Si fa presto a dire: semplifichiamo!

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Conferenza stampa del Governo (Fonte: www.governo.it)

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ormai approvato in sede comunitaria, è in attesa di finanziamento. Esperti del calibro di Carlo Cottarelli ammoniscono che ora occorre concentrarsi sia su come rendere efficace ed efficiente la gestione della fase di uscita dalla crisi sia sull’accelerazione da imprimere alle riforme che il piano ha previsto di realizzare; ma di quali riforme parliamo?

Il PNRR prevede tre diverse tipologie di riforme: 1) riforme orizzontali o di contesto, d’interesse traversale a tutte le Missioni del Piano, consistenti in innovazioni strutturali dell’ordinamento, idonee a migliorare l’equità, l’efficienza e la competitività e, con esse, il clima economico del Paese; 2) riforme abilitanti, ovvero gli interventi funzionali a garantire l’attuazione del Piano e in generale a rimuovere gli ostacoli amministrativi, regolatori e procedurali che condizionano le attività economiche e la qualità dei servizi erogati; 3) riforme settoriali, contenute all’interno delle singole Missioni. Si tratta di innovazioni normative relative a specifici ambiti di intervento o attività economiche, destinate a introdurre regimi regolatori e procedurali più efficienti nei rispettivi ambiti settoriali (ad esempio, le procedure per l’approvazione di progetti su fonti rinnovabili, la normativa di sicurezza per l’utilizzo dell’idrogeno). Tra le cosiddette riforme abilitanti, la semplificazione della legislazione è l’intervento riformatore essenziale per favorire la crescita del Paese; perché? Per il fatto che l’eccesso di leggi e la loro scarsa chiarezza ostacolano la vita dei cittadini e frenano le iniziative economiche.

La situazione descritta dal PNRR è sufficientemente chiara anche per i non addetti ai lavori; ma cosa possiamo aspettarci in fase di attuazione di questo Piano? Per immaginarlo abbiamo, come precedente di riferimento, il modo in cui l’Italia ha impiegato i fondi europei stanziati in epoca pre-Covid19; cosa emerge dal recente passato? Purtroppo è diffuso il convincimento che l’Italia abbia speso poco e male i finanziamenti europei: nel periodo di programmazione 2014-2020 l’Unione europea ha assegnato all’Italia 75 miliardi di euro attraverso i suoi vari programmi (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, Fondo sociale europeo, Programma operativo per l’occupazione giovanile, Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca). In base ai dati disponibili, peraltro in continuo aggiornamento, l’Italia è in fondo alla classifica di spesa in ogni programma: ha speso il 51% dei fondi (circa 37 miliardi), mentre ne ha allocato l’88%.

Secondo i dati di Opencoesione, a fine settennio di programmazione (2014-2020), solo il 12% dei progetti finanziati è stato concluso, il 7% è stato liquidato, mentre la grossa parte – il 77% – è ancora in corso di realizzazione. E così ci ritroviamo, a settennio ormai concluso, con la maggior parte dei progetti ancora in espletamento. Questi dati, di per sé, giustificano la necessità di una cabina di regia centralizzata per il costante monitoraggio e supporto alla realizzazione del PNRR.

La semplificazione della legislazione dovrebbe servire anche ad accelerare i tempi di realizzazione dei progetti finanziabili, previsti nel PNRR; tuttavia semplificare significa dotarsi di regole più moderne e non lasciare mano libera ai soggetti attuatori dei progetti. Questo distinguo è stato evidenziato in occasione di una giornata di studio, promossa dall’Accademia dei Lincei, con il focus sulla necessità di salvaguardare il nostro patrimonio archeologico in un clima in cui si avvertono spinte alla semplificazione anche nel campo delle norme di tutela paesaggistica. Infatti, sembra che da parte di alcuni ambienti si voglia enfatizzare un apparente contrasto tra tutela del paesaggio e modernizzazione del Paese: le varie esigenze vanno contemperate nel senso che la modernizzazione non può fare strame di quanto serve a salvaguardare i beni culturali; il paesaggio e il patrimonio storico e artistico, peraltro tutelati dalla Costituzione, sono anch’essi volano di crescita economica della Nazione. Anche in questa prospettiva l’attuale classe governante si gioca la propria residua credibilità politica.

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