Democrazia in crisi

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Platone e Aristotele, particolare della formella del Campanile di Giotto di Luca della Robbia, 1437-1439, Firenze (Fonte: Wikipedia)

Com’è noto, già Platone riteneva che la democrazia non fosse la forma più idonea al governo della polis. Le sue preferenze andavano all’aristocrazia, intesa come governo dei migliori, cioè di quei cittadini dotati di conoscenze ed orientati al bene comune. Oggi, a distanza di oltre due millenni, la democrazia è in crisi nel mondo occidentale e la cosa si manifesta con la presenza di personaggi a dir poco inadeguati ai vertici di numerose e importanti nazioni. Personaggi eletti dal popolo sovrano spesso con elezioni realmente libere e, almeno apparentemente, non pilotate, come Trump e Bolsonaro, per non parlare di quelli che le elezioni se le addomesticano, sono incompatibili con una nazione concretamente democratica. L’occidente europeo si difende molto meglio e l’Italia, minacciata da rigurgiti sovranisti, è al momento l’unica a correre seri rischi.

Come si sia potuto arrivare a questo è abbastanza facile da capire. Guardando al passato del mondo occidentale nessuno negherà che l’idea di democrazia si è andata gradualmente affermando, abbattendo le monarchie e le oligarchie, col crescere del grado di istruzione dei sudditi divenuti un po’ alla volta cittadini. È l’istruzione che ha fornito a ciascuno le nozioni necessarie a capire come e in che misura tutelare i propri diritti, proteggere i propri interessi o realizzare le proprie aspirazioni. Più cresceva il livello di conoscenza della realtà più i cittadini comprendevano come la democrazia fosse l’unico modo di arginare il potere in tutte le sue forme. E si è andato avanti con l’allargamento progressivo della base elettorale includendovi poco per volta i giovani e le donne fino a raggiungere quello che chiamiamo suffragio universale.

L’ipotesi aristocratica formulata da Platone è stata dunque messa definitivamente da parte. Molto si discute, e da tempo, sulla reale o solo apparente messa al bando delle oligarchie: se è vero che tutti votano, è pur vero che chi li rappresenta nelle assemblee elettive deve confrontarsi con altri poteri che elettivi, almeno nel nostro ordinamento, non sono, come ad esempio la magistratura, o, se pur lo sono, come le associazioni degli industriali o i sindacati dei lavoratori, con criteri elettorali non rigorosi. Ma devono confrontarsi, in maniera informale, anche con poteri più o meno occulti, quali possono essere le lobbies degli armieri, dei petrolieri e, più occulte di tutti, le logge massoniche, tutti organismi che non avrebbero alcun titolo ad interloquire con le istituzioni. Chi però si addentra in questo terreno minato rischia di cadere vittima del complottismo e quindi di quello scetticismo che allontana dalla partecipazione democratica e finanche dall’esercizio del voto. Tuttavia, per queste ragioni dobbiamo ammettere che, anche nei momenti di maggior fulgore del recente passato, la democrazia non è mai stata perfetta: ha dovuto sempre misurarsi con poteri talvolta più forti di lei, come nel caso attuale della finanza globalizzata. Tornando ai poteri visibili e legittimi dobbiamo tristemente riconoscere che, se il processo di sviluppo democratico si è fermato o addirittura involuto, come sembra, un ruolo fondamentale spetta sicuramente allo scadimento dell’istruzione. Che la scuola non offra più l’educazione, l’istruzione e la maturazione di un tempo è sotto gli occhi di tutti. E questa considerazione amara la facevano già i nostri padri guardando le nostre pagelle. Loro avevano studiato, quelli che ne avevano la possibilità, in una scuola che era ancora negata, di fatto, alle classi meno abbienti essendo ancora espressione della borghesia. Poi nel secondo dopoguerra è subentrata la scuola aperta a tutti e poi l’obbligo scolastico ed infine i “decreti delegati”, che hanno visto l’ingresso, discutibile, dei genitori nei consigli scolastici. Tutti fattori che, insieme ad altri elementi esterni legati sostanzialmente alla società dei consumi, ai media e poi alla telematica, hanno gradualmente depotenziato l’efficacia dell’istruzione. Ne è conseguito un crescente analfabetismo di ritorno che ci porta, come ormai stabilmente certificato, tra le ultime posizioni in Europa nella comprensione di un testo, vale a dire nella capacità di distinguere tra un messaggio vero ed uno falso e a scegliere semplicemente quello più facile. Ciò spiega il successo un po’ dovunque dei populismi, che sguazzano nella dilagante ignoranza. Certo anche le classi operaie del passato non brillavano per livello di istruzione tant’è che molti di loro si affidavano alla prospettiva di una rivoluzione comunista piuttosto che al più complesso e ragionato riformismo, ma allora la politica, riformista o rivoluzionaria che fosse, si avvaleva di una dirigenza colta e responsabile: se sottoponessimo i leader politici attuali ai test dell’OCSE, ci sarebbe da ridere. Insomma più basso è il livello di istruzione più gli elettori rispondono con la “pancia” ai richiami elettorali. I risultati sono sotto gli occhi di tutti ed è difficile pensare che il processo di declino dell’istruzione, in Italia come altrove, possa essere invertito. D’altronde solo un filosofo visionario come Platone poteva immaginare un governo dei saggi.

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