Diario di un vaccinato rassegnato alla quarta ondata: 28 settembre 2021

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pagina di diario

Le nostre conversazioni familiari in questa settimana pre-elettorale hanno spesso riguardato le scelte che i nostri parenti, amici e conoscenti si accingono a fare nelle urne. Sappiamo già, per pregresse esperienze, che alcuni di loro, se glielo chiedessimo, anche in questa occasione ci risponderebbero che il voto è segreto. E quindi non indaghiamo né polemizziamo con loro sul fatto che spingere la segretezza fin dentro la sfera familiare ci sembra eccessivo.

In realtà la domanda di fondo è diretta a conoscere innanzitutto chi dei nostri amici e parenti andrà a votare e chi non ci andrà. Naturalmente rivolgo a chi non vuole votare o pensa alla scheda bianca e a chi è ancora incerto il solito sermone logico-affettivo che prende le mosse dal seguente quesito: “Riconosci che la politica, per quanto ti ripugni, influisce concretamente nelle nostre vite?” Se la risposta è negativa, il sermone non inizia neppure e si parla d’altro. Se è invece affermativa si prosegue con: “I candidati e i partiti che si affrontano, per quanto spregevoli possano essere, lo sono in maniera identica o ce n’è sempre uno peggiore?” Se l’interlocutore nega questo elementare assioma, andiamo momentaneamente in difficoltà ma gli spieghiamo che in natura non esistono due cose uguali: anche i nostri occhi non sono l’uno identico all’altro, così come non lo sono le orecchie, i reni e tutti organi che sono presenti in coppia nel corpo umano. Una volta abbattuta la resistenza su questo punto essenziale, si passa alla domanda finale: “Se tuo figlio sta molto male e puoi disporre solo di due medici uno peggio dell’altro, che fai? Non ne chiami nessuno o ti rivolgi, con tutti i timori del caso, a quello meno peggio?” La risposta a questo punto è scontata perché la domanda è retorica, almeno se parliamo di figli ammalati. E comunque non ci illudiamo più di tanto: qualcuno di quelli che non hanno potuto negare la validità del discorso nel suo intimo penserà: “Vabbè, ma non saprò mai chi è il medico meno peggio e poi, in fin dei conti, il pargolo sta benissimo.”

Poi ci sono tutti quelli che a votare ci andranno. Alle amministrative, si sa, un certo spazio al voto amicale se non a quello di convenienza è tollerato, ma una buona maggioranza segue coerentemente il proprio orientamento politico. E qui incontriamo “sensibilità” diverse. Alcuni infatti votano non perché preferiscono essere governati da un candidato piuttosto che dal suo avversario: vanno a votare solo per sostenere il partito che meglio incarna i loro ideali anche se sanno che è condannato a un risultato marginale e quindi ininfluente. Poco interessa a questi elettori duri e puri l’esito finale della competizione elettorale e chi alla fine governerà, incidendo anche sulla loro condizione di cittadini: l’importante per loro è la salvezza della propria coerenza, come se il problema sia, costi quel che costi, il rispetto della propria identità politica. Si chiama voto di testimonianza e serve esclusivamente a contarsi per vedere in quanti la si pensa alla stessa maniera, che è quella giusta, ovviamente.

Non è superfluo ricordare che la politica, come diceva Bismarck, è l’arte del possibile, mentre l’ideologia sfiora l’utopia. Questa rigidità identitaria, caratteristica quasi esclusiva della sinistra (e dei radicali) si porta dietro la triste eredità delle continue scissioni e dissociazioni che, a partire da quella, storica, di Livorno del lontano 1921 e passando per Bertinotti e Turigliatto, hanno consegnato spesso il Paese al governo delle destre. Certo, a questi elettori resta la consolazione di poter dire, nel caso in cui chi ha vinto le elezioni dovesse deludere, come accade quasi sempre: “Io non l’ho votato”. Mia moglie ed io, che da decenni votiamo per il meno peggio, sogniamo di poter votare un giorno per qualcuno che ci rappresenti pienamente ed abbia la concreta possibilità di vincere.

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