Per un rinnovamento della scuola

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Immagine da https://tecnicadellascuola.it/

Riceviamo dalla prof. Lucia Veneruso e volentieri pubblichiamo

Dare voce all’esigenza sempre più urgente di ripensare il nostro sistema di istruzione. Appare questo l’intento del Manifesto per la Nuova Scuola (https://www.micromega.net/manifesto-per-la-nuova-scuola/), redatto dall’omonimo gruppo e sottoscritto da personalità di spicco del mondo della cultura.
I presupposti del documento/petizione appaiono ragionevolmente condivisibili: desiderio di superare una burocrazia spesso soffocante e un appesantimento della funzione docente, necessità di individuare soluzioni concrete per contrastare il preoccupante abbassamento dei livelli di conoscenza degli studenti, desiderio di rendere meno pervasivi concetti e idee mutuati dal mondo aziendalistico.
Anche se la lettura del Manifesto suscita non poche perplessità per le soluzioni proposte che evocano, in alcuni passaggi, il ritorno ad una scuola “ante” autonomia, va tuttavia considerato che la sua stesura rappresenta, molto probabilmente, il tentativo di dare voce ad un disagio che serpeggia in maniera sempre più evidente tra molti operatori della scuola e che prende forma in diffuse istanze di cambiamento, sia pure fondate su orientamenti diversi. Bisogna, quindi, prendere atto della necessità di favorire un dibattito pubblico, partecipato e costruttivo, avulso da condizionamenti ideologici o da questioni di principio e utile per evitare il piano inclinato dello scontro.
A tale scopo nella presente analisi, affatto esaustiva, si tenterà di avviare una breve riflessione che prenda spunto da alcuni punti di forza e criticità del Manifesto. Nel comune ragionamento che ne potrà scaturire va tenuto conto dell’impegno che, attualmente, viene richiesto ai giovani per vivere e lavorare in una società in continua evoluzione. L’istruzione deve aiutare gli studenti a “sviluppare una bussola affidabile e strumenti per navigare in sicurezza in un mondo sempre più complesso, sempre più volatile e sempre più incerto” (Andreas Schleicher-Direttore del Dipartimento Education dell’OCSE)
Il documento, nella sua articolazione in otto punti, prende avvio da un vigoroso attacco alla didattica per competenze, fondato sulla considerazione che la competenza sia una categoria mutuata dal mondo produttivo. Viene tralasciato di evidenziare quanto nella scuola, come in tutti gli ambiti in cui tale concetto viene declinato, la competenza sia sempre strettamente correlata all’acquisizione delle conoscenze. La critica si sviluppa anche sull’assunto che la didattica per competenze escluda, necessariamente, la dimensione integralmente umana dell’apprendimento/insegnamento e che incida negativamente sulla relazione educativa. Viene, altresì, esclusa una riflessione sulla rilevanza delle competenze socio-emotive nel conseguimento delle conoscenze disciplinari. Va detto, però, che il recente dibattito sulle soft skills evidenzia la loro importanza non solo per l’arricchimento del curricolo, ma anche ai fini di una sana ed efficace costruzione del rapporto docente/studente. Di certo la didattica per competenze ha modificato il modo di pensare l’insegnamento, richiedendo una ridefinizione del sapere. Per mettere in condizione l’allievo di saper affrontare situazioni conosciute o nuove utilizzando i suoi saperi, le sue capacità e le sue abilità, di “saper fare con quello che sa”, occorre un cambiamento di paradigma che impatta non poco sulla didattica. Un lavoro incentrato sulla costruzione di situazioni didattiche significative, complesse e realistiche, più che sui contenuti, richiede uno sforzo di non poco conto per i docenti.
Condivisibile appare la denuncia del mancato coinvolgimento degli insegnanti nelle “riforme” degli ultimi vent’anni, condizione che rappresenta il risultato del progressivo declino della professione docente. Tale scarso riconoscimento ha prodotto, di sovente, un’accettazione non partecipata alle riforme da parte di molti insegnanti. Non va dimenticato, inoltre, che da anni le priorità della politica scolastica sono quasi esclusivamente correlate all’amministrazione del personale e che viene tristemente ignorato il dibattito sui veri bisogni dell’educazione e sugli obiettivi strategici dell’istruzione. L’occasione mancata di adeguare lo “stato giuridico” della professione docente, attuando la prima delega della L.107/2015, ha permesso una certa ingerenza del sindacato e la definizione nel contratto di alcuni aspetti della funzione docente che sarebbe stato corretto attribuire alla competenza delle associazioni professionali. Tale scelta politica ha ulteriormente screditato un’autorevolezza già in declino. C’è da chiedersi, però, quanto la scarsa coesione della classe docente, spesso frammentata in associazioni o gruppi che hanno difficoltà a dialogare, abbia inciso sulla difficoltà di individuare obiettivi comuni da trasformare in precise istanze per la politica. La capacità di fare sintesi è quanto mai importante in questo momento storico in cui si discute sulle modalità per assegnare le risorse finanziarie previste dal PNRR per l’istruzione.
