Pfizer: tra licenziamenti e delocalizzazioni

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Una dosa di vaccino per il Covid-19 (foto di www.unsplash.com)

Ad un anno dallo scoppio della pandemia il mondo, grazie all’arrivo dei vaccini disponibili sul mercato, vive nell’attesa di essere vaccinato, uno step che sembra se non ultimo, quantomeno necessario per rivedere un briciolo di serenità, la famosa luce in fondo al tunnel. Attualmente l’Europa rispetto ai big del mondo (Stati Uniti, Cina e Gran Bretagna) distribuisce in media una dose ogni 100 abitanti, troppo poco per la fretta e le aspettative di chi freme per tornare alla normalità. Purtroppo però anche il quadro delle aspettative è stato deluso dalla “guerra” tra l’UE e le Big Pharma per la consegna dei vaccini. Una campagna fatta di ritardi, annunci di battaglie legali, attese snervanti, insomma il mancato rispetto degli accordi che come una doccia fredda ci ha fatto capire che la salute è profitto nel mondo attuale, e che mentre noi comuni mortali guardiamo al vaccino come una via d’uscita da questo incubo, pochi altri guardano a questa fase in termini di mero arricchimento personale.

Così l’ultima notizia non sorprende affatto: la casa farmaceutica Pfizer delocalizzerà la produzione di vaccini in Romania poiché il costo del lavoro è più basso, riducendo del 15% l’organico che sino a ieri lavorava notte e giorno per consentire la produzione di vaccini. Infatti il centro di Zaventem in Belgio (dove prima la Pfizer produceva vaccini) vedrà 38 dei suoi 230 operai licenziati. Forse per la multinazionale statunitense il gesto è roba da poco, ma per 38 operai inizia un calvario lavorativo che si aggiunge allo stress di vivere la vita durante una pandemia. Un gesto che ci riporta con i piedi per terra per capire che ad una multinazionale interessa il bilancio finale, fatto di cifre e dunque soldi, ovviamente questa non vuole essere una generalizzazione ma ad oggi nessuna multinazionale ci ha ancora smentito. La decisione ovviamente ha suscitato grandi polemiche soprattutto da parte del sindacato belga ACV, queste le parole del segretario dell’organizzazione Bart Deceukelier: “Pfizer è principalmente una macchina per profitti”, sottolineando il gesto disumano compiuto esclusivamente a vantaggio di pochi.

Come si sentiranno i lavoratori dopo mesi di estenuante lavoro, ad essere messi fuori dalla porta? Pfizer infatti non conosce cifre rosse quest’anno anzi i suoi profitti sono stimati intorno ai 3,5 miliardi di euro, il triplo rispetto all’incasso del 2019. La casa farmaceutica incassa per ogni vaccinazione completa (ovvero sia il primo che il secondo richiamo) 39 dollari a persona; si ricorda che sono state richieste dagli USA 200 milioni di dosi mentre dall’UE 300 milioni. Cifre che non fanno pensare a nessun affanno economico, eppure c’è stata la faccia tosta di comunicare il trasferimento della produzione in Romania. Una notizia che non viene gradita dagli alti membri dell’Unione Europea, che avevano già chiuso un occhio quando lo scorso febbraio la multinazionale aveva comunicato il suo ritardo nella consegna dei vaccini proprio per un ampliamento dei lavori negli stabilimenti belgi. Inoltre la Pfizer, grazie anche agli investimenti europei nei fondi per lo sviluppo del vaccino, ricaverà alla fine di questo periodo il famoso utile di bilancio. Ma d’altronde è chiaro che oggi il vaccino rappresenta uno strumento particolare: se da una parte è la speranza di mettere fine alla pandemia, dall’altra è un chiaro strumento geopolitico in grado di tenere per la gola chiunque. Se la Pfizer può esercitare il suo strapotere sull’UE, altrove come agisce? L’organizzazione giornalistica The Bureau of Investigative Journalism (TBIJ), in collaborazione con il peruviano Ojo Pùblico, ha rivelato come tra le condizioni di acquisto delle dosi da parte dei paesi latinoamericani ci sia stata la richiesta della Pfizer di ipotecare beni pubblici delle varie nazioni. La Pfizer ha una lunga storia di scandali; scandali che non hanno nulla a che vedere con la produzione dei vaccini in questione, piuttosto con l’etica di produrre soldi e di sfruttare il lavoro. È noto ai più come dai preziosi archivi di Wikileaks emerse lo scandalo in cui l’azienda nel 1996 – a seguito di una sperimentazione non autorizzata su alcuni bambini nigeriani affetti da meningite e in seguito alla morte di undici bimbini – pagò una cifra considerevole alle famiglie in questione e propose, pur di non comparire sui giornali, di finanziare progetti sanitari in Nigeria. Insomma forse l’errore è stato fatto a monte anni fa quando si è delegata la tutela della salute alle grandi multinazionali, rendendola un profitto nelle mani di speculatori.

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