Pluralismo critico e vaccinazione anti-covid (seconda parte)

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Il processo decisionale cui ho accennato in un precedente intervento è alla base di ogni azione umana sia nella sfera privata che in quella pubblica, quindi si comprende l’importanza di studiarne le origini per capirne e prevederne le conseguenze in qualsiasi attività.

Ricordo ancora che il nostro cervello si è evoluto per centinaia di migliaia di anni per far fronte a poche necessità fondamentali per la sopravvivenza, la riproduzione e la cooperazione. Le recenti (in termini archeologici) società complesse sono dei provvisori adattamenti ai cambiamenti di contesti ambientali e come tali non sono mai ottimali, ma frutto di compromessi e credenze volti a riconoscere dei modelli consoni alla realtà da affrontare.

Uno di questi ad esempio è il nesso di causalità temporale, termine oggi così di moda, in questo periodo di vaccinazione anti-covid. Tale nesso ci ha favorito in passato salvaguardandoci dai pericoli e favorendo con i suoi vantaggi la nostra sopravvivenza e riproduzione, interpretando ad esempio un fruscio sull’erba come l’avvicinarsi di un predatore e non come un semplice soffio di vento. E quindi attivando la nostra attenzione o scappando. Allo stesso modo quei pochi casi di morti post vaccino che tanto stanno allarmando l’opinione pubblica, portando alla rinuncia della profilassi buona parte di categorie a rischio, hanno innescato un nesso di causalità temporale che, oltre a essere ingannevole, risulta anche nocivo per l’incolumità propria e degli altri.

In Italia ci sono circa 70.000 casi di morti improvvise all’anno, la maggior parte per cause cardiocircolatorie (trombosi, aritmie, arresto cardiaco) e nessuno si è mai sognato di imputarle a un caffè o un gelato preso un’ora prima o a un bicchierino di liquore assaggiato una settimana prima. Anche un viaggio in aereo con una immobilità protratta per ore può essere responsabile di un evento trombotico, eppure nessuno evita di prendere l’aereo per questo motivo. Le oltre 3.000 vittime all’anno in Italia per incidenti stradali, di certo, non sono un deterrente per non prendere l’auto.

Gli psicologi cognitivi hanno studiato questi processi mentali con inferenze e moderne indagini strumentali, come la RMf (risonanza magnetica funzionale, che rileva le aree di attività cerebrale durante un’attività mentale) arrivando, più o meno concordemente, a delle conclusioni incoraggianti per il futuro, prospettando un miglioramento nel senso dell’accuratezza dei processi decisionali, grazie alla progressiva ma non naturale e automatica acquisizione di nuove capacità cognitive che avvengono durante la crescita.

Fino ai 4-5 anni infatti, in età pre-scolare, i bambini sono realisti, ossia credono solo in ciò che vedono e toccano, quindi non c’è alcun disaccordo tra loro perché vedono la stessa cosa… Poi fino ai 10 anni, durante la scuola primaria, diventano dogmatici e dualisti: bene o male, giusto o ingiusto, vero o falso, secondo quanto stabilito da un’autorità esterna (genitori, insegnanti, la rete, un credo). Durante la scuola secondaria, fino ai 17-18 anni, si diventa relativisti, ossia ognuno può avere diritto alle proprie opinioni, e tutti hanno ugualmente ragione. L’ultimo livello di questa epistemologia personale è il pluralismo critico, una fase in cui abbiamo una visione più valutativa della realtà, ovvero ricerchiamo criticamente prove e criteri per affermare la fondatezza di un fatto o un’opinione. E lo facciamo attraverso le capacità acquisite di astrarre, generalizzare e con ragionamento ipotetico, controfattuale e controintuitivo.

Questi passaggi purtroppo non sono naturali ma legati al contesto culturale in cui si vive e si matura. Anzi il più delle volte c’è una radicalizzazione in uno dei livelli, per cui il relativismo giovanile può degenerare nell’esasperazione del libero arbitrio oppure regredire allo stadio dogmatico precedente, che a sua volta può permanere in modo stabile per tutta la vita. Oppure, pur raggiungendo lo stadio finale di maturazione col pluralismo critico, permangono le cicatrici di uno stadio precedente, rivelando così delle contraddizioni incomprensibili, come quelle persone colte, razionali ed equilibrate che a volte intraprendono iniziative fondate su pregiudizi e sensazioni. Da questa asimmetrica mancanza di continuità nel processo di maturazione cognitiva purtroppo derivano le distorsioni mentali alla base dei conflitti decisionali. Distorsioni che alla fine (per tornare all’attualità) spiegano perché per la nomina di un commissario straordinario per l’emergenza covid si è passati da un dirigente d’azienda a un generale dell’esercito, senza nemmeno prendere in considerazione un team di esperti nei vari campi dell’emergenza, per esempio un virologo, uno pneumologo, uno statistico, un economista, un politico di livello nazionale e poi anche un militare e un dirigente d’azienda. Così forse non avremmo speso i miliardi iniziali per le mascherine pagate il doppio e gli inutili padiglioni primula costati 400 milioni l’uno. O non saremmo tra gli ultimi per numero di vaccinati in Europa. Concludo con un pensiero di Goethe: “Niente è più terribile di un’ignoranza attiva”.

4 commenti su “Pluralismo critico e vaccinazione anti-covid (seconda parte)”

  1. Concetta Russo

    Ottimo. C’è anche da tener conto che tra i ricercatori non c’è comune accordo su come interpretare, ad esempio, l’intuizione nei nostri processi decisionali ossia: quando l’intuizione ci porta a fare dei passi falsi innescando automatismi comportamentali atavici e non congruenti, come messo in risalto nell’articolo e quando, viceversa, è utile. C’è accordo sulla nostra fallibilità ma quali siano gli strumenti razionali più adatti a prendere decisioni in un mondo fatto di incertezze(così come il mondo dei nostri avi) è la vera sfida che ci aspetta. Ci sono resistenze psicologiche nel passare dal certo al probabile che alimentano e sostengono un analfabetismo statistico.
    Tina Russo

    1. Salvatore Mazzeo

      Grazie per il commento, signora. Il focus è proprio quello che ha evidenziato nel suo commento e che io ho rimarcato nell’articolo. La variabilità comportamentale, condizionata da fattori ambientali e genetici, di fronte alla eterogeneità delle situazioni può però anche essere un dono, visto il non naturale passaggio agli stadi di maturazione cui accennavo.

  2. elio mottola

    Leggere Salvatore Mazzeo è sempre un grande piacere e un’occasione di incontro intellettuale. Ma la conclusione amara del pezzo, anch’essa pienamente condivisibile, lascia poco spazio alla speranza.

  3. Salvatore Mazzeo

    Gentile signor Mottola, mi associo al suo pessimismo per la conclusione del mio articolo. L’allusione al metodo scientifico come ultimo stadio del processo di maturazione cognitiva nel processo decisionale mi lascia però ben sperare per il futuro . I ministeri tecnici (pochi purtroppo) del governo Draghi sono un buon inizio.

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