O conoscere o soccombere

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Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553), Il giardino dell’Eden, dettaglio; Kunsthistorisches Museum, Vienna

Si gira per le strade di tutti i continenti e si vedono frotte di ragazzi e ragazze che indossano jeans sdruciti, al limite di stracci (ricordo tanti anni fa, quando una calza smagliata faceva arrossire!). Moltitudini di persone vanno in giro tatuate fino all’inverosimile, come il marinaio maori del Pequod; fiumi di varia umanità si muovono senza più osservare il mondo che li circonda, con gli occhi fissi su pochi centimetri quadrati di uno schermo luminoso, senza il quale si sentirebbero perduti, pronti a immortalare e a diffondere qualunque cosa accada, dal corpo sull’asfalto per un incidente stradale, ai nuovi “messia” che arringano le folle promettendo a tutti benessere e felicità. Altre masse, che lievitano ogni giorno, provano diletto nell’imbrattare tutto ciò che è imbrattabile, dalle porte delle case ai cimiteri ebraici con scritte antisemite, non conoscendo nemmeno lontanamente né la storia di quel popolo, né la loro stessa storia. Dagli anni ’20 del secolo scorso e fino al ‘43 masse vocianti si sgolavano urlando compatte: Duce, Duce!, e oggi altre, indistinguibili da quelle, hanno solo cambiato l’oggetto della loro adorazione, e implorano, invocano: Matteo, Matteo!

È evidente che ci troviamo difronte a una stridente contraddizione, definita da Aldo Schiavone “individualismo di massa”: da una parte vi è, ormai, una diffusa omologazione che sta disumanizzando le persone; dall’altra vi è la rottura di ogni argine sociale che, sebbene in altre forme, ripete lo slogan del ’68: Vietato vietare! In nome dell’individualismo e dietro questo stendardo linguistico, l’illecito diventa lecito, l’indecoroso viene sdoganato, non vi è più limite alla violenza, sia quella verbale che quella fisica. Voler descrivere cosa sta accadendo alla società – e alla civiltà – occidentale, non è semplice; troppi elementi concorrono a determinarne l’attuale assetto ma, se si volesse tentare di riassumere il tutto in una sola parola, probabilmente quella più indicata sarebbe smarrimento, o incertezza, come la definisce Gad Lerner. È per non smarrirsi che prende sempre più piede il bisogno di omologazione alle norme di comportamento richiesto dalla nostra società che, come dice Umberto Galimberti, «è gratificato dai consumi di massa che compensano a livello di “avere” una tragica mancanza di risorse del proprio “essere”» e che ha portato a un inaridimento della propria vita interiore a una desertificazione dei sentimenti, perché ciò che ormai conta non è più l’essere “individuo”, ma il far parte della massa, perché, come evidenzia Elias Canetti, la “massa è potere”, e seguire la massa è confortante, rassicurante, perfino gratificante. Ciò che da solo l’individuo non penserebbe mai di fare, diviene lecito e anche esaltante quando lo si fa come “massa”, in quanto si viene deresponsabilizzati e, in un certo qual modo, tutti incolpevoli.

Alla radice di tutto questo, alla radice di ogni male vi è, quasi sempre, un’assenza, una mancanza, ed è la mancanza di conoscenza. La prima coppia umana biblica non ebbe alcuna esitazione: pur di ottenerla scelse di disubbidire al suo creatore e di giocarsi la vita, ma da quel momento in poi si dice che furono in grado di discernere il bene dal male; ma la gnosis appena conquistata servì a quella prima coppia a distinguere veramente il bene dal male? La storia di tutti i loro discendenti sembra decisamente smentirlo; ma già un altro personaggio, questa volta reale, aveva definito la gnosis “ciò a cui tutti gli uomini aspirano” (Aristotele, Metafisica). Come distinguere, allora, questi due fondamentali aspetti dell’esistenza umana così strettamente legati alla conoscenza? Con un’analisi proprio terra terra, potremmo dire che il male è quasi sempre rumoroso, sguaiato, latrante, spaccone; il bene, invece, è silenzioso, moderato, modesto. Non a caso fu detto che quando si fa il bene, nemmeno la mano sinistra deve sapere ciò che fa la destra, perché il bene va fatto in silenzio, senza clamore. Il male è invece rappresentato dalle folle oceaniche, vocianti, osannanti, come le squadracce di una volta che irrompevano rumorosamente, cantando sguaiatamente, e manganellando violentemente, come gli stuoli di tristanzuoli seguaci dell’ex ministro Salvini (fortunatamente – per il momento – privi di manganello!) il quale, come osserva Gustavo Zagrebelsky, suonando campanelli con il codazzo dei suoi manipoli, fa “un gesto molto simile a quello che accadde in Germania nella tragica notte dei cristalli”. Quanti di quelli che inneggiano a Hitler e a Mussolini hanno conoscenza di ciò che portò all’immane tragedia del XX secolo? Probabilmente poco o nulla, ma non importa. La massa è forza, è potere, la sua forza bruta si riverbera nel singolo che si sente invincibile, galvanizzato dalla forza degli altri, perché, da solo, è sempre vigliacco e compie i suoi crimini nell’ombra.

