La mano del diavolo

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Dario Franceschini, ministro della cultura

La tutela dei beni culturali in un paese democratico e industriale è cosa delicata e complessa per le tante implicazioni giuridiche (proprietà pubblica e privata dei beni), economiche (ogni intervento di tutela dei beni di proprietà privata costituisce una limitazione alla libera attività economica, commercializzazione dei beni, tipologia e modalità di intervento sul bene, libertà di utilizzo) e sociali (ogni operazione di valorizzazione di un bene culturale può trasformare radicalmente il contesto sociale di riferimento e non sempre in meglio). Com’è ormai ampiamente dimostrato, il nostro sistema statuale e tecnico-amministrativo è caratterizzato da una grande capacità creativa ma è strutturalmente incapace di attuare una gestione ordinaria e ordinata, il che ne depotenzia la capacità innovativa. Se poi, come in tutte le vicende umane, individuali e collettive, capita che il diavolo ci metta lo zampino, la situazione da complessa e difficile diventa disastrosa. È quanto capita all’apparato tecnico-amministrativo cui sono affidate per legge la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. In questo caso la “mano del diavolo” ha nome e cognome: Dario Franceschini. Adorato dal sistema della comunicazione per le sue trovate pubblicitarie utili a riempire i vuoti redazionali, si presenta come un rompicapo per i mezzi di informazione che si trovano nella necessità di spiegare ai propri utenti-lettori le ragioni di chi ne contesta l’operato, caratterizzato da un decisionismo che sembrava ormai fuori moda.

In ordine di tempo ad attrarre l’attenzione di chi fa informazione è la presa di posizione di Tomaso Montanari, che si è dimesso dal Consiglio Superiore dei Beni culturali in polemica con il Ministro ma anche con il Presidente dello stesso organismo di cui faceva parte. La polemica è nata intorno alla discutibile nomina del Direttore della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, Andrea De Pasquale, a Direttore dell’Archivio Centrale dello Stato. De Pasquale era già stato aspramente criticato nel suo ormai precedente incarico per aver acquisito ai fondi personali della Biblioteca quello di Pino Rauti, noto esponente del neofascismo italiano, ideologo di estrema destra, il cui nome fu coinvolto nei processi per le stragi di Piazza Fontana e Piazza della Loggia. Una decisione tutt’altro che tecnica ma tutta politica visto che tale acquisizione non è stata “contestualizzata” anzi se ne è dato un rilievo improprio, come se Rauti fosse stato un uomo la cui produzione culturale avesse dato lustro alla Nazione. I fondi personali da acquisire al patrimonio della Biblioteca dovrebbero seguire criteri precisi riferiti al ruolo del singolo autore nell’arricchimento della cultura nazionale e, non a caso, tra questi spiccano personalità come Pasolini, Morante, Saba, Moravia, d’Annunzio. Ma, si sa, in Italia un dirigente che sbaglia non è mai rimosso, tutt’al più promosso. È quanto accaduto a De Pasquale.

Così come il suo operato anche la sua nuova nomina è stata criticata da diverse associazioni antifasciste e da quelle dei familiari delle vittime delle stragi in cui è stato chiamato in causa Pino Rauti. Ma la sua nomina è stata criticata anche da un punto di vista tecnico-scientifico: il neo Direttore dell’Archivio centrale non avrebbe i titoli necessari per ricoprire il nuovo ruolo, data la sua pregressa carriera dirigenziale. Questo in una fase tra l’altro particolarissima: fra poco scadranno i termini del bollo Segreto di Stato posto sugli atti riferiti a Gladio, la super organizzazione segreta e paramilitare parallela agli organi ufficiali dello Stato, nata e cresciuta in funzione anticomunista negli anni della guerra fredda, pronta ad un intervento golpista in caso di una affermazione elettorale delle forze della sinistra. Un’organizzazione cui si è vantato di essere appartenuto anche l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

Chi conosce la vita di un archivio sa bene che il modo più semplice per occultare un documento è quello di “sbagliarne” la classificazione. È anche per questo che alcuni sono preoccupati per l’arrivo di De Pasquale alla Direzione dell’Archivio Centrale dello Stato, dove i documenti Gladio saranno trasferiti.

Nel suo articolo, pubblicato il 24 agosto su “Il fatto quotidiano”, Tomaso Montanari non parla di ciò, ma pone l’accento su un punto essenziale per la vita democratica di un paese democratico: il bilanciamento dei poteri. Già, perché il Consiglio Superiore dei Beni culturali, il cui Presidente è il prof. Marco D’Alberti, noto giurista ordinario di Diritto amministrativo nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma, è qualcosa di più di un qualsiasi organo consultivo. Ovviamente con nomi diversi la sua costituzione ha origini lontane nel nostro sistema giuridico da quando, con la nascita dello Stato Unitario, ci si pose da subito la questione di come tutelare l’enorme patrimonio artistico e culturale lasciato in eredità dalle tante piccole e illustri Corti regali e nobiliari distribuite lungo tutta la Penisola. Ancora oggi, riformato più volte e nonostante il tentativo di sminuirne valore e funzioni, il Consiglio è chiamato obbligatoriamente ad esprimere pareri sulle azioni del Ministero preposto alla funzione costituzionale di tutela del patrimonio culturale (si veda il relativo regolamento).

Nel caso della nomina di De Pasquale il Consiglio si è espresso con un parere fortemente negativo, atto non obbligatorio ma che, per la composizione del Consiglio stesso, risulta essere assai significativo e rappresentativo dell’opinione del frastagliato modo della cultura accademica e non solo. Ma di ciò la “mano del diavolo”, Franceschini, ha ritenuto di non tener conto. Tomaso Montanari, che aveva pienamente condiviso il parere contrario espresso dal Consiglio, ha ritenuto che il Presidente D’Alberti, oggi Consigliere speciale di Mario Draghi, e di conseguenza tutto il Consiglio abbiano reagito in modo troppo blando, quasi accondiscendente, alla decisione del Ministro di confermare la sua scelta, quasi che in fondo il mondo della cultura istituzionale avesse deciso di ritirarsi, di fare un enorme passo indietro per non contrastare il decisore politico. Montanari arriva addirittura a citare Concetto Marchesi che, da deputato alla Costituente, ebbe a criticare fortemente l’atteggiamento degli intellettuali italiani di fronte all’avanzare del fascismo, la loro scarna e mediocre opposizione: “Perché è avvenuto tutto questo? Per mancanza di capacità e cultura? No: per mancanza di coscienza civile…”. E conclude con una frase per certi versi inquietante, che sollecita la coscienza di tutti: “Per la piccola parte che dipende da me, la storia non deve ripetersi”.

Non resta che augurarsi che, quando un giorno finalmente Franceschini lascerà la guida del Ministero, sarà ancora possibile riparare i danni che sta producendo con la sua gestione.

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