Valori democratici al tempo del Covid-19

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La pandemia da Covid-19 ha fatto emergere la questione del bilanciamento fra Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, Intelligenza artificiale e Big Data da una parte e diritti della persona dall’altra. Qualcuno sostiene che la crisi scatenata dalla pandemia in atto possa segnare la fine della democrazia costituzionale di ascendenza liberale, nel senso che dopo il coronavirus non sarà più possibile tentare di giustificare teoricamente questo modello di governo. Questo perché la situazione creatasi con l’attuale pandemia ha messo in risalto il ruolo che le tecnologie informatiche hanno acquisito in relazione al nostro stile di vita. Intelligenza artificiale e Big Data sono stati proposti come i soli strumenti capaci di limitare l’incidenza del contagio; tuttavia tali dispositivi confliggono apertamente con l’esercizio di alcuni diritti fondamentali, per esempio in materia di privacy.

Prendiamo il caso della Corea del Sud, puntualmente trattato sul portale valigiablu.it: subito dopo l’inizio dell’epidemia a Wuhan, i cittadini sud-coreani provenienti dalla Cina erano tenuti a fornire il proprio numero di cellulare e ad aggiornare le autorità sanitarie circa il proprio stato di salute tramite un’apposita app, sviluppata dai Ministeri degli Interni e della Salute; questa app consente la geolocalizzazione di ciascun soggetto registrato, in modo da poter seguire il suo stato di salute e verificare se viola la quarantena. Oltre alle informazioni fornite dai cittadini, i siti governativi sono riusciti poi ad avere informazioni sugli spostamenti delle persone che si registravano sulla app attraverso dettagli provenienti dalle transazioni con le carte di credito, le immagini provenienti da telecamere a circuito chiuso e l’eventuale utilizzo degli abbonamenti sui mezzi di trasporto. Per giunta, in contemporanea con la diffusione del Covid-19 in Cina, le aziende biotecnologiche sud-coreane hanno iniziato ad approntare nuovi kit per rilevare il virus, mentre le autorità sanitarie hanno potuto monitorare la popolazione forti di una legislazione che consente loro di avere accesso a informazioni private e a una enorme quantità di dati per finalità di controllo delle malattie infettive così da conoscere e limitare la diffusione del contagio. Contestualmente, vengono inviati ai cittadini messaggi via smartphone che segnalano ogni nuovo caso di coronavirus nelle diverse aree della Corea del Sud, identificando l’età, il sesso e il momento preciso in cui una persona infetta (senza indicarne il nome) si trovava in un particolare luogo, e sollecitando chiunque avesse potuto incrociare il suo percorso a sottoporsi ai test diagnostici.

Tutto questo rende evidente che la Corea del Sud – come Cina, Taiwan, Singapore – possiede una normativa in materia di tutela della privacy molto più blanda di quella europea; il che comporta il serio rischio che molteplici soggetti potrebbero avvantaggiarsi dall’impiego di app di tracciamento, rilevazioni biometriche, telecamere di sorveglianza, ecc. anche per finalità non istituzionali. Questa pandemia è diventata uno spartiacque tra la nostra vita di prima e quella che sarà dopo; come ha scritto Massimo Recalcati su la Repubblica, “Non sono già sotto ai nostri occhi le formidabili energie creative che si sono mobilitate in risposta al trauma? Solidarietà, de-burocratizzazione, impresa, flessibilità, importanza finalmente riconosciuta alla sanità e alla scuola pubblica, ai beni comuni, eccetera. La potenza di quello che sta accadendo non può esaurirsi nella sola risposta collettiva (necessaria) del distanziamento sociale”. Occorre acquisire una curvatura “comunitaria” dei comportamenti, nel senso della condivisione che consegue all’inevitabile compartecipazione a una condizione comune di grande disagio; quindi, come abbiamo già scritto altrove, le decisioni delle “macchine” non possono, anzi non devono, essere prese in una “scatola nera” di circuiti e bit, inaccessibile al controllo umano; il processo decisionale deve restare comprensibile e spiegabile.

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