San Giovanni a Mare tra storia, tradizioni e leggende

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Napoli, Chiesa di san Giovanni a Mare – Portale d’ingresso

A pochi passi dalla famosa Piazza del Mercato, inoltrandosi nel dedalo di vicoli che fin dall’età angioina ospitarono le botteghe di diversi artigiani, inglobata nella facciata di un anonimo palazzo, si trova una delle chiese napoletane più ricche di storia e tradizione: San Giovanni a Mare. Unico edificio religioso costruito in età normanna ed unica architettura in stile romanico sopravvissuta in città.

La testa di Napoli (Fonte: Wikipedia)

La chiesa, che sorse sui resti di una precedente costruzione romana (proprio di fianco alla chiesa si conserva – ora sul posto c’è una copia, l’originale è esposto al Palazzo San Giacomo – la testa mutila, forse appartenente ad una statua della sirena Partenope, ritrovata durante gli scavi di fondazione del complesso, e universalmente conosciuta dai napoletani come “donna Marianna ‘a capa e Napule”), faceva parte di un più ampio complesso che comprendeva anche un ospedale costruito dai Cavalieri dell’Ordine degli Ospedalieri di Gerusalemme. Sia l’ospedale che l’edificio di culto erano posti sulla linea costiera a ridosso della murazione cittadina; nel XII secolo infatti le acque lambivano gli ingressi del complesso, da qui la definizione “San Giovanni a Mare” (e anche per distinguerla dall’omonima chiesa, di età teodosiana, che insisteva nel quartiere ora chiamato San Giovanni a Teduccio).

La posizione “extra moenia” fu privilegiata in quanto tutti i pellegrini che ritornavano dall'”Oltremer” (così veniva definita allora la “Terra Santa”) erano obbligati a permanere nel nosocomio per un periodo di quarantena, prima di poter accedere al nucleo cittadino. I monaci guerrieri agostiniani, detti Cavalieri Ospitalieri o Gerolosomitani (oggi sarebbero adepti del Sovrano Militare Ordine di Malta), oltre a dare assistenza medica e ricovero, fornivano altri servizi legati alla sussistenza e alla sicurezza dei viaggiatori. Con le loro commende sparse in giro per l’Europa, l’Africa settentrionale e l’Asia Minore, risultavano essere una delle massime espressioni del potere occidentale. Questo spiegherebbe la magnificenza architettonica della loro cappella napoletana, scrigno prezioso nella sua austera ed elegante linea essenziale, tanto importante da poter custodire al suo interno una reliquia con il prezioso sangue di San Giovanni Battista; sangue che si scioglieva prodigiosamente (e si scioglie tutt’ora ma nella chiesa di San Gregorio armeno dove è stato trasferito) in occasione della commemorazione liturgica del martirio del Santo avvenuta, secondo la Patristica, il 24 giugno.

Interno della Chiesa di san Giovanni a Mare, Napoli

La notte precedente alla cerimonia c’era l’usanza di rievocare il Battesimo di Cristo ricevuto da Giovanni: vestiti completamente di bianco si andava, muniti di fiaccole, in processione fino alla chiesa in riva al mare, si omaggiava la statua del Santo e dopo si faceva il bagno nudi al chiaro di luna, per poi asciugarsi davanti alle cataste di fiaccole disposte a mo’ di falò. Il rito durava tutta la notte e i partecipanti si abbandonavano a danze sfrenate, mimando combattimenti con dei bastoni (la famosa ‘Ntrezzata) fino al sopraggiungere dell’alba. Questo rito di purificazione collettiva era un retaggio della cultura classica greca e romana, la celebrazione del solstizio d’estate, dedicata ad Apollo ed alla sirena Partenope, numi protettori di Neapolis, ma anche una contaminazione  nordica dei nuovi conquistatori di origini celtiche e norrene (Normanni, Svevi, Angioini).

Altro rituale che si svolgeva nel complesso era quello di far piantare, alle fanciulle da marito meno ambienti, semi d’orzo in piccole cassette e farli riposare nel buio delle navate della chiesa. Il 24 giugno le casette con le piantine venivano poi vendute dalle stesse ragazze ed il ricavato usato per farsi la dote. Questa usanza era ancora viva in età aragonese perché, durante una di queste vendite, re Alfonso d’Aragona incontro l’amore: una bellissima ragazza del popolo, Lucrezia D’Alagno, offri la sua piantina d’orzo al re che, per non farsi riconoscere, si era travestito da mercante. Alfonso, turbato dalle grazie di Lucrezia, gli offrì una borsa piena di monete d’oro. La ragazza aprì la scarsella e ne estrasse un’unica moneta (un “alfonsino d’oro”, con sopra impressa l’effige del sovrano) e restituì le restanti. Il re colpito da questo gesto chiese a Lucrezia come mai non avesse approfittato del piccolo tesoro e lei gli rispose: “Perché io avrò quello vero”, facendo intuire al re che aveva capito chi fosse in realtà. Una curiosità, a pochi passi dalla chiesa c’è ancora una strada intitolata a Lucrezia D’Alagno, per ricordare questo incontro.

Queste tradizioni furono vietate solo nel XVII secolo in quanto ritenute, dai bigotti viceré spagnoli, “oscene e pagane”. Anzi, per combatterle, diffusero la voce che chi si fosse aggirato per le strade nella notte del 23 giugno, sarebbe stato rapito dal corteo infernale al seguito di Erodiade e Salomè che volando su una trave di fuoco nel cielo ripetevano strenuamente: “Mamma mamma pecchè l’he ditto! Figlia Figlia pecchè l’he fatto!” (secondo il vangelo di Matteo, Erodiade, madre di Salomè, istigò la figlia a chiedere la testa del Battista al re Erode, in cambio di un conturbante ballo, la famosa danza dei sette veli). Ma la chiesa di San Giovanni e la magica notte di vigilia continuarono ad esercitare il loro fascino sui napoletani anche nei secoli successive e infatti sono tante e tante altre ancora le leggende legate a questo luogo: dal piombo fuso e versato nell’acqua lustrale dalle vergini per divinare il mestiere del futuro marito, alle erbe raccolte vicino alla chiesa e conservate tutto l’anno per proteggersi dei malefici.

Oggi la chiesa di San Giovanni a Mare (sconsacrata dopo il sisma dell’ ‘80) è stata mirabilmente restaurata ed è affidata al patrimonio del Comune di Napoli (ed ai suoi poco comprensibili orari di fruizione al pubblico). Secondo l’antropologo Leví-Strauss, “più tradizioni conserva un popolo più è alto il suo grado di civiltà e tolleranza”, affermazione valida  ancora di più adesso che le tradizioni si stratificano e mescolano con le altre civiltà che vengono a comporre un “melting pot”, facendo di Napoli una città che vive e permette da sempre la commistione di individui di origini, religioni e culture diverse con la speranza di costruire un’identità condivisa, magari sotto la magica protezione di San Giovanni Battista.

2 commenti su “San Giovanni a Mare tra storia, tradizioni e leggende”

  1. Buona domenica! Il suo articolo mi ha riportato al “tempo dell’innocenza”, quando la mia amata nonna mi raccontava “lo’ cunto e San Giovanni”. La ringrazio per aver suscitato in me queste emozioni.

  2. Antonio Nacarlo

    Buona domenica a lei, sono estremamente contento se sono riuscito a farla emozionare… La ringrazio e continui a visitare zonagrigia, troverà sicuramente materiale interessante.

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