Sull’origine delle decisioni

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Foto pubblicata su Flickr da Dean Hochman

Ciascuno di noi si trova quotidianamente a prendere delle decisioni, esprimere giudizi o preferenze, riguardo al lavoro e ai rapporti con gli altri, senza accorgersi affatto della fallacia delle capacità cognitive possedute, evolutesi in maniera imperfetta solo negli ultimi 10.000 anni. Infatti per il 99% della sua storia l’uomo è stato un cacciatore-raccoglitore, fino alla nascita dell’agricoltura e delle società complesse, circa 10-12.000 anni fa. In caverne e poi in piccoli villaggi con massimo 150 persone (con riferimento al “numero di Dunbar”, che definisce il numero delle relazioni sociali che ogni individuo può mantenere in modo significativo, ossia circa 150) i problemi da affrontare quotidianamente si riducevano a poche esigenze: riconoscere il pericolo ed evitarlo, collaborare con il proprio gruppo per procacciarsi il cibo e avere un riparo, difendere il proprio gruppo familiare.

Solo con la recente nascita delle società complesse la natura dei problemi quotidiani è cambiata radicalmente, rivelando l’inadeguatezza delle nostre capacità cognitive a rispondere in maniera ottimale o, quantomeno, razionale, in quanto il nostro cablaggio neuronale non ha avuto il tempo di evolversi ed è quindi vittima di errori che hanno alti costi personali e sociali. Questo perché la selezione naturale non sa prevedere il futuro, né ha avuto il tempo di adeguarsi alle società nuove e complesse. È il caso ad esempio delle malattie metaboliche (diabete, ipertensione, dislipidemie) dovute al fatto che la nostra fisiologia è rimasta settata agli stili alimentari di vita del pleistocene, mentre oggi disponiamo di cibi ipercalorici nonostante non siano più così necessari.

Daniel Kahneman, studioso dei processi decisionali e premio Nobel per l’economia (2002), distingue due sistemi mentali: il Sistema 1 (opera in fretta e automaticamente) e il Sistema 2 (opera focalizzandosi razionalmente e criticamente sul problema ed è molto lento). È intuitivo quindi dedurre che gli errori decisionali riguardano, ma non sempre, il Sistema 1, e sono il retaggio del nostro passato. Noi siamo ancora pesantemente condizionati da risposte a stimoli provenienti dall’ambiente mutato, selezionate per altri motivi (sopravvivenza, difesa del territorio, familiare etc.) venendosi così a creare una dissonanza cognitiva, cioè un contrasto fra tratti evolutisi per una data funzione e le condizioni reali attuali. Il classico e attuale esempio è la xenofobia. La giustificata, utile e ancestrale paura degli estranei si è trasformata in una diffidenza preconcetta verso il non appartenente al proprio gruppo nazionale, familiare, etnico, culturale e religioso, creando così una eterogenesi dei fini, cioè effetti non previsti di decisioni e azioni volontarie. Fino alle politiche e alla propaganda anti-immigrazione.

Ma torniamo al Sistema 1. Secondo gli psicologi cognitivi circa il 95% delle nostre attività cognitive avviene a livello inconscio, con modalità chiamate euristiche, che sono strategie mentali intuitive e rapide che ci portano a decidere senza fatica, come quelle decisioni prese sulla spinta emotiva e/o del pregiudizio, e per questo ci prestiamo alla manipolazione degli altri, soprattutto in tema di pubblicità, come quando decidiamo di comprare un’auto e ci lasciamo convincere a prendere una data marca e un certo modello sulla base di una forma e un colore piacevole e accattivante o di una pubblicità in cui appare sfavillante in un autosalone accanto una pin-up. Invece di pensare (col Sistema 2) e informarsi sull’affidabilità e sulla sicurezza. Il senso (estetico) prevale sulla ragione! Ricordiamoci che di recente Facebook, raccogliendo i dati di decine di milioni di persone, ha consentito a una società di consulenza britannica (la Cambridge Analytica) di sviluppare un algoritmo psicometrico che in base alla personalità consente di manipolare gli orientamenti politico-ideologici degli iscritti. Le euristiche del Sistema 1 dunque derivano da vincoli evolutivi, nel senso che determinati schemi decisionali ed abitudini sono stati selezionati per i vantaggi derivanti da scelte rapide (sento un fruscio nella foresta… meglio scappare perché potrebbe essere un nemico o una bestia feroce… ma anche il fruscio del vento tra i rami) in momenti in cui non si può avere accesso a tutte le informazioni. Anche le credenze lo sono, come pure i pregiudizi. E non è nemmeno una questione di intelligenza, quando il bisogno di illudersi con una risposta rassicurante è troppo forte. Lo scrittore Saul Bellow scrisse: “una grande quantità di intelligenza può essere investita in ignoranza quando il bisogno di illudersi è profondo”. Basta ricordare il vertice di irrazionalità di un uomo intelligente come Steve Jobs: quando gli fu diagnosticato un tumore al pancreas, decise di rifiutare le terapie affidandosi alla pseudomedicina.

Quello che occorrerebbe quindi per evitare le trappole del Sistema 1 è una presa di coscienza della sua fallacia e delle sue non prevedibili conseguenze, sviluppando un senso critico (a scuola) che ci preservi dai suoi danni sociali e individuali. Compito che può essere delegato solo al sistema scolastico, cominciando fin dai primi anni, anche se i dati OCSE ci penalizzano fortemente con bassi punteggi rispetto alla media europea, definendo 13 milioni di italiani di età compresa tra i 25 e i 64 anni come “analfabeti funzionali”, ossia persone che hanno terminato la scuola d’obbligo e hanno notevoli difficoltà nella comprensione di un testo, nella scrittura e nel calcolo di base. Carenze che influiscono negativamente sulle scelte e sulle decisioni di tutti i giorni, data la facile manipolabilità degli orientamenti da parte della politica e del marketing. Ne è uno sconfortante esempio la qualità della nostra classe politica, dedita più a sconclusionati, contraddittori e irrealizzabili proclami di parte che toccano più l’emotività della gente che far leva sulla razionalità. Ecco perché il cambiare partito, rinnegare o far finta di ignorare precedenti posizioni viene come un fatto naturale!

Il Sistema 2 invece richiede capacità di giudizio critico e fa affidamento sulla conoscenza del problema basandosi su dati, informazioni e probabilità, non su sensazioni o emozioni. È lento, richiede tempo, ma ne vale la pena.

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