Annella di Massimo

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Massimo Stanzione, Susanna e i vecchioni, Städelsches Kunstinstitut, Francoforte sul Meno

Nella Napoli dei primi anni ’50 del Novecento, tra la guerra da dimenticare e la città semi sventrata da ricostruire, sulla scrivania del sindaco Domenico Moscati (in carica dal 1948 al ’52) arrivò una petizione in cui i cittadini residenti del Vomero chiedevano all’Ufficio Toponomastica del Comune il ripristino del toponimo “Via Vomero vecchio” in luogo della recente dedica viaria ad “Annella di Massimo”. Motivo principale dei contestatori era che questa donna non sarebbe mai esistita.

Ma chi era Annella di Massimo? Annella, al secolo Diana De Rosa, fu un’artista partenopea nata nel “secolo d’oro della pittura napoletana”. Diana fu figlia Tommaso DeRosa, sorella di Pacecco, cognata di Jaun Do, sposa di Agostino Beltrame ed i suoi testimoni di nozze furono Aniello Falcone e Joseph De Ribera, tutti pittori che diedero lustro all’arte europea.

All’epoca della petizione, il dubbio sulla esistenza storica di Annella era originato dalla mancanza di opere certe a lei ascrivibili e dalla totale assenza di certificati di pagamento o parrocchiali che confermassero la storicità della sua figura. Unica traccia era la biografia a lei dedicata nel libro “Vita dei pittori, scultori e architetti napoletani”, scritta nel 1727 dallo storiografo Bernardo De Dominici, ritenuta poco attendibile in quanto molto spesso infarcita di fantasiosi aneddoti.

Ma andiamo per gradi; secondo lo scrittore, Diana De Rosa nacque a Napoli nel 1601 dal pittore Tommaso e da Caterina De Mauro. I De Rosa facevano parte di un’attivissima comunità di artisti che risiedeva tra largo Carità e piazzetta Spirito Santo. Diana crebbe a contatto con i colori e le tele e, sin da piccolo, mostrò grande predisposizione per il disegno. Morto suo padre, la madre sposò il pittore Filippo Vitale, allievo di Caravaggio. Filippo, accortosi del talento della giovane, la presentò al grande Massimo Stanzione (uno dei principali esponenti della pittura barocca). L’affermato pittore (già maestro del fratello maggiore di Diana, Pacecco) volle metterla alla prova con colori e pennelli. Stanzione rimase talmente impressionato dalle capacità della ragazza da accettarla come allieva nella sua rinomata bottega. Diana crebbe in beltà e bravura, tanto da divenire prima assistente di Stanzione e da allora non fu più chiamata Diana De Rosa ma col vezzeggiativo Annella di Massimo. Annella iniziò a farsi un nome tra i ricchi committenti dello Stanzione e molte sue opere furono acquistate dalla nobiltà partenopea e spagnola. Venne per lei il momento di sposarsi e il marito, scelto dal patrigno, fu il pittore Agostino Beltrame. Ma il sogno di Annella era quello di ricevere commissioni che dessero maggiore visibilità al suo talento e cioè lavorare per la Chiesa. Grazie al suo maestro ricevette finalmente il prestigioso incarico dall’arciconfraternita della Pietà dei Turchini per la realizzazione di due tele aventi per soggetto “la nascita e la “dormitio virginis”, da collocare sul soffitto dell’abside della chiesa di Santa Maria Incoronatella. (Le due tele, che si credevano perdute a causa del devastante bombardamento alleato che nell’agosto 1943 distrusse il tetto della Chiesa, furono successivamente solo riposizionate ai lati dell’altare maggiore, secondo il lavoro del ricercatore Achille della Ragione). De Dominici racconta che queste sue opere furono talmente apprezzate, per la delicatezza del colorito e per la maestria del disegno, che i molti ordini ecclesiastici presenti in città si misero letteralmente in fila per avere una sua tela presso le loro chiese. Il suo successo artistico fu motivo di somma soddisfazione per il maestro, ma fu anche causa della nascita di invidie e maldicenze in chi era abituato a vedere le donne esclusivamente nel ruolo di spose e madri, relegate nel gineceo e ben lontane dai clamori che potevano suscitare col loro ingegno. Successe così che una serva, più volte richiamata da Annella per il suo vizio di spettegolare, per vendicarsi della padrona, s’inventò che la giovane e bella pittrice avesse una relazione con il suo attempato maestro. La calunnia arrivò alle orecchie del marito che, sentendosi tradito, uccise Annella colpendola al cuore con un pugnale. Il Beltrame, per sfuggire alla vendetta della famiglia, si diede alla macchia riparando a Parigi. Il povero Stanzione, per eternare il ricordo della sua allieva ingiustamente uccisa, richiamando l’episodio biblico, la raffigurò nel quadro “Susanna e i Vecchioni ” (collezione marchesi di Bovino). Questo in sintesi il racconto dedominiciano.

Come detto, questa era l’unica fonte storica dell’esistenza della pittrice napoletana fino al 1951 quando, tra le rovine del fondo archivistico di San Paolo Belsito, incendiato dai nazisti per rappresaglia nel 1944, il ricercatore Ulisse Prota Giurleo trovò il certificato di morte di Diana De Rosa, mettendo fine alla querelle.

Tornando alla diatriba toponomastica, essa si risolse in un nulla di fatto; forse per le schiaccianti prove addotte, forse perché l’autorevole critico d’arte Roberto Longhi attribuì ad Annella diverse opere firmate col monogramma “A.D.M.”, o solamente perché la città si stava avviando verso gli anni bui della cementificazione selvaggia, che deturpò definitivamente la collina del Vomero.

Infine, se vi capiterà di passare per via Medina e visitare lo splendido scrigno barocco dell’Incoronatella (un tempo conservatorio della Pietà dei Turchini, cosi chiamato per il colore delle vesti degli orfanelli ospitati, dove si formarono Scarlatti, Cimarosa e Paisiello e dove i piccoli orfanelli si trasformavano in angeli vestiti d’azzurro col dono della loro voce), insieme alle tele di Annella vi troverete quelle del patrigno Vitale (l’angelo custode), del cognato Juan Do (la natività) e del suo marito (e forse uxoricida) Beltrame (San Nicola). Sarà bello immaginare, come è successo a me, che mentre il mondo credeva Annella perduta tra le pieghe del tempo, il suo spirito sorrideva guardandoci passare.

3 commenti su “Annella di Massimo”

  1. Complimenti per il suo articolo. Abito da anni nei pressi di via di Massimo e non conoscevo questa vicenda. La saluto cordialmente

  2. Antonio Nacarlo

    Grazie per i complimenti che mi permetto di girare al direttore ed a tutti i collaboratori di zonagrigia. Cordiali saluti e continui a leggerci

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