Afghanistan: congetture e confutazioni

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Cartina dell’Afghanistan (Fonte: wikipedia.org)

Le immagini di quanto è accaduto e sta ancora accadendo in Afghanistan non possono lasciarci indifferenti. Anche in questo caso, però, sta emergendo fino in fondo lo stato confusionale in cui versano le società occidentali, dall’opinione pubblica, articolata nei diversi livelli di competenza e conoscenza come giustamente avviene nei sistemi democratici, agli apparati politici e diplomatici. Ancora una volta le posizioni si ribaltano, i confini tra progressisti e conservatori s’intersecano, si confondono. Scriveva Fusi su queste pagine qualche giorno fa: “quando incominceremo a riflettere su vent’anni di disastri che l’Occidente ha prodotto nel mondo?”.

La questione afghana, ieri come oggi, nasce e cresce sotto il segno dell’ambivalenza, del doppio livello, uno comunicativo l’altro strategico, che non coincidono. Una cosa è adottare criteri di riservatezza, in alcuni casi di segretezza, nel corso di una trattativa, altra è mentire e, con l’intento di acquisire consenso e legittimazione alle proprie azioni, produrre prove false, inventarsi pericoli inesistenti o ingigantirli a piacimento, confondere l’opinione pubblica con vere e proprie azioni di depistaggio. Rileggendo le cronache di venti anni emerge però una profonda differenza con la situazione attuale. Allora la sudditanza degli “alleati” verso gli Stati Uniti fu manifesta, dalla Gran Bretagna all’Italia trascinati in un’avventura che poco aveva a che fare con la difesa dei diritti umani o con la lotta al terrorismo, ma più che altro con il ristabilire i rapporti di forza con quelli che erano stati fedeli alleati fino a qualche anno prima, nella guerra contro l’occupazione sovietica o in diversi contesti di guerre locali, come Osama Bin Laden e il suo gruppo. Oggi la presa di posizione manifestata dagli Stati Uniti è diversa: non siamo più disposti a fare una guerra per voi, alleati europei e non; rinunciamo ad una presenza armata in Afghanistan perché l’obiettivo di sconfiggere il terrorismo è stato raggiunto e non ci sentiamo più direttamente minacciati; per noi (USA) oggi il pericolo vero è quello di perdere la leadership mondiale in campo economico, finanziario ed industriale e per questo abbiamo bisogno di utilizzare tutte le risorse disponibili per ricostruire la nostra potenza; non possiamo permetterci il lusso di continuare una guerra inutile e costosissima. Questa posizione di per sé lascia poco spazio ad alleanze, anche con il più sciocco dei propri servi, tant’è che il fronte pro USA si sta sfaldando: in molti sono restii a rispettare la disposizione di accogliere la grande nuova ondata di profughi in fuga dai Talebani, che inevitabilmente si è messa in marcia verso occidente.

Per gli Stati Uniti non è una novità assoluta il rinchiudersi a riccio nei propri confini. La scelta del Presidente Biden è in perfetta continuità con i suoi predecessori, anche con le politiche protezionistiche di Trump. Ma in questo caso è possibile intravedere delle importanti novità. Probabilmente le nostre possono apparire come congetture, che potranno essere confutate quando la situazione e gli intenti saranno più chiari perché è difficile credere che il ritiro delle truppe americane, più o meno anticipato, non sia stato concordato con le altre grandi potenze, Cina e Russia. Ancora una volta la scarsa trasparenza negli obiettivi mette fuori gioco la democrazia. Forse gli USA hanno concordato con il loro maggiore concorrente e rivale il cambio della guardia in terra afghana. Gli interessi potrebbero aver coinciso: la Cina si accollerebbe l’onere di misurarsi con la gestione del potere e delle relazioni politiche sul campo minato afghano, liberando gli statunitensi. In cambio potrebbe aver ottenuto una diminuzione della pressione diplomatica su Hong Kong e in generale sul rispetto dei diritti umani, su dazi e circolazione internazionale di prodotti, capitali e imprese e non è da escludere che ci sia anche in gioco un rallentamento della pressione per attuare politiche di riduzione nelle emissioni di gas serra. Un accordo che realisticamente terrebbe conto dell’impossibilità dei maggiori paesi industriale di fare a meno dei capitali e della capacità industriale e produttiva del colosso asiatico. Una strategia sostitutiva dell’attacco frontale, dell’impensabile scontro militare diretto, anche per il dottor Stranamore. È probabile che il vero obiettivo sia quello di attrarre l’avversario nei deserti afghani con la quasi certezza che finisca insabbiato. Altro che incapacità diplomatica e militare, un gioco d’astuzia che ricorda le imprese militari ottocentesche! Inevitabile non ripensare alla vicenda di Napoleone sconfitto dai russi dello zar che, facendolo penetrare quanto più possibile nel proprio immenso territorio, magari rallentandone l’avanzata o ritirandosi, lasciarono al Generale Inverno il compito di finire ciò che loro avevano iniziato.

Forse il gruppo dirigente cinese, stanco di svolgere il ruolo della saggia formichina che conquista i mercati mondiali mentre gli altri avvolgono il pianeta con modi e tempi assordanti come il frinire delle cicale in una calda giornata d’estate, ha accettato la sfida. Una strategia nuova a cui il mondo non è abituato, ma che è il frutto di una lunga, progressiva metamorfosi del sistema economico, politico e finanziario di quel Paese.

Il resto del mondo sta reagendo in modo disordinato e confuso. Quell’area politico-culturale che è nata e cresciuta in opposizione all’interventismo militare, contro la guerra come strumento unico per “esportare la democrazia”, oggi è in difficoltà e sembra quasi rimpiangere il ruolo di gendarme svolto dal Grande Alleato continuamente criticato. Dall’altra parte, l’area politico-culturale che genericamente rivendicava e rivendica la superiorità del modello occidentale, oggi condivide il ritiro delle truppe e al tempo stesso, con drastica coerenza, verrebbe da dire con “lucida follia”, alza i muri verso nuove ondate migratorie, quasi a dire a quelle popolazioni, a quei governi, a quelle forze sociali culturali e politiche che sono cresciute anche grazie allo scudo americano e occidentale: affogate nei vostri mari, d’acqua o di sabbia, noi abbiamo altro da fare.

Quanto ci manca la chiara e limpida voce di Gino Strada, il suo urlo contro l’insopportabile barbarie della guerra, senza distinzione tra buoni e cattivi. Ignorare questo semplice principio, il considerare la distruzione e morte come “un effetto collaterale” secondario di ogni guerra “necessaria”, ha portato in modo periodico l’umanità a commettere terribili crimini contro se stessa. Così come aver tollerato la violazione dei diritti universali dell’uomo a seconda dell’area geopolitica di appartenenza, o a seconda della “particolare gravità” della situazione politica (in America Latina, nella Spagna di Franco e nel Portogallo di Salazar, in Vietnam con gli orrori della guerra, le torture e la violazione dei diritti elementari nei confronti degli afroamericani, o nel campo di prigionia di Guantánamo, ma l’elenco sarebbe ancora lunghissimo per la sola parte americana a cui andrebbero aggiunti i massacri staliniani, la repressione in Cecenia, e tanto altro ancora, oltre che alla corresponsabilità nella tragedia mediorientale).

Il potere distruttivo che tante potenze hanno accumulato nei decenni sembrava non far più paura perché il sistema era stato “messo in sicurezza” da quello che fu definito l’equilibrio del terrore. E ora che pare che i giochi si stiano riaprendo, che l’instabilità si confermi come condizione permanente nei rapporti internazionali, ritorna ad essere necessario riprendere a ragionare a ad agire per impedire che la catastrofe da immaginata diventi reale. “Chi ha da dire qualcosa contro la guerra si alzi e taccia”. Una frase abusata o usata in modo improprio. Oggi però ci sembra improponibile. Chi oggi ha qualcosa da dire contro la guerra si alzi e lo urli, e sostenga l’idea che bisogna ricominciare ad utilizzare gli strumenti della diplomazia, la capacità politica di costruire accordi, mediazioni per gestire gli inevitabili conflitti di interessi che si concretizzano nel corso delle attività umane. L’Afghanistan e la sua infinita guerra possono solo insegnarci che non è possibile garantirsi la sopravvivenza se si continua ad opporre integralismi ad integralismi. Non c’è giustificazione possibile, non può esserci nessun riconoscimento dell’orrore dell’estremismo talebano, dell’oppressione di donne e uomini, ma ciò non può giustificare la guerra e soprattutto non può giustificare il guardare da un’altra parte. Quel mondo esiste e bisogna scardinarlo trattando, trattando, trattando. Basterebbe smettere con la politica della carota e del bastone: da un lato ti faccio la guerra e dall’altro faccio affari con te. Ottimismo, pessimismo. Categorie inutilizzabili in politica e nella diplomazia che si nutrono di atti concreti, di azioni, accordi, mediazioni. Ciò che ha ucciso tutto questo è stato e continua ad essere l’assenza di trasparenza, di chiarezza, ad occidente come ad oriente, al nord come al sud del mondo. Ma questo è l’unico e anche il più umano modo che ci resta per sopravvivere, godendo della soddisfazione di raggiungere risultati senza spargimento di sangue.

3 commenti su “Afghanistan: congetture e confutazioni”

  1. Giuliano Pennacchio

    Alcune questioni:
    L’Occidente non conosce l’Oriente. Non sono bastati vent’anni per capire come fare ad impattare con l‘entità nazionale afgana composta da tribù ed etnie.
    Gli USA di Biden hanno bisogno di ‘prendere le misure’ nella lotta per la competizione con la Cina, non con politiche dichiaratamente sovranista, ma con scelte tutte rivolte all’opinione pubblica americana e agli interessi nazionali.
    Nella vicenda afgana la Nato esce un po’ sotto tono; viene messa sotto scacco dalle scelte unilaterali degli USA. Questo non vuole dire che l’Alleanza Atlantica si scioglierà , sarà sempre di più così; gli USA che pensano ai loro interessi e il resto dei paesi della Nato che ne prende atto.
    In questo contesto Draghi e l’Italia fanno finta di giocare un ruolo, con il G20, ma dovranno accordarsi alla volontà degli USA .
    Resta il fatto, che bisogna prendere atto, che l’Europa non riesce, ancora, da sola ad esprimere una politica estera.

    1. È un articolo lucido e coerente con la storia di 20 anni che ci è passata sotto gli occhi. Gli Usa sono i principali attori di un disastro di immane portata, ma si sa, sono da sempre maestri nel guardarsi i caxxi loro. La Cina ha sfondato con importanti spallate la stretta porta dell’economia mondiale che voleva, fino a venti anni fa , solo gli Usa a guardiani dell’uscio.
      Barattare un ruolo da attori degli orientali in questo scenario, pagando il prezzo di ulteriori scelleratezze a danno dell’ambiente, equivale a suicidarsi di certo.
      Mediare senza stancarsi è l’unica alternativa ma occorrono professionisti di spessore, profondi conoscitori di quella gente per cercare di scalfire quel muro che al momento sembra fatto di acciaio. Sono pessimista.

  2. “Ancora una volta la scarsa trasparenza negli obiettivi mette fuori gioco la democrazia”. Mi sa che questa frase riassume bene la verità. Grazie per l’analisi lucida.

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