Diario di un “sorvegliato speciale”: 14 febbraio 2021

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Oggi, San Valentino, festa degli innamorati, siamo rimasti soli in casa per via del Covid. In altri tempi avremmo fatto cose da pazzi: più che altro avremmo invitato a pranzo figli, nipoti e qualche coppia di amici. In casa succede poco o nulla e quindi dedichiamo molto tempo a ciò che succede fuori. Si tratta di accadimenti importanti, che incideranno sulla nostra vita e su quella dei nostri figli.

Tra questi l’insediamento del nuovo Governo è certamente il più cruciale, circondato com’è di attese e di speranza. Discutendone in famiglia prevale la preoccupazione. Abbiamo conosciuto i nomi dei nuovi ministri. Di quelli tecnici abbiamo qualche notizia giornalistica o qualche recente ricordo legato a precedenti impegni di governo. Ma c’è subito chi ci fa osservare che sono, chi più chi meno, insieme a Draghi, uomini dell’establishment. E questo per molti è evidentemente un bel problema, un pericolo incombente sul nostro futuro. Finire nelle grinfie dell’establishment è per loro peggio che andare alle elezioni e consegnare il Paese alle destre. Molti, tra cui mia moglie ed io, sono invece convinti che l’establishment è il meno peggio. Ma sono tanti i nostri amici e conoscenti che si dichiarano stufi di doversi sempre accontentare del meno peggio. Quando ci confrontiamo con qualcuno di loro, gli facciamo candidamente osservare che l’alternativa al meno peggio è il peggio. Se poi volesse rovesciare il sistema ci faccia conoscere il luogo, la data e l’ora e faremo il possibile per esserci.

Le nostre preoccupazioni non nascono quindi dalla composizione del governo, che supponiamo sia stata concordata da due galantuomini come Mattarella e Draghi, ma da altri giudicati proni all’Europa e alla Merckel se non addirittura emanazione dei poteri forti. Per quanto riguarda i nomi dei cosiddetti ministri politici abbiamo poco da obiettare. La totale assenza di donne dalla squadra di governo del PD ha suscitato critiche interne comprensibili ed anche mia moglie mi è parsa delusa. Ho dovuto chiarirle che a mio avviso le critiche erano ingenerose: i ministeri più direttamente coinvolti nel Recovery Plan, avocati ai tecnici, hanno comportato l’uscita non solo della De Michelis ma anche di Gualtieri e Amendola mentre non c’è stato spazio neppure per Provenzano. Franceschini e Guerini sono rimasti, in ossequio alla preferenza riservata all’esperienza governativa acquisita, mentre Orlando è entrato in quanto vicesegretario del PD, come Giorgetti per la Lega. Dove possibile Draghi ha privilegiato la continuità, come nel caso di Speranza.

Lasciando da parte le polemiche, i mal di pancia e le tensioni che hanno accompagnato la nascita del nuovo governo, abbiamo accolto con enorme soddisfazione l’appello con cui il premier ha chiesto ai suoi ministri la massima sobrietà (“Parliamo di ciò che abbiamo fatto e non di ciò che faremo”). Era ora! Ma l’appello non ha raggiunto chi, come Salvini, è affetto da coazione a denigrare gli avversari e quindi ha lanciato, già nella prima intervista, strali contro la Lamorgese e contro Speranza, augurandosi un loro “cambio di passo”. Critiche comunque non generiche ma mirate a quei ministri che possono intralciare la propaganda elettorale del partito di cui è ancora segretario: Lamorgese con la sua apertura agli immigrati e Speranza perché potrebbe creare problemi alla giunta lombarda responsabile dei disastri sanitari che conosciamo.

Ed in realtà lo stesso divieto dovrebbe coinvolgere anche i componenti di comitati ed organismi scientifici che forniscono i dati tecnici in base ai quali il Governo deciderà poi: veder, come è capitato in questi giorni, epidemiologi del CTS che relazionano su che cosa hanno suggerito al ministro esponendolo a critiche e a pressioni preventive è scorretto e crea disorientamento.

Queste iniziative non costituiscono certamente un attentato alla libertà di stampa che è cosa ben diversa dal macello mediatico che accompagna la politica italiana da troppo tempo. E non sarebbe affatto male se tanti direttori responsabili di testate giornalistiche nazionali tornassero nelle loro redazioni piuttosto che apparire per intere giornate sugli schermi saltabeccando da un’emittente all’altra per inventarsi continuamente osservazioni illuminanti e commenti intelligenti. Una gran fatica con risultati discutibili. E così se n’è andato pure San Valentino.

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