Movida: storia e prospettive di socialità

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MADRID NUNCA DUERME. Madrid non dorme mai. Questa frase è stata una delle prime che ho sentito quando mi sono trasferita nella capitale spagnola quattro anni fa per motivi di studio. Era uno slogan famoso, un refràn, come dicono gli spagnoli. A primo impatto può riferirsi alla vivacità delle notti e delle feste spagnole, e forse oggigiorno ha assunto questo significato. Ma in realtà dietro questo detto si nasconde ben altro.

Tutti noi, soprattutto nell’ultimo anno di pandemia, abbiamo sentito spesso ai tg o letto sui giornali la parola “movida”. “Pugno di ferro sulla movida: controlli e multe in arrivo”, “Covid-19 e movida selvaggia” sono solo alcuni dei titoli di giornale degli ultimi giorni. Insomma la parola, ormai entrata anche nel nostro dizionario italiano a fine anni ‘90, come riporta la Treccani, ormai è associata alla vita notturna. Ma in realtà la storia dietro questo termine, così come dietro il detto spagnolo “Madrid non dorme mai” è ben diversa. E sono due storie collegate tra loro.

Movida viene dal participio passato del verbo mover, muovere. La Movida fu un movimento sociale ed artistico che nacque a Madrid negli anni Ottanta e si sviluppò poi in altre importanti città spagnole come Barcellona, Valencia, Vigo. Dopo la fine della dittatura di Franco, nel 1975, in Spagna iniziò la cosiddetta transición, la transizione verso la democrazia. Questo movimento nacque da ideologie progressiste e di sinistra, e si sviluppò soprattutto tra i giovani, come risveglio culturale e sociale. Iniziò a nascere la cultura underground, iniziarono a circolare le droghe leggere, nacquero movimenti per l’uguaglianza di genere, insomma una contro-cultura che voleva prendere le distanze dalla repressione del regime appena finito. La cosa significativa è che la Movida abbracciò numerosi campi: in primis quello musicale. Il “Canito Memorial Concert” a Madrid è visto come la nascita del movimento: il concerto si tenne a febbraio del 1980 all’Università di Madrid dall’idea di due gruppi pop-rock: i Tos e Los Secretos. Inizialmente il concerto fu pensato come omaggio al cantante spagnolo Canito, scomparso quell’anno, ma si trasformò poi in un gigantesco evento culturale, una specie di Woodstock spagnola, per la risonanza ed il valore simbolico che ebbe. Tra i musicisti associati alla Movida, un altro importantissimo esponente fu Joaquìn Sabina. Oltre al campo musicale, è importante poi ricordare quello cinematografico, con il debutto di Pedro Almodòvar, ed editoriale e culturale, partendo dalla nascita della rivista La Luna, a Madrid, formata da artisti ed intellettuali. Questo movimento ebbe poi l’appoggio di numerosi politici, soprattutto socialisti, tra cui Enrique Tierno Galvàn, all’epoca sindaco di Madrid.

La Movida dunque nacque come movimento di rinascita, e lo spostarsi da un luogo all’altro nella notte, la “sete di vita”, la vivacità di una città hanno poi trasformato questo termine in quello che oggi conosciamo. Ma è bello pensare che in realtà la Movida sia nata come risposta ad una dittatura.

Affrontando quindi il tema della socialità oggi, nell’era Covid-19 e post pandemia, ci si può porre qualche domanda. Sicuramente la crisi sanitaria ci ha messo di fronte alla visione aristotelica dell’uomo come animale sociale, bisognoso di relazioni e di rapporti sociali. Perché è nel confronto con l’altro che il nostro essere può sublimarsi e mettersi in discussione. Oggi, calati forzatamente nella nostra individualità e nel nostro microcosmo, formato da una stanza o una casa, con brevi spostamenti all’esterno, ci rendiamo conto sempre di più di quanto il nostro essere società sia importante. Perciò, sarebbe forse troppo da sognatori pensare di declinare nuovamente il termine Movida nel suo significato originario? Far nascere un movimento sociale e culturale di ricostruzione, di vivacità intellettuale e giovanile che possa non far dormire, non per gli schiamazzi dei bar ma per lo scambio di programmi culturali, musicali, editoriali.

Certo, la dittatura di Franco non può minimamente essere paragonata a ciò che stiamo vivendo. Ma la frammentazione dell’uomo, la divisione, l’isolamento e la “repressione” dello spirito vitale, è sì un denominatore comune da cui ripartire.

Ho vissuto due anni in Spagna, li ricordo come gli anni migliori della mia vita. Non per l’architettura, bellissima, non per l’Alhambra di Granada o il Museo Prado di Madrid, ma per la vitalità, la spensieratezza e il fermento che è poi diventato famoso in tutto il mondo.

L’Italia anche ha qualcosa di simile: la famosa “dolce vita” è uno degli elementi che, insieme alla cultura, al patrimonio artistico e storico, ci ha sempre dato un quid in più. É dunque tempo di iniziare a ripensare alla nostra socialità, non quella imposta, ma quella che vogliamo. Non quella del traffico e dei clacson assordanti, ma quella degli spazi di confronto, delle comunità, dello scambio e della vivacità intellettuale.

Che poi sia fatto con un caffè all’italiana, o una cerveza spagnola, questo poco importa. Quindi “Madrid non dorme mai”, ancora ora. Ma noi giovani neanche.

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