Accordo di Escazù: in cosa consiste?

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Il 22 aprile scorso, nella ricorrenza della giornata dell’ambiente e della Terra, è entrato in vigore l’Accordo di Escazù, proposto dalle Nazioni Unite ed adottato nel 2018. L’Accordo prende il nome dal termine indigeno itzkatzu che significa “luogo di riposo” e riguarda la difesa dei diritti ambientali e soprattutto degli attivisti in questo ambito in America Latina e nei Caraibi. In cosa consiste questo Accordo e perché è così importante?

In primo luogo, quello di Escazù è il primo accordo regionale sull’ambiente dell’America Latina e il primo al mondo che ha specifiche protezioni per i difensori dei diritti ambientali. Si tratta quindi di un precedente importante, proprio adesso che, a causa della pandemia, c’è fortemente bisogno di una maggiore integrazione regionale in materie chiave per la ripresa economica, come il lavoro, l’istruzione e la questione ambientale. Questo trattato è il primo che include specifiche disposizioni per la protezione dei difensori dei diritti umani ed ambientali.

In particolare sono quattro gli aspetti rilevanti che possiamo rintracciare al suo interno: si stabilisce l’aumento della trasparenza sulle questioni ambientali e dunque un maggiore accesso all’informazione in merito, (si potrà fare richiesta alle autorità senza necessità di motivazioni specifiche e soprattutto potendo presentare ricorso se le informazioni non venissero fornite nei tempi richiesti); con questo Accordo, inoltre, si rinforza la partecipazione cittadina e delle comunità interessate da progetti ambientali, si creano dei meccanismi giudiziari in materia ambientale ed infine si introduce una speciale protezione riservata ai difensori dei diritti ambientali per evitare che si verifichino ritorsioni o uccisioni, come, ad esempio, il caso di Berta Cáceres, l’attivista indigena dell’Honduras che fu uccisa nel 2016 per la sua lotta contro il progetto idroelettrico per costruire una diga presso le cascate di Agua Zarca.  

Purtroppo, al momento, solo 12 su 24 Stati hanno ratificato l’Accordo, in particolare non lo hanno fatto Colombia, Brasile, Honduras e Guatemala, considerati tra i Paesi più “pericolosi” per le aggressioni e le uccisioni di attivisti ambientali. Anche Cile e Costa Rica, i principali proponenti l’Accordo nel 2018, hanno in seguito mostrato le proprie indecisioni, arrivando al blocco dell’Accordo da parte del Cile nel settembre 2020. Il Presidente cileno Sebastian Piñera, infatti, ha rifiutato di ratificare il trattato, sostenendo che gli obblighi previsti al suo interno avrebbero potuto creare delle ambiguità ed una generale incertezza giuridica, rischiando di coinvolgere il Cile in controversie internazionali in materia ambientale.

L’America Latina è un territorio fortemente colpito dal cambiamento climatico e dalla perdita delle biodiversità, se pensiamo anche alle politiche del governo Bolsonaro contro la Foresta amazzonica, e, più in generale, è un continente che fa gola all’industria mineraria e turistica.

Sebbene l’Accordo di Escazù sia stato considerato nel panorama internazionale come un grande traguardo e sia stato appoggiato da istituzioni come le Nazioni Unite, la Commissione Economica per l’America Latina ed i Caraibi e numerose organizzazioni della società civile, ci sono state anche alcune critiche non solo da parte di imprenditori ma anche di candidati politici: in Costa Rica, ad esempio, l’Accordo non è ancora stato ratificato ed il candidato Pedro Miguel Muñoz del Partito Unidad Social Cristiana ha dichiarato che quello di Escazù è “un patto socialista che non protegge l’ambiente: legittima e dà potere al fondamentalismo ambientale, si oppone alla libera impresa e all’attività economica responsabile e sostenibile.”

Al contrario, il trattato sembra rafforzare la cooperazione tra Paesi in ambito di diritti umani, riconoscendo l’importanza del diritto alla consultazione dei popoli indigeni e delle comunità che risiedono nei territori in cui si vogliono mettere in atto progetti minerari, idroelettrici, industriali. Secondo rinnovabili.it gli attivisti ambientali e per i diritti umani uccisi solo nel 2020 sono 331 e circa tre quarti degli omicidi sono concentrati in America Latina: il problema, dunque, aveva grande urgenza di essere regolato e posto all’attenzione della comunità internazionale.

Non sappiamo quali effetti esso avrà e se riuscirà a tutelare maggiormente i diritti e le battaglie a difesa dell’ambiente, ma sicuramente è un punto di partenza importante. Speriamo che altri Paesi possano aggiungersi all’elenco dei firmatari, in primis il Brasile, in cui la deforestazione dell’Amazzonia continua ad essere una delle maggiori preoccupazioni internazionali. É fondamentale iniziare a non derogare più agli accordi internazionali e regionali sull’ambiente, a porre regolamentazioni stringenti a difesa della terra, delle popolazioni che vi abitano, e alle lotte che le comunità locali portano avanti per preservare i territori dalla morsa dell’agribusiness e della costruzione sregolata.

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