Un punto centrale del Manifesto è rappresentato dalla richiesta di restituire centralità all’ora di lezione, ridimensionando le attività progettuali ed eliminando i test Invalsi e i PCTO. La necessità di ridurre le procedure burocratiche che spesso appesantiscono il lavoro, sottraendo tempo alle attività di insegnamento è sempre più avvertita dai docenti. Non si può negare, inoltre, che la selezione dei progetti da avviare in una comunità scolastica andrebbe fatta più oculatamente, tenendo conto delle reali esigenze della platea degli studenti e che, soprattutto, andrebbero meglio individuati gli strumenti per integrare nel curricolo di scuola i risultati ottenuti con i progetti attuati. Di contro, è difficile negare la valenza di molti progetti, ad esempio quelli europei, che hanno avviato un costruttivo confronto tra metodi e pratiche di diversi sistemi scolastici o dato modo a molti docenti di effettuare corsi di formazione in altri Paesi, favorendo l’internazionalizzazione delle nostre scuole.
L’eliminazione del PTOF e del RAV, evocata dal Manifesto parte, probabilmente, dalla considerazione delle dimensioni spesso “elefantiache” che, negli anni, hanno assunto tali documenti, soprattutto il Piano Triennale dell’Offerta Formativa. Andrebbe intrapresa la strada di un’utile semplificazione, ricordando che l’impianto è stato pensato per rispondere ai bisogni spesso diversificati delle comunità scolastiche di riferimento e per avviare processi di auto-valutazione e di miglioramento.
Non è certo questa la sede per richiamare il complesso dibattito, tuttora in corso, sull’opportunità dei test INVALSI. Va preso atto che il PNRR tende a valorizzare ed ampliare il ruolo dell’INVALSI nel monitoraggio dei divari territoriali tra scuole. Per le scuole in difficoltà, vengono previste misure non semplici da accettare: supporto mirato per i relativi dirigenti scolastici; introduzione di docenti di supporto (per italiano, matematica e inglese) per almeno un biennio; attività di mentoring e formazione per almeno il 50% dei docenti. E’ palese che la ratio di tali scelte -valutare le scuole per aiutarle a migliorare- risulta difficile da accettare da parte di chi lamenta un’eccessiva ingerenza dell’INVALSI nel lavoro delle scuole.
Infine, il Manifesto definisce come fallimentare l’impianto dell’”autonomia scolastica”, rappresentando la serpeggiante delusione per un modello che non è riuscito a realizzare aspettative e promesse di innovazione della nostra scuola. In tale critica vengono raccolte le voci di chi definisce l’autonomia come “incompiuta”, “sospesa”, “imperfetta”, “non autentica”. Altrettanto numerose, però, risultano le istanze per realizzarla in maniera più completa e coraggiosa, partendo dalla convinzione che ritornare ad un centralismo, spesso miope, significherebbe non riuscire più a rispondere all’esigenza di personalizzare, individualizzare, includere, per tutelare gli studenti più svantaggiati e potenziare lo sviluppo di quelli più meritevoli. L’alternativa al fallimento dell’attuale modello potrebbe essere quella di sperimentare un’autonomia più piena che tenga conto delle particolari esigenze di contesto. Ciò però richiede la capacità di sviluppare una chiara visione strategica basata su una cultura veramente riformista, costruendo una leadership diffusa e collaborativa, per utilizzare al meglio le diverse professionalità. A tal fine sarebbe utile affermare con maggiore forza le necessità di un migliore sviluppo delle capacità di leadership educativa del profilo dirigenziale che, se valorizzate e coniugate con equilibrio con le capacità manageriali, potrebbero favorire la concreta realizzazione di un’autonomia tanto evocata.
Non si può negare che, negli ultimi anni, alla scuola si è chiesto tanto e che le numerose istanze di cambiamento, peraltro non accompagnate dal dovuto riconoscimento sociale ed economico della funzione docente e dirigente, abbiano prodotto un appesantimento dei compiti di tali figure. Certamente non sono poche le difficoltà nell’avviare il processo di modernizzazione del nostro sistema di istruzione, per renderlo più efficace e snello, riducendo anche la burocrazia. Sono tante le piste di lavoro su cui riflettere e sulle quali lavorare. La consapevolezza della fondamentale importanza di individuare la giusta direzione appare a tutti chiara ai fini dello sviluppo economico e culturale del nostro Paese. Per vincere questa sfida è necessario inglobare in un’unica proposta idee e azioni di una classe docente che, con grande slancio, si impegna per “cambiare verso”. Occorre aprire un tavolo di confronto per collaborare, individuare posizioni comuni, valorizzare quanto di buono è stato fatto finora.
La scuola possiede le energie per rinnovarsi e guardare avanti.

Lucia Veneruso

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