Questioni di vita e di morte

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Il coronavirus Covid-19 ha riproposto l’eterno dilemma sugli incerti confini tra la preoccupazione, la paura e il panico. La radice comune a tutte queste graduazioni è la stessa: l’ineluttabilità della morte, circostanza non aggirabile che spinge tuttavia a qualche riflessione.

Tutti dobbiamo morire, e mi ci metto anch’io, benché tentato di aderire al concetto espresso in proposito da un mio vecchio conoscente il quale diceva: “O voi prima di me, o io dopo di voi, tutti quanti dovete morire!”. Ciò stabilito, si tratta di vedere come e quando, sgombrando subito il campo da quello che succede dopo la morte e lasciando a ciascuno la libertà di credere o non credere in un qualche aldilà. C’è infatti chi crede in una vita dopo la morte e c’è chi, reincarnazionista, crede addirittura anche in una morte prima della vita, anzi in più morti prima di più vite, salvo forse la prima vita che non si sa da dove venga. Il “quando” e il “come” moriremo sono comunque il principale assillo anche perché le due dimensioni sono connesse: il “come” può dipendere dal “quando” e viceversa.

La combinazione solitamente più ambita è, inutile dirlo, morire tardi di vecchiaia. E quindi i nostri comportamenti si orientano verso questo ambizioso obiettivo, per raggiungere il quale le persone più avvedute adottano ogni possibile accorgimento. I più meticolosi cominceranno, non appena raggiunta l’età della ragione, a coprirsi quando fa freddo, ad attraversare la strada con prudenza, ad evitare di vivere in zone malsane, ad abitare in territori poco o per nulla sismici, né esposti ad inondazioni o a frane. Guideranno l’auto il meno possibile o non la guideranno affatto, non prenderanno l’aereo e, in generale, viaggeranno solo quando è proprio indispensabile. La massima attenzione sarà però dedicata all’alimentazione. Eviteranno grassi, supercalorici, alcolici di qualunque gradazione, e soprattutto i farmaci, che fanno bene ma anche male: saranno tentati dalla medicina omeopatica. Useranno esclusivamente prodotti biologici ed assumeranno integratori possibilmente naturali. Insomma, faranno l’impossibile per sottrarsi alle malattie grandi e piccole, dando ragione al detto napoletano “ ’A morte vo’ ‘a ‘ccasione”.

Per morire il più tardi possibile e senza malattie costoro rinunciano a vivere, spesso inutilmente perché dietro l’angolo c’è l’imprevisto, l’incidente fortuito, la guerra, l’esplosione di una fabbrica, una rapina che si conclude malamente, una banale scivolata, un consorte o una consorte che decide di liberarsi di te perché ti sei reso insopportabile con tutte le tue assurde fisime (e ci possiamo credere). In realtà tutti dovrebbero poter disporre di dati statistici relativi al “come” e al “dove” vivono; non dati statistici specifici per questa o quella malattia, tipo il cancro al polmone per chi fuma e per chi non fuma, ma tabelle complessive costruite con le percentuali delle cause di decesso cui ciascun individuo è esposto vivendo, in un certo periodo, in un certo luogo, facendo un certo lavoro, adottando un certo stile di vita.

Se vivi in Nigeria di questi tempi, un rapido sguardo a questa tabella statistica ti dissuaderebbe dall’evitare accuratamente cibi grassi o dallo smettere di fumare cinquanta sigarette al giorno e ti suggerirebbe di tentare, innanzitutto, di cambiare aria. Sei un migrante in attesa di imbarcarti su un gommone dalla Libia? puoi mangiare di tutto, bere a volontà, guidare la macchina da incosciente, lanciarti col paracadute senza aver mai fatto un corso di lancio. Stesso suggerimento ti avrebbe potuto dare, ma non c’era neanche allora, la specifica tabella statistica se vivevi in Germania all’inizio degli anni 40 dello scorso secolo ed eri ebreo. Poi occorrerà considerare che mestiere fai e quali hobby ti piace praticare. Con le apposite tabelle statistiche potresti valutare liberamente se, essendo carrozziere, puoi eccedere in fritture e bevande ghiacciate, oppure se, amando inerpicarti sulle pareti rocciose a picco, puoi superare i limiti di velocità con la tua auto.

Il passo successivo sarebbe poi quello di includere nelle tabelle statistiche anche la tua reale condizione fisica: se hai seri problemi oncologici in atto, è forse giunto il momento di tentare la tanto agognata traversata a nuoto dello stretto di Messina.

Concludendo, il nostro atteggiamento oscillerà nella gamma degli stati d’animo sopra individuati (preoccupazione, paura, panico) in funzione del valore che diamo non tanto alla morte in sé, ma per quello che le attribuiamo in rapporto alla nostra esistenza; domandiamoci se la morte non sia stata addirittura invocata da chi è vissuto per esempio nei campi di sterminio, o in schiavitù o in preda a malattie intollerabili, per non dire di quelli che deliberatamente si tolgono la vita.

Come la prenderemo quando sarà disponibile per tutti la mappatura del DNA? La vivremo come un’opportunità di prevenzione o come una condanna? Se ci scopriremo esposti a gravi patologie legate all’apparato digerente o a quello genitale, ci asterremo dalle rispettive attività? Perciò è giusto allontanare la morte, ma evitando di mortificare la vita. E quindi: dieta sì ma non da fame; attività fisica sì ma non andando in palestra dopo otto ore di lavoro; niente alcolici sì ma concedendosi un bicchiere di vino che migliorerà la produzione di endorfine e quindi l’umore. Lasciamo, in definitiva, un po’ di spazio alla morte imprevedibile, magari anche ingiusta e vivremo meglio: i fondamentalisti dell’igienismo, quelli che puntano all’eternità, se ne facciano una ragione.

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