Saman e l’inclusione sociale

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Fonte: fr.m.wikipedia.org/

La drammatica vicenda della scomparsa di Saman Abbas, la diciottenne di origine pakistana scomparsa a Novellara (RE) da più di un mese, impone qualche riflessione. In Pakistan, paese d’origine della famiglia di Saman, coesistono culture, etnie, gruppi religiosi e linguistici molto diversi tra loro e questi retaggi accompagnano i non pochi immigrati (circa 150 mila) da quel Paese in Italia. L’integrazione di questi ed altri gruppi di immigrati è una questione complessa e multidimensionale, che ha bisogno di tempo per realizzarsi.

Purtroppo, infatti, è più facile riscontrare come l’esclusione sociale sia la regola, nel senso che questi immigrati vivono un processo di limitazione delle relazioni sociali e di negazione di opportunità, che porta all’incapacità di tali persone di partecipare attivamente al funzionamento politico, economico e sociale della nostra società. Le non poche realtà associative, che si prodigano per l’integrazione sociale di questi differenti gruppi, si impegnano in diversi ambiti (scolastico, lavorativo, assistenziale…) per il fatto che il fine ultimo dell’integrazione sociale è garantire l’inserimento di ciascun individuo all’interno della società indipendentemente dalla presenza di elementi limitanti o segreganti.

Tuttavia, l’integrazione dovrebbe rappresentare solo una fase intermedia del processo di inclusione sociale, che dovrebbe coinvolgere istituzioni, associazioni e rappresentanti dei medesimi gruppi di immigrati. L’inclusione è quel processo attraverso il quale individui di differente estrazione linguistica, etnica e religiosa diventano parte integrante di uno stesso sistema sociale, aderendo ai valori che ne definiscono l’ordine normativo.

I problemi sorgono quando gruppi tendenzialmente chiusi, in antitesi più o meno dichiarata con la società in cui comunque vivono, promuovono una pressoché totale mancanza di sentimento sociale. Infatti, affinché un individuo si conformi alle regole del gioco della complessa società umana, è necessario che egli sia dotato di un significativo sentimento sociale, che consiste nella capacità di collaborazione, di comprendere gli altri e di entrare in rapporto empatico con loro. La fiducia e il sentimento sociale si misurano con la realtà e diventano fondanti della dimensione etica. Pertanto la persona “socialmente inclusa” è capace di comunicare correttamente con gli altri e di porsi come elemento utile alla cooperazione e alla costituzione di una dimensione sociale costruttiva.

Uno dei più grandi rischi che corrono gli immigrati, ma non solo loro, è quello di dare un significato esclusivamente “privato” alla propria esistenza, di relegare sullo sfondo i concetti di utilità e di servizio, di far prevalere la conflittualità sulla cooperazione. Quindi è opportuno considerare il fatto che il sentimento sociale è un discrimine tra una inclusione matura ed una presenza problematica; questo significa che un criterio per definire il livello di inclusione sociale può essere proprio il senso di appartenenza, che spinge alla cooperazione: il sentimento sociale.

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