Capua e la disfida di Barletta

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Il portale durazzesco-catalano di ingresso del Museo di Capua

Siamo prossimi all’anniversario della disfida di Barletta (13 febbraio 1503). Tra memoria storica e girovagare artistico su e giù per il Meridione, non poteva mancare un ritorno al Museo Campano di Capua.

Oggi Capua è uno dei tanti Comuni d’Italia, di quell’Italia “minore”, esclusa dai grandi circuiti economici e turistici, ma come tanti altri è luogo dove vicende storiche millenarie si sono intrecciate ed accavallate.

Ritornare a Capua significa immergersi in una storia cavalleresca che, nella fantasia di Cervantes, per il suo straordinario fascino, fece perdere il senno al suo Don Chisciotte della Mancia. Già perché il prode Ettore Fieramosca, nobile cavaliere, a Capua ebbe i suoi natali. La storia italica di Capua ha radici ancor più antiche come ben documentano le collezioni di opere d’arte di reperti archeologici oltre che la straordinaria biblioteca del Museo. Lo stesso edificio che lo ospita ha una storia antica ed affascinante riconoscibile nella particolare sovrapposizione di stili e forme architettoniche come ben descritto nella home page del sito museale .

Italiana è anche la storia dell’istituzione museale. Nata a pochi anni dall’unificazione del Regno d’Italia, con “Decreto Reale del 21 agosto 1869 venne istituita la “Commissione per la Conservazione dei Monumenti ed Oggetti di Antichità e Belle Arti nella Provincia di Terra di Lavoro, la quale, costatata l’esistenza nella Provincia di una considerevole quantità di materiale di pregio archeologico ed opere d’arte malamente custodita e destinata a sicura distruzione, deliberò la fondazione di un Museo”, poi inaugurato nel 1874. Così il nuovo Regno d’Italia si attribuì il ruolo di tutore di un patrimonio culturale che appartiene alle genti italiche e non più solo ai potenti signorotti di dinastie ormai scomparse. Era l’inizio di quella straordinaria storia istituzionale e giuridica che porterà il nostro Paese a primeggiare nel mondo fino a giungere all’emanazione dell’articolo 9 della Costituzione che prevede che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura nonché tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Quella del Museo di Capua è una storia che in qualche modo incarna fino in fondo un concetto modernissimo di museo, non solo come contenitore e luogo di esposizione di opere d’arte ma luogo di studio e di ricerca. Le sue collezioni sono state ordinate ed arricchite grazie alla direzione e alla collaborazione di studiosi di fama internazionale, maestri negli studi storici e dell’arte (utile ancora una volta dare uno sguardo al lungo elenco dei suoi direttori nel sito del Museo).

Purtroppo questa illustre storia è anche quella delle tante incertezze e ambiguità di uno Stato articolato in troppi rivoli amministrativi e burocratici, tanto che dalla sua fondazione è stato aperto e chiuso in continuazione per mancanza di finanziamenti, per difficoltà tecniche e amministrative dell’ente territoriale cui fa capo, la Provincia di Caserta, fino a giungere alla sua chiusura nel 2014 in conseguenza della riforma delle Provincie. Con il riassetto amministrativo la Provincia diventa ente di area vasta di secondo livello, cambiando la modalità d’elezione degli organi, che non è più diretta ma diventa un’elezione di secondo livello. Il Museo ritrova un “padrone” e nel 2019 finalmente riapre, restituendoci il nostro passato, sotto la direzione del dott. Giovanni Solino, funzionario dell’Ente Provincia, conosciuto per la sua lunga attività nelle fila di Libera contro la camorra. Il Solino, pur nelle difficoltà storiche ed economiche, è riuscito, armato di buona volontà, a suscitare interesse e curiosità. L’emergenza Covid purtroppo ha rallentato l’interesse, fatto rinascere con tanti sacrifici, con la breve riapertura del paese nella fase 2 si è poi sfortunatamente bloccata con la fase attuale e aspetta, alla pari di tanti altri circuiti museali, di non essere dimenticato

Ci troviamo oggi ad affrontare una nuova storia che potrebbe ricominciare proprio dall’Italia minore, quella esclusa dai progetti dei grandi attrattori del turismo di massa che da ben sei anni il Ministro Franceschini persegue in modo ostinato, continuando a trascurare, sottraendo risorse economiche ed organizzative, il valore della tutela dei beni culturali prima ancora della loro commercializzazione turistica di massa, che più elegantemente si definisce valorizzazione.

Se la Disfida di Barletta, le gesta del Cavalier Fieramosca e dei suoi tredici compagni hanno avuto tanta risonanza storica e letteraria è perché per secoli l’Italia ha cercato in una comune identità culturale un riscatto da una unità territoriale negata dall’essere eterna terra di conquista e di occupazione da parte di stati ed eserciti stranieri. Dopo 150 anni di unità territoriale, collocati in uno spazio europeo che, grazie all’emergenza sanitaria, sta finalmente ritrovando un senso unitario e solidaristico, quando ritorna necessario ragionare in termini di limitazione dei flussi di masse di turisti pronti solo a consumare prodotti culturali più che fruirne con sapienza e la dovuta attenzione che richiederebbero, continuare a rincorrere una grandeur italiana da vendere al mondo intero può risultare improduttivo e rischioso, oltre che segno di subalternità. Capua, il suo museo, il suo territorio devono cercare nuovi modi per intrecciare la propria esperienza con le tante altre realtà di cui l’Italia è disseminata. Vanno ripensate la fruizione culturale, le visite ai musei, come percorso conoscitivo e non di consumo. Andrebbe ripensata l’integrazione tra musei statali, provinciali e comunali oltre che quelli privati.

Giallo, arancione e rosso speriamo tornino presto a rappresentare i colori di bandiere in festa: nel frattempo iniziamo a visitare i musei che abbiamo, ognuno di noi nel proprio territorio.

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