capacità di “indossare” delle maschere, per Pirandello, è un adattamento sviluppatosi nei contesti sociali come risposta al mondo esterno. Egli parlava di “palcoscenico della vita” nel quale ognuno esibisce il proprio apparire non mostrando quasi mai l’essere. La maschera è un concetto cardine nelle opere di Pirandello: soprattutto nel romanzo Uno, nessuno e centomila, nel quale dà pieno sfoggio della metafora, spiegando come l’uomo si nasconda dietro di essa non consentendo agli altri di conoscere la propria personalità. Il significato del titolo dell’opera spiega che siamo uno quando mettiamo in evidenza la realtà che ci diamo, centomila quando viene messa in evidenza la realtà che ci danno gli altri e nessuno quando prendiamo coscienza che non siamo né quell’uno né i centomila ma nessuno. «Io non l’ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.» Questo viene definito relativismo conoscitivo pirandelliano, l’idea cioè che la verità non è assoluta, proprio perché la verità possibile è quella che identifica l’essere con il suo apparire. Qui è inevitabile il collegamento con Nietzsche, il quale sosteneva l’impossibilità di giungere ad un’unica verità assoluta, nella sua opera Su verità e menzogna in senso extramorale scriverà: L’intelletto, come mezzo per conservare l’individuo, spiega le sue forze principali nella finzione. Questa infatti è il mezzo con cui gli individui più deboli e meno robusti si conservano …. le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria.” Egli sosteneva che il travestimento non ci appartiene per natura, viene ad attuarsi in vista di uno scopo e assunto per combattere un’insicurezza e uno stato di paura di fondo. Se, da una parte, Pirandello in Uno Nessuno e Centomila riprende l’idea nietzschiana di “relatività”, dall’altra guarda al concetto sviluppato da Carl Gustav Jung di “persona”. Secondo Jung, una festa come Halloween, col suo pullulare di maschere e di travestimenti, porta il soggetto ad alleggerirsi del peso della propria identità di ruolo, professionale, sociale o culturale.

Attuare una tradizione sociale, come quella di mascherarsi, ci aiuta ad entrare in contatto con il bambino che si trova in noi, questa connessione ci porta ad una sensazione di leggerezza e libertà, ci allontana dalla finzione giornaliera alla quale ci costringiamo. Potremmo definire la maschera come un filtro sociale che l’individuo pone tra sé e gli altri nei momenti di relazione e interazione. Questo filtro ha una funzione utilitaristica, ci dà la possibilità di interpretare un ruolo specifico in una situazione che prevede un’etica comportamentale diversa dalle nostre consuetudini, come ad esempio in una situazione lavorativa. La realtà della persona, in queste situazioni, viene quindi a perdersi diventando un compromesso tra la richiesta sociale e l’individualità. Questa maschera o persona ha uno speciale senso dell’adattamento, si modella nei contesti che vengono a presentarsi ogni giorno, per poter sviluppare al meglio le relazioni sociali. Siamo noi quindi amici, amanti, lavoratori, commedianti nella nostra stessa opera che è la vita, cambiamo e ricambiamo le nostre maschere, siamo l’insieme di tutte queste e siamo anche il nulla generato da tutte queste finzioni, come magnificamente ha scritto Shakespeare: “La vita non è che un’ombra in cammino; un povero attore, che s’agita e che si pavoneggia per un’ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, e senza alcun significato.” (William Shakespeare, Macbeth)

1 commento su “Le maschere”

  1. Florence BONIFACI

    Oui, le masque est un sujet passionnant. Si l’on remonte à la nuit des temps, il a été utilisé par toutes les civilisations, religions, peuples ( masques incas, aztèques, amérindiens, africain, égyptiens, vénitiens, etc.). La liste est longue, parceque l’utilité du masque est grande.
    Le jeu des persona, animus/anima, des conventions mensongères et rituels illusoires, confine à la grande question de l’identité et du jeu (je).
    Aujourd’hui, au delà de la pandémie, le masque participe de la même nécessité de se cacher, derrière les écrans, derrière un masque, derrière un pseudo. Incapacité d’assumer la réalité, fuite, construction illusoire.
    Cette approche du sujet est très intéressante et invite à la réflexion.
    Merci !

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