Diario di un “sorvegliato speciale”: 21 novembre

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Il confinamento entro le mura domestiche ci spinge a riesaminare con attenzione la correttezza dei nostri comportamenti quotidiani. Siamo, ad esempio, sicuri di differenziare i rifiuti in maniera irreprensibile? Mia moglie ed io in casa facciamo il possibile selezionando al massimo ogni cosa, ma un “Manuale del perfetto differenziatore” comunque non guasterebbe.

Qualche giorno fa in prossimità dei cassonetti nei quali avevo appena “conferito” i rifiuti “prodotti” negli ultimi giorni, ho riconosciuto un signore di mezza età, che risiede nei paraggi, visibilmente perplesso su come smaltire una di quelle buste postali con la finestrella trasparente in cellofan. Mi sono permesso, conoscendolo di vista, di suggerirgli che, se voleva realmente salvare il pianeta, doveva separare la parte in plastica da quella cartacea e smaltirle nei rispettivi contenitori. Mi ha guardato e poi, seguendo il principio di prevalenza, ha lanciato la busta nel contenitore della carta aggiungendo che, tutto sommato, non valeva la pena salvare il pianeta.

Quando ci siamo salutati, il perplesso ero io. E se aveva ragione? Ho sorriso pensando a quelli che non si accontentano di salvare il pianeta, ma hanno l’ambizione, ancora più grandiosa, di salvare il sistema solare e, perché no, l’intera galassia a cui appartiene. Si tratta degli ecologisti estremi, quelli che acquistano rigorosamente solo prodotti a chilometro zero. In questo encomiabile intento percorrono quasi quotidianamente molti chilometri in auto senza rendersi conto che alla fine il danno ecologico rimane invariato se non addirittura peggiorato.

E poi, siamo certi che i prodotti a chilometro zero lo siano realmente? Se la cosa funziona come per i prodotti biologici, è lecito avere qualche sospetto: i consorzi che certificano la “biologicità” dei prodotti in vendita sono costituiti dagli stessi produttori. D’altra parte chi produce generi alimentari tende da un po’ di tempo a convincere i consumatori che i processi produttivi sono diventati più “umani”, più “etici” addirittura.

Prendiamo le uova, ad esempio. Una volta le uova erano le uova. Si distinguevano quelle di giornata da quelle meno fresche: oggi si presumono sempre fresche per oltre una settimana. Erano tutte, più o meno, della stessa dimensione e le distingueva solo il colore, che poteva variare dal bianco niveo al caffelatte. Oggi le uova di gallina hanno tutte lo stesso colore e possono essere piccole, medie o grandi e non sai se la cosa sia dovuta alla dimensione delle galline o di qualcos’altro.

Ma piccole o grandi che siano le uova, la loro produzione è stata via via riscattata dalla barbarie che veniva inflitta alle galline ma anche ai polli e a tutti gli animali da allevamento: : siamo quindi passati dalle galline allevate a terra a quelle allevate senza antibiotici ma solo con la tachipirina in caso di febbre. L’ultimo gesto di generosità ha inventato le galline allevate all’aperto e miracolosamente riacciuffate a sera, deluse per il fallito tentativo di fuga ma felici di aver trascorso un’altra bella giornata all’aria aperta. E le uova di queste galline sono tutt’altra cosa, profumano di libertà! Condividendo queste amare considerazioni mia moglie ed io abbiamo concluso che salvare il pianeta è un’impresa ai limiti del possibile e che forse ha ragione il signore che avevo incontrato vicino ai cassonetti con la busta postale.

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