Eppure è la conoscenza l’unico antidoto che può aiutarci a uscire da questa spirale, dal gigantesco Maelstrom che tutto risucchia e annichilisce. Come opportunamente scrive Corrado Augias, «ciò che veramente aiuta a capire il male e forse – forse – a evitare che si ripeta, è la conoscenza razionale delle cause che l’hanno originato e degli sviluppi che ha avuto … Solo la conoscenza può essere uno strumento efficace … La conoscenza è il rimedio ma la conoscenza non è facile se un ex ministro (!) si permette il gesto osceno di citofonare a una famiglia tunisina urlando “lei è uno spacciatore?” così ponendosi al livello di un qualunque ultrà da curva». No, la conoscenza non è facile, in un tempo in cui il “sapere” delle masse è concentrato in un tweet, o nelle scarne e talvolta inattendibili pagine di Wikipedia. Ciò nonostante, la nostra vita dipende da essa. Già ventisei secoli fa un saggio uomo aveva detto che “va in rovina il mio popolo per mancanza di conoscenza” (Osea 4,6), e il trascorrere del tempo non ha cambiato le cose, e questo perché la conoscenza ad alcuni fa paura; non a caso Tom Nichols ha intitolato uno dei suoi ultimi libri La conoscenza e i suoi nemici, nel quale egli scrive che “Internet è un magnifico deposito di conoscenza, e pure è anche fonte e facilitatore dell’epidemia di disinformazione. Non ci rende soltanto più ottusi, ma anche più meschini: da sole, al riparo delle proprie tastiere, le persone litigano anziché discutere e insultano anziché ascoltare”.

La conoscenza, dicevamo, è invisa ad alcuni, perché può impedire ad altri di cadere nelle loro trappole di demagoghi e di manipolatori; aiuta a capire quando mentono, e a evitarli. Oggi queste due categorie pullulano e fanno le loro fortune sull’ignoranza. Quanti cadrebbero vittima delle sette se avessero conoscenza di ciò che esse sono in realtà? Quanti si farebbero sfruttare da individui che dicono di volere il loro bene e la loro felicità se avessero conoscenza della storia e della sequenza infinita di gaglioffi del genere che, oggi come allora, promettono 70 vergini nel paradiso di Allah ai kamikaze musulmani, la vita eterna in un paradiso terrestre ai Testimoni di Geova, l’abolizione della povertà, l’Italia senza più zingari, lavavetri, meridionali parassiti e tunisini spacciatori agli italiani (e non solo!)? Gesù Cristo, che se lo poteva permettere, legò la speranza della vita eterna alla conoscenza (di Dio). I moderni “messia” d’oggi, i demagoghi sovranisti, populisti, neofascisti, xenofobi e razzisti, invece, non si spingono tanto in là, ma promettono tutto ciò che possono in cambio di molto poco: un voto nell’urna e, come ricompensa, come promise il genio ad Aladino, potrai realizzare le tue aspirazioni. Le recenti elezioni in Emilia-Romagna ci hanno mostrato che, fortunatamente, non tutti si fanno abbindolare, e che vedere svastiche sulle porte fa riflettere. E pensare. Ce lo disse già René Descartes con il suo “cogito, ergo sum”. Cogito, cognosco, gnosis, (pensare, conoscere, sapere) hanno tutti la stessa radice. E se sono d’accordo Gesù Cristo, Cartesio e Aristotele, allora possiamo fidarci e, forse, non soccombere.

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