Destra e sinistra

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Le cronache della recentemente trascorsa notte dell’ultimo dell’anno riferiscono che in quel di Venezia un gruppo di otto ragazzacci si è unito ai cori di chi festeggiava l’arrivo del nuovo anno inneggiando a Mussolini, e gridando a squarciagola: “Duce, Duce, tu scendi dalle stelle”; e, per non ingenerare equivoci in chi li ascoltava e perché tutti avessero chiaro qual era il loro pensiero, completavano il loro coro con “Anna Frank è finita nel forno”.

Non è un episodio isolato, ormai; purtroppo sembra che l’apologia del fascismo, con tutti i suoi truculenti gadget, sia stata sdoganata non solo in Parlamento e al governo, ma anche nella vita quotidiana della nazione nella quale – è bene ricordarlo – la dodicesima norma transitoria e finale della Costituzione repubblicana mette fuorilegge l’apologia del passato regime, qualunque ne sia lo strumento usato. Poiché il fascismo dovrebbe esser morto ormai da più di 70 anni, è incomprensibile che ad esserne nostalgici siano dei giovani, anche adolescenti, che, certamente, non hanno letto una sola pagina del “Diario” di Anna Frank, né hanno idea del contenuto degli scritti di Mussolini, di Evola o di D’Annunzio.

E allora, come mai la recrudescenza di questa nefasta ideologia? In realtà, per cercare di comprendere cosa accade forse sarebbe più produttivo smettere di parlare di “fascismo” ma, piuttosto, di parlare, ricordando l’indimenticata lezione di Norberto Bobbio, di “destra”, in opposizione a “sinistra”. Quindi, inquadriamo nell’ampio concetto di “destra”, o forse è meglio dire di “destra estrema”, ciò che Salvini, Meloni e i loro epigoni stanno cercando di riportare in auge nel Paese che, esattamente 75 anni fa, credeva di essersi liberato una volta per tutte da quella malattia mortale che, citando Omero, “infiniti lutti addusse”, non agli achei, ma agli italiani. Allora, cos’è la “destra”? Attingendo al ricchissimo e inesauribile repertorio di Bobbio, e volendo farne una sintesi veramente estrema: “Coloro che si proclamano di sinistra danno maggiore importanza nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a ciò che rende gli uomini eguali, o ai modi di attenuare e ridurre i fattori della diseguaglianza; mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le diseguaglianze siano un dato ineliminabile, e che in fin dei conti non se ne debba neanche auspicare la soppressione”.

A ben vedere, non è una differenza da poco, se si tiene a mente che nella triade che segnò la nascita dell’Europa moderna “Egalité” è messa al centro. E nemmeno lo è, se si ricorda che la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” nel suo primo articolo afferma che “tutti gli uomini nascono liberi e uguali”. Si può quindi, senza tema di smentita, affermare che proclamarsi di destra vuol dire rinnegare secoli di civiltà giuridica, di progresso civile e sociale e, inoltre, rinnegare l’essenza stessa del cristianesimo, che viene sbandierato a ogni pie’ sospinto da Salvini, con il rosario in una mano e il Vangelo nell’altra, e dalla sua “paredra”, Meloni, che orgogliosamente dichiara a favor di telecamere, “sono donna, sono cristiana, sono italiana”. Che sia donna e italiana è un dato di fatto che vale per lei e per capo della Lega, “uomo e italiano” anche lui. Profondi e legittimi dubbi suscita, invece, la loro professione di appartenenza religiosa che, di “cristiano” ha veramente ben poco, se solo si riflette che nel Vangelo è scritto che “non c’è né Giudeo né Greco, non c’è né schiavo né libero, non c’è né uomo né donna: tutti voi siete una sola persona in Cristo Gesù”. Parole che sono l’antitesi e la negazione di ciò che, nel periodo tanto rimpianto da questa destra estrema in cerca di spazio, furono le leggi razziali che al “giudeo” non riconoscevano più lo status di cittadino e nemmeno di persona, tanto che lo si mandava al macello come il bestiame. L’Italia di Salvini e Meloni sarà un’Italia “ariana”, senza più i “brutti musi neri” che si spiaggiano sulle nostre coste come rifiuti spinti dalla risacca. Un’Italia “cristiana”, immemore delle parole, pesanti come pietre, che da duemila anni scandiscono il significato di quella definizione: “Se uno vede il proprio fratello nel bisogno, e gli chiude il cuore, come può l’amore di Dio dimorare in lui”?

