Prigionieri del passato

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Locandina del famoso film americano del 1942

Una pagina del quotidiano “la Repubblica” dello scorso febbraio ospitava un lucido ma commosso saluto del suo fondatore Eugenio Scalfari, che si accomiatava dai suoi lettori sentendosi ormai “quasi al termine del viaggio”. Augurando di sbagliarsi al mentore di almeno tre generazioni di progressisti e liberaldemocratici, si restava colpiti da una sua affermazione, banale se vogliamo, in cui diceva che “Quando la memoria ritorna verso l’infanzia è perché il futuro si è raccorciato…”. Chi si trova in posizione anagrafica prossima a quella di Scalfari, che nel frattempo (6 aprile) ha celebrato il suo 97mo compleanno, non può non condividere la sensazione da lui manifestata, peraltro riscontrabile anche in chi non può vantare uno spessore intellettuale paragonabile al suo.

In verità è difficile sottrarsi alla tentazione di estendere le osservazioni di Scalfari all’intera umanità, ormai vecchia e con un futuro che non sappiamo “raccorciato” di quanto. Qualcuno obietterà ottimisticamente che tutte le generazioni hanno rimpianto “il buon tempo antico” probabilmente per superare l’imbarazzo di non sapersi adeguare, da vecchi, ai tempi nuovi. Oggi questo disagio ha raggiunto una dimensione inedita: basta guardare il gap nell’uso delle tecnologie digitali che separa un nonno dal suo nipotino appena scolarizzato. Ma la situazione oggi appare un po’ diversa.

Lasciando ai credenti la speranza nell’aldilà ed agli ottimisti la certezza che l’aldiquà non avrà mai fine, preoccupati per le sorti del pianeta, noi persone di buon senso non più giovanissime prendiamo atto con preoccupazione che il plurimiliardario Elon Musk si attrezza spendendo fior di miliardi di dollari per organizzare viaggi spaziali verso il pianeta Marte alla ricerca di possibili condizioni di vita per gli umani. Se l’impresa dovesse riuscire, sarà peraltro una grande soddisfazione poter far visita ai marziani capovolgendo la situazione classica tante volte richiamata, nella letteratura fantascientifica ma anche nell’esperienza personale raccontata da tanti visionari. Che sfizio figurarsi un marziano che dice di aver visto “ammartare” un’astronave occupata dai “terrestri”, suscitando l’ilarità di tanti altri suoi “complanetari”.

A parte questa piccola rivalsa, la prospettiva che anche la vita umana sul nostro pianeta si stia avvicinando al termine non è poi tanto peregrina e chissà quanti di noi umani potranno trovare una sistemazione dignitosa sul pianeta rosso. Ed è forse il senso di smarrimento suscitato dal timore di questo commiato che ha generato nell’inconscio collettivo la voglia di un ritorno al passato, che coinvolge molti aspetti della nostra vita sociale. Si pensi, per cominciare, alla musica che si nutre, ormai da tempo, di un passato non molto lontano, coincidente con la stagione più libera ed ottimistica della gioventù occidentale: quanti giovani ancora oggi conoscono, amano e cantano le canzoni dei Beatles, di Battisti e di tante star della scena musicale degli anni ’60 e ’70? La TV, dal suo canto, non fa che proporre, costantemente, “revival” canori con Gianni Morandi, Rita Pavone, Gino Paoli nonché una serie di fiction biografiche dedicate a Modugno, De André ed altri.

Se ci volgiamo alla rappresentazione del passato “per immagini”, il primo pensiero va ai remake cinematografici. Già l’idea stessa di riproporre un vecchio film di successo in una veste nuova, con l’evidente scopo di farlo conoscere ai giovani e di suscitare la curiosità negli anziani, pronti a metter su gli inevitabili confronti, è il frutto di uno sguardo nostalgico rivolto al passato. Che poi alcuni dei remake più riusciti (si pensi a “La forma dell’acqua”, vincitore di tanti premi, remake del “b movie” americano degli anni ’50, “Il mostro della Laguna Nera”) siano ambientati nella stessa epoca dell’originale certifica l’attrazione magnetica che il passato tuttora esercita su sceneggiatori e cineasti.

Ma anche tanto cinema nuovo è ambientato in un mondo che riproduce abiti, pettinature, automobili del passato con una cura tanto apprezzabile quanto maniacale. E poi ci sono le fiction e le serie televisive: quasi tutte sono ambientate nel bel mezzo del secolo scorso, polarizzandosi in particolare sull’avvento del nazi-fascismo, sul secondo conflitto mondiale, sull’olocausto e sulla ricostruzione postbellica, con tutto uno sfolgorio di giacche con la “martingala” e soprabiti di lana inglese, il famoso “tweed”, di acconciature femminili e gonne dalla lunghezza sempre in linea con la moda del momento storico.

Ma la più sorprendente persistenza del passato, anche remoto, la si ritrova nella letteratura più diffusa tra i giovani, il cosiddetto genere “fantasy”. Gemmato in maniera poi incontenibile da “Il Signore degli Anelli” con le sue saghe arcaiche i suoi scontri titanici, in cui si esibiscono portentose armi magiche, è diventato poi l’ingrediente dominante nei videogiochi che del “fantasy” si nutrono in maniera quasi esclusiva, lasciando solo un po’ di spazio al passato più recente ma tenendosi ben lontani da quella che un tempo chiamavamo “fantascienza” e che ci raccontava di viaggi interspaziali, di mondi sconosciute, di galassie lontane, spesso coronandoli con la vittoria dei terrestri che testimoniava una sostanziale fiducia nel futuro, diversamente dai toni apocalittici che accompagnano la scarsa produzione attuale.

Questo rifugiarsi nel passato è dovuto certamente alle nubi che minacciano il futuro e spinge quindi a recuperare un terreno che appare più rassicurante rispetto alla leggibilità dei sentimenti, delle ambizioni, dei comportamenti personali e delle relazioni sociali.

Oggi, invece, tutto sembra avviarsi verso il caos e la follia e molti comportamenti umani risultano incomprensibili. Cosa vuole Erdogan? Cosa vuole Putin? Fanno sul serio o si fermeranno quando avranno ottenuto, magari sottobanco e quindi senza che il mondo abbia la possibilità di conoscerlo, il contentino per il quale stanno facendo tanto chiasso?

E cosa dire di delinquenti, corruttori e corrotti che continuano ad usare il cellulare senza mai sospettare che possono essere intercettati? O di quelli che commettono omicidi, rapine, stupri per strada dimenticando che oggi quasi tutto il territorio urbano è videosorvegliato?

Dunque mentre per pochi il passato è una prigione dorata, per molti è invece inesistente, qualcosa da ignorare. E questa contraddizione ce la spiega, con la chiarezza e la semplicità che caratterizzano i suoi interventi, Umberto Galimberti il quale, nel supplemento “D” di Repubblica del 17 aprile, sostiene che sia inutile per nonni e genitori “richiamare ai giovani i loro tempi …  perché l’unica esperienza che funziona è quella che si fa personalmente.”

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