Andrà tutto bene… se fermiamo l’industria bellica

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Negli ultimi nove mesi abbiamo assistito al crollo di tutte le certezze e sicurezze dell’Occidente. In pochi mesi i privilegiati di questo Pianeta si sono sentiti super vulnerabili di fronte ad un nemico “invisibile” ma estremamente potente: il Covid-19. A marzo l’Europa ha affrontato la prima ondata con un misto di terrore e scelte azzardate, ma alla fine ha dovuto fare i conti con i tagli apportati alla sanità pubblica negli ultimi 20 anni. Questo discorso vale soprattutto per l’Italia, che conta 3,2 posti letto ogni mille abitanti. Il Bel Paese infatti non è in linea con gli standard europei se si tiene conto che la media europea è di 4,7 posti letto (sempre ogni 1.000 abitanti). Si aggiungono a questa lista nera italiana i tagli dei posti letto (dal 2000 al 2007 il 30% dei posti in meno) o la chiusura di molti ospedali. Ma se negli ultimi anni ci sono stati gravi taglia alla Sanità pubblica, quali sono state le priorità del Paese? Dove si è investito di più? L’Italia produce aerei militari ma non respiratori. Questa può sembrare la frase di uno slogan ma purtroppo è la dura realtà.

L’industria bellica italiana non conosce crisi economiche, al contrario aumenta di anno in anno la spesa militare, mentre 9 milioni di italiani sono rimasti senza medico di base, il 2020 ci dice che l’Italia ha investito un miliardo in più rispetto agli anni passati. Cifre folli non solo perché non ci sono guerre da combattere ma anche perché attualmente queste armi ci servono solo per “mostrare i muscoli”. Sommergibili, aerei militari e armi di ultima generazione, tutto ciò ci serve esclusivamente per le parate militari. L’Italia dunque segue le direttive dell’amministrazione Trump, che vuole portare gli stati membri della NATO a passare da un 1,4% a un 2% di PIL come contributo alle spese NATO. Un articolo del settimanale l’Espresso infatti esordisce così: “Gli F35? Valgono centocinquantamila terapie intensive. La portaerei Trieste? Cinquantamila respiratori polmonari. Una manciata di blindati e un elicottero? Trecentotrentamila posti letto oppure dieci miliardi di mascherine.” Insomma dinanzi al portafoglio della spesa militare ci verrebbe da dire che l’Italia non è in crisi, bensì incentiva questo settore a discapito degli altri. Nonostante il cambio dei governi durante questi anni gli investimenti nel settore bellico non sono mai stati intaccati, una chiara volontà dunque di non restare indietro rispetto al resto del mondo. Mentre quindi assistiamo al collasso della Sanità pubblica, al sacrificio di medici e infermieri, alle misure restrittive che limitano le libertà individuali, e mentre soprattutto l’asticella della soglia della povertà si alza sempre più, la principale azienda industriale italiana, la Leonardo Company, aumenta il suo fatturato. La Leonardo è leader mondiale nel settore dell’aerospazio della difesa e della sicurezza e negli ultimi anni è cresciuta tanto da inglobare il resto delle imprese italiane operanti nel campo militare. Le aziende militari infatti, a differenza del resto del Paese, durante i mesi di lockdown non si sono fermate un solo giorno. Una beffa enorme ai danni di chi ha dovuto interrompere il proprio lavoro a suon di sacrifici e cassa integrazione.

Tutto ciò ovviamente non è accaduto all’insaputa del governo Conte anzi, il decreto dello scorso marzo chiariva: “sono consentite le attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa, nonché le altre attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale”. I politici di turno, che durante questi mesi sono apparsi frequentemente in tv, non hanno minimamente accennato ad una riconversione dell’azienda bellica a favore di quella sanitaria. Così mentre crescono le industrie militari, ci accontentiamo di un’unica industria nel bergamasco che produce respiratori polmonari. Dulcis in fundo è importante sottolineare che l’Italia non tiene per sé tutte queste armi al contrario il commercio con gli altri Paesi non conosce pandemie. Tra i primi clienti del Bel Paese troviamo i paesi della NATO ma anche la Siria, l’Arabia Saudita, l’Algeria, l’India. Tutti questi dati fanno rabbrividire un intero Paese che lotta non solo contro il Covid-19 ma anche contro l’aumento della povertà dilagante e della disoccupazione giovanile. Non servono citazioni di grandi filosofi per affermare che la democrazia è seriamente a rischio se un Paese sceglie le bombe al posto dei medici.

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