La prima cosa che ci viene in mente quando ripensiamo al “ventennio”, sono le squadracce in camicia nera, manganello e olio di ricino, che terrorizzavano i cittadini, e che facendosi beffe di giustizia e legalità imponevano a tutti di “baciare la pantofola” al regime. E oggi? Cosa vediamo, oggi? Vediamo che la prima cosa che hanno fatto gli amministratori locali della Lega di Salvini e di Fratelli d’Italia di Meloni è stata la guerra contro i simboli e le bandiere dei “nemici” politici o ai dibattiti “scomodi”. La prima bandiera che i sovranisti hanno rimosso è stato lo striscione giallo con su scritto “verità per Giulio Regeni” (per tenersi buono al-Sisi). Poi è stata la volta della Shoah, della quale si deve una buona volta smettere di parlare, e a chi insiste nel farlo, come la senatrice Segre, è necessario procurare una scorta perché possa continuare a ricordarcela senza rischi per la sua incolumità e, intanto, negarle la cittadinanza onoraria a Biella e a Sesto San Giovanni, mentre a Torralba (Oristano) viene confermata la cittadinanza a Mussolini e mentre in Regione Liguria viene negata l’iniziativa di intitolare un’aula a Pertini, e a Foggia non si consente la presentazione di un libro antifascista, a Gorizia si organizza un ricevimento in onore della Decima Mas, e si potrebbe continuare ancora a lungo. Ricordiamo solo che a Oderzo (Treviso) è stato negato a don Luigi Ciotti il teatro comunale dove lui avrebbe dovuto parlare, perché “sono note alcune sue prese di posizione politiche” e “avrebbe dovuto evitare di dare giudizi morali sulla scelta di Salvini di chiudere i porti”. La realtà, se proprio si vuole essere schietti, è che la destra, o meglio “le destre”, non sono un partito politico stricto sensu, non sono mosse da ideali – condivisibili o meno – e quindi da rispettare. Non parlano a tutti i cittadini e, come Mussolini, disprezzano il Parlamento (aula sorda e grigia). Nel Parlamento, per l’appunto, si parla, ci si confronta, si media, si tratta; ma la destra non ama trattare, ama manganellare, oggi fortunatamente più con i social media che con le mani, oltre a esibire cappi. La destra non ama la cultura, che è “roba degli smidollati di sinistra, dei radical chic, dei professoroni”. La destra è l’uomo forte che parla alla “pancia” (non alla testa, perché quella non risponde) del suo popolo, vellicandone gli istinti peggiori; che chiama alla difesa della “patria”, che invoca purezza razziale, dimenticando che siamo il popolo più meticcio d’Europa. La destra è il partito delle “chiusure” (dei porti, delle frontiere, della misericordia, dell’accoglienza). La destra sono quegli italiani che il giorno dopo la caduta del fascismo si ritrovarono fieramente antifascisti (tengo famiglia!) e che oggi, immemori, rimpiangono la repubblica di Salò. Il fascismo – che oggi in Italia si chiama “destra” – è un virus che, se non combattuto in tempo, rischia di contaminare nuovamente un Paese che sembra essere rimasto senza anticorpi. Ecco perché sta, a chi ne è provvisto, di battersi affinché, come disse quel giovane palestinese a un pescatore della Galilea “portae inferi non prevalebunt”. Le armi di questa guerra sono la cultura, l’apertura, l’uguaglianza, la fraternità, la disposizione all’ascolto, e sono in tanti gli italiani che per fortuna ne sono provvisti. E, in particolare, sono gli italiani più giovani cui è diretto l’appello. Molti di loro sembrano averlo capito e hanno dato vita al movimento delle “sardine”. Con tutto il cuore, speriamo che non si facciano mettere in scatola!

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