I tesori nascosti della Certosa

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“La Morte e Franceschino da Brignale, ex voto conservato al Museo della Certosa di san Martino a Napoli

Nella notte del 23 novembre 1343 un terribile maremoto devastò il golfo di Napoli. L’intera fascia costiera fino ai decumani fu allagata, il ponte levatoio del Maschio Angioino fu divelto e schiantato dalla furia degli elementi, l’acquedotto fu sommerso dai detriti così come le chiese di San Giovanni a Mare, di Sant’ Eligio e la basilica della Spina Corona in Largo delle Corregge (attuale via Medina). La flotta angioina e tutte le navi da diporto furono affondate o disperse (una barca da pesca fu ritrovata addirittura sopra la collina di Pizzofalcone ove adesso sorge l’accademia militare della Nunziatella). Testimone d’eccezione di questi avvenimenti fu il poeta Francesco Petrarca, ospite della famiglia reale nel convento di San Lorenzo Maggiore. In una sua lettera destinata al cardinale Colonna racconta della tragedia ancora turbato dagli avvenimenti. Il poeta dice che ad una scossa di terremoto, che fece tremare la terra, seguì un violento temporale che durò tutta la notte. L’intero convento si riunì in preghiera nella chiesa del Protomartire credendo fosse arrivata l’Apocalisse. La mattina successiva Petrarca fu invitato dalla regina Giovanna ad accompagnarla sul grande molo, ormai distrutto e invaso dalle acque per avere contezza dei danni. Quasi ci rimisero la vita a causa di uno smottamento del terreno. Dal suo ricordo emerge un dato: “una sola tra tante navi, resse al naufragio, una nave piena di malfattori destinati alle galee”.

Questo lungo preambolo storico ci serve per raccontare di un ex voto in marmo risalente all’epoca dei fatti, un’opera fatta posizionare dal committente sulla facciata laterale della chiesa di San Pietro Martire (allora prospiciente alla spiaggia), chiamata “la Morte e Franceschino da Brignale”. La lastra di marmo, scolpita in altorilievo, misura 226 cm per 96 cm, ed era uno dei monumenti napoletani più visitati dai viaggiatori del Grand Tour prima che fosse rimossa dalla sua allocazione originaria e messa in deposito nella Certosa di San Martino durante i lavori del Risanamento alla fine dell’Ottocento. Tanto famosa da comparire nel libro-guida “Viaggio pittoresco dalle Alpi all’Etna” dagli scrittori romantici Kadel, Stieler e Paulus.

Come mai riscuoteva così tanto successo in una città che non difettava certo di capolavori? A destare la curiosità dei viaggiatori era sicuramente la singolare particolarità dell’opera. Sulla lastra sono raffigurati la Morte (uno scheletro coronato da due diademi, con nella mano destra un flagello e nella sinistra un falcone da posta) sotto ai suoi piedi cadaveri di regnanti, vescovi e semplici popolani. Opposto alla figura della Mietitrice, un uomo con ricchi abiti da mercante che le offre una sacca piena di monete. Le azioni dei personaggi si palesano attraverso l’espediente della parola scritta: due cartigli si diramano dalle bocche (come in un fumetto ante litteram) dando voce ai protagonisti. Il mercante dice: “TUTTI TI VOLIO DARE SE MI LASCI SCAMPARE”

La morte interpellata risponde: “SI ME POTISTI DARE QUANTO SI POTE DIMANDARE NON TE POTE SCAMPARE LA MORTE SE TI VIENE LA SORTE”

Nel registro centrale, scolpito con meravigliosi caratteri gotici, ancora si legge il trattatello che dà significato morale al contesto: “EO SO LA MORTE CHE CHACCIO SOPERA VOI IENTE MUNDANA LA MALATA E LA SANA DÌ E NOTTE LA PERCACCIO NON FUGGA NESSUNO IN TANA PER SCAMPARE DAL MIO LACZIO CHE TUTTO IL MONDO ABBRACZIO E TUTTA LA GENTE HUMANA PERCHE NESSUNO SE CONFORTA MA PRENDA SPAVENTO CH’EO PER COMANDAMENTO DI PRENDER A CHI VIENE LA SORTE SIAVE CASTIGAMENTO QUESTA FIGURA DI MORTE E PENSA UIE DI FARE SORTE IN VIA DI SALVAMENTO”.

Nessuna figura religiosa vi è rappresentata, pur trattandosi di un ex voto. Unico riferimento alla fede ed alla identità del committente si legge nella cornice dedicatoria che corre lungo l’opera: MILLE LAUDE FACZIO A DIO PATRE E A SANTA TRINIDATE CHE DUE VOLTE ME AVENO SCAMPATO E TUCTI LI ALTRO FORO ANNEGATE – FRANCESCHINO FUI DE BRIGNALE FECI FARE QUESTA MEMORIA A LE MCCCLXI DE LO MESE DE AUGUST XIII INDICT.”

Probabilmente lo scultore ignoto si è ispirato, per le sue figure, ai soggetti della scuola di miniature attiva a Napoli alla corte angioina, nonché all’opera di Simone Martini e Lippo Nenni, (si veda “l’annunciazione”, dipinta per il duomo di Siena ed ora agli “Uffizi”, per la particolarità del “cartiglio parlante”). Altra rarità nella lapide di Franceschino è l’uso della lingua volgare. Non il volgare coevo dantesco della “Commedia” (aulico e forbito) ma piuttosto la lingua parlata usata da Boccaccio nel “Decameron”.

Un vero tesoro nascosto (ricco di significati storici, metaforici, artistici e filologici) da riscoprire e valorizzare, come da valorizzare sono i luoghi dov’è attualmente custodito: i sotterranei gotici della Certosa di San Martino, le fondamenta della struttura, costruite nel 1325 dall’architetto Tino da Camaino per ordine di Carlo d’Angiò. Nella suggestiva location, tra volte ogivate e giochi di luce, nei lunghi corridoi sono esposti, insieme a moltissimi elementi marmorei della sezione epigrafica del Museo, tante statue che provengono da lasciti, acquisizioni o depositi effettuati dalla fine dell’Ottocento agli inizi del Novecento. Un vasto percorso iconografico che attraversa i secoli con interessanti opere di scultura.

Mamma di Corradino, Museo della Certosa di san Martino a Napoli

Ad esempio, vi troviamo la cosiddetta “Mamma di Corradino”, statua proveniente da piazza Mercato e posta nel luogo della decapitazione dell’ultimo sovrano della dinastia Sveva. Fu commissionata da Elisabetta di Baviera a Tino da Camaino e fu molto amata dai napoletani. Pur non essendo una santa, era venerata con l’appellativo di “mamma sventurata” da tutte le donne che assistevano alle esecuzioni dei figli nel luogo deputato alla triste opera del boia, ma questa è un’altra storia ….

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