UN INCREDIBILE “BARBIERE” IN TEMPI DI PANDEMIA

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Un momento delle prove del “Barbiere di Siviglia” per la regia di Mario Martone

Zona gialla, arancione o rossa, persiste la necessità di uscire il meno possibile e quindi, da buon pensionato ligio alle disposizioni governative, non potendo visionare cantieri, faccio di necessità virtù e ne approfitto per coltivare i miei interessi; fra questi il melodramma. Con le sale inaccessibili, i maggiori Teatri d’Opera si organizzano in qualche modo al fine di garantire comunque la fruizione della buona musica. Molti hanno visto come il San Carlo abbia inaugurato la stagione proponendo in diretta Facebook la “Cavalleria rusticana” in forma di concerto ed è stato un successo, anche d’incasso, nonostante l’esiguità del contributo richiesto online. Il Teatro dell’Opera di Roma ha invece intrapreso una strada ancor più coraggiosa, mettendo in scena, nel vero senso della parola, “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini, trasmesso in diretta da RAI 3. Devo dire che mi sono approcciato alla visione dello spettacolo con un po’ di diffidenza, temendo che la mancanza di pubblico potesse condizionarne negativamente la riuscita, ma mi son dovuto ricredere fin dalle prime battute. Già da tempo la Lirica viene gioco forza rappresentata in maniera più moderna, essendo ormai lontani i tempi dei grandi registi, Zeffirelli e Visconti tanto per non fare nomi; ma vedo che mi sto piacevolmente abituando a versioni snelle, essenziali, forse minimaliste, che mi prendono sempre di più; maggiormente in tempi di pandemia e con la necessità da parte degli enti di non muovere troppi capitali. Ebbene, Mario Martone, nostro illustre concittadino che non ha bisogno di presentazioni, ha saputo secondo me realizzare delle soluzioni sceniche innovative, oltreché gradevolissime, che faranno da battistrada alla futura organizzazione degli spettacoli lirici, considerato che, ancora per buona parte della stagione corrente, si dovrà andare avanti con esibizioni in assenza di spettatori. Dunque, ho avuto modo di assistere all’esordio assoluto di un’opera lirica condizionata dal bisogno di attenersi alle misure anti Covid, il cui punto di forza è stato proprio l’aver saputo ribaltare le restrizioni imposte, rendendole funzionali alla resa scenica: niente scenografie, niente arredi, niente pubblico? Bene, la platea con le poltrone vuote viene sfruttata, insieme al palcoscenico, ai palchi, alle quinte, ai corridoi e perfino alle uscite laterali, per creare un’unica immensa scenografia sovrastata da corde tese che, in tal modo, evocavano una gigantesca ragnatela. In un contesto così amplificato non è stato difficile rispettare il dovuto distanziamento. Le mascherine? C’erano! Non solo sono state indossate in alcuni momenti in cui gli artisti erano un po’ più ravvicinati, ma addirittura in alcuni passaggi si contestualizzavano nello svolgimento dell’azione, così come pure le lance di sanificazione e perfino un termoscanner in mano al Direttore d’orchestra (Daniele Gatti)! Alla doverosa assenza di spettatori il regista ha sopperito creando un delizioso contrasto, grazie all’inserimento di brevi filmati d’epoca, sicuramente tempi migliori, nei quali si notavano, fra signori in smoking e signore impellicciate, alcune personalità che hanno esaltato il mondo dello spettacolo, come Anna Magnani, la Lollo e la Callas.

Il cast degli esecutori (quasi tutti stranieri, confesso, a me sconosciuti) mi è sembrato davvero all’altezza, soprattutto in considerazione del fatto che veniva a mancare l’elemento essenziale del Teatro: l’applauso! Immagino che non sarà stato facile mantenere costante la carica emozionale in tali condizioni. Eppure, devo dire, tutti bravi, soprattutto nel quintetto del II atto, eseguito in maniera magistrale…a distanza; forse un gradino anche più su il Don Bartolo di Alessandro Corbelli (credo l’unico italiano e sicuramente il più navigato fra gli artisti presenti) ed il Conte di Almaviva con un marcato e gradevole accento spagnolo, veramente dotati di elevate capacità interpretative e pienamente calati nel personaggio. L’azione si è svolta in maniera agile e vibrante, mai statica, fino al gioioso finale che ha visto il taglio delle corde tese, quasi a simboleggiare una sorta di liberazione che potremmo interpretare come la speranza di riuscire a spezzare quanto prima le catene della prigionia impostaci dal maledetto virus.

In conclusione, uno spettacolo avvincente quanto un film d’azione che, se non passerà alla storia, sicuramente resterà nella mia memoria come una delle rappresentazioni meglio riuscite, grazie ad un regista ormai consacrato nell’Olimpo dei grandi, ma che soprattutto dimostra come con intelligenza e buona volontà, anche nella contingenza di momenti tristi e difficili, il Teatro possa e debba andare avanti, perché l’Arte, che è piacere e nutrimento dell’anima, deve continuare a vivere, oggi e sempre!

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