Houston abbiamo un problema

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Un satellite statunitense riprende la Terra dallo spazio (Foto di www.unsplash.com)

“Houston abbiamo un problema”, così parlò John Leonard “Jack” Swigert Jr, il pilota del modulo di comando di Apollo 13, il 13 Aprile 1970. Cinquant’anni fa la strage sfiorata nella sfortunata missione Apollo 13. Ne è passato di tempo e in mezzo secolo il mondo è totalmente cambiato. Le missioni lunari e le scoperte su altri pianeti non destano più enorme scalpore come un tempo, le scoperte scientifiche, le nuove tecnologie e la digitalizzazione della società hanno rotto completamente i rapporti con il passato. I social da strumento di svago si sono oramai affermati come elementi indispensabili per chiunque viva nella “società civile”. Sembravamo preparati a tutto ad inizio anno, la nuova decade sembrava proiettarci sempre più in un mondo futuristico, ma la realtà ha superato di gran lunga l’immaginazione. D’altronde con leggerezza esclamavamo: “2020 anno bisesto, anno funesto”, beh pare proprio che l’affermazione si sia fatta realtà.

Il primo mese dell’anno ha visto i riflettori puntati sulla Gran Bretagna, che ha lasciato definitivamente l’Unione Europea avviando il processo di Brexit. A febbraio il mondo ha pianto il suo primo campione sportivo, Kobe Bryant, che insieme alla figlia Gianna Maria sono morti in un tragico incidente in elicottero. Mentre sempre negli States’ Trump usciva vincitore (almeno fino a quel momento) contro la legge: trovando l’assoluzione dopo esser stato accusato di impeachment per abuso di potere e ostruzione ai lavori del Congresso. Ma quello che ha stravolto in maniera definitiva la vita di ognuno di noi è il Covid-19. Dopo i primi blandi avvertimenti, il 30 gennaio l’OMS dichiarava l’epidemia del nuovo coronavirus: “emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale”. In realtà le poche immagini che arrivavano dalla lontana Cina sembravano già devastanti. Una polmonite anomala in una città della Cina centrale. La notizia cresceva di giorno in giorno, mentre qualcuno qui la definiva una piccola febbre, da Oriente si moltiplicavano i video di gente in panico, ospedali al collasso e facce coperte da mascherine. L’errore comune di noi mortali è credere che quello che accade a qualcun altro, magari lontano km, non possa accadere anche a noi. D’un tratto, lunedì 9 marzo, l’Italia entrava in lockdown. Ci sembrava una cosa passeggera; la tv sbraitava strambi consigli su come sfruttare il tempo con i nostri cari, cantavamo dai balconi quasi fosse un gioco. Le immagini dei camion dei militari che a Bergamo trasportavano centinaia di bare, le restrizioni sempre più forti, i morti. Nessuno più si è sentito al sicuro. E allora è iniziato un lento e triste declino verso il baratro.

Il coronavirus è stato messo da parte semplicemente per raccontare quello che accadeva negli Stati Uniti a maggio: “I can’t breath”, gridavano gli afroamericani facendo esplodere una protesta che ha radici secolari e ingiustizie a cui ribellarsi. L’insurrezione afro ha risvegliato le coscienze e come una miccia è divampata abbracciando altri temi mondiali: a Parigi esplodevano proteste represse duramente dalla polizia, così come in Spagna, in Cile. Intanto qui in Italia molti hanno iniziato a sfogare frustrazioni e ansie su passanti e runner, la classe politica dopo anni di inadempienze provava a tornare al lavoro, con scarsissimi risultati. Tra bonus imbarazzanti e chiusure scellerate affogava la classe “medio-bassa”. “Italia: aumentano i nuovi poveri, passano dal 31 al 45%”,titolava così il Sole24Ore, in uno dei suoi ultimi articoli. Non eravamo preparati, qualcuno ha giustamente gridato. Così dopo “un’estate anarchica”, incitati dalla classe politica a spendere il famoso “bonus vacanze”, a settembre si è ritornati a dare la colpa non più ai runner bensì ai giovani, nuova vittima sacrificale delle tv e dei giornali. Così mentre gli ospedali erano al collasso e le persone iniziavano ad essere curate nelle auto, a nessuno è venuto in mente di costruire altri ospedali, né di investire nella sanità pubblica. Meglio non citare quelli costruiti e mai entrati in funzione, qualcuno in Campania dovrebbe saperne qualcosa, con quei Covid center costruiti a Napoli, Salerno e Caserta, costati 18 milioni di euro. Le finanze sono state saggiamente spinte per aumentare la spesa militare, 26 miliardi solo nell’ultimo anno, un miliardo in più rispetto al 2019… una beffa. Intanto sempre dall’altra parte dell’oceano, il 7 novembre, Joe Biden vinceva le elezioni negli USA, sbarazzandosi di Donald Trump e dei suoi anni controversi. Il 25 novembre moriva Diego Armando Maradona, lasciando un vuoto incolmabile alle spalle e la tristezza negli occhi di milioni forse miliardi di fans.

Tutti sbigottiti dinnanzi alla potenza tagliente del 2020. Insomma non basterebbe un libro per racchiudere tutte le angosce, i timori e i malumori di questi 366 giorni. Mesi di poca socialità, connessi ad apparecchi che, per quanto ci possano unire seppur virtualmente, ci hanno alienato ancor di più. Non ci resta che accettare le macerie, non nascondersi dietro auguri formali, mascherati da amarezza. Forse guardare in faccia alla realtà può essere un primo passo verso la ripresa. D’altronde questo 2020 ha fatto anche cose buone: ha palesato la fragilità umana, ha fatto pulizia spiegandoci attraverso la sofferenza ciò che è indispensabile da ciò che è superfluo. E quindi: “Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta.” (Kahlil Gibran)

1 commento su “Houston abbiamo un problema”

  1. elio mottola

    Definire “controversi” gli anni di Trump alla presidenza U.S.A suona vagamente assolutorio per un personaggio assolutamente infelice. Lasciano un po’ perplessi anche l’omissione degli omicidi razzisti della polizia americana negli stessi anni e il tono ironico nei confronti di alcune misure del governo Conte, magari discutibili e forse inefficaci ma comunque rispettabili se commisurate alla gravità della pandemia ed alla composizione variopinta della maggioranza che lo sostiene. A parte questi rilievi che a me sembrano d’obbligo, non posso che apprezzare il riassunto del 2020 di Francesco ed il suo stile come sempre chiaro e scorrevole